06. L'insurrezione (26 aprile 1945)
L'insurrezione prese il via con la famosa frase in codice “Aldo dice 26x1”. Mentre le colonne partigiane cominciavano a convergere su Torino, i sappisti assunsero rapidamente il controllo degli stabilimenti industriali.
Nei giorni compresi tra il 26 e il 30 aprile 1945, secondo le fonti della Croce rossa, gli scontri armati, le esecuzioni e il cecchinaggio provocarono in città oltre 800 morti e circa 1000 feriti.
"L'insurrezione prese il via con la famosa frase in codice “Aldo dice 26x1”. Mentre le colonne partigiane cominciavano a convergere su Torino, i sappisti assunsero rapidamente il controllo degli stabilimenti industriali. La città, intanto, era paralizzata da un nuovo sciopero generale che replicava quello della settimana prima, ma questa volta in una condizione decisamente diversa. Asserragliati nelle caserme del centro, gli occupanti si stavano preparando intanto a lasciare la città nella notte, secondo un piano già predisposto da tempo, che prevedeva l'evacuazione del capoluogo in direzione di Milano; diventava dunque fondamentale il controllo delle arterie stradali che conducevano verso l'autostrada. Questo fece sì che la zona di Torino nord divenisse epicentro dei combattimenti più sanguinosi. I sappisti avevano infatti trasformato le fabbriche in fortini da cui sparavano contro i mezzi militari di passaggio; agli incroci erano stati piazzati nutriti posti di blocco che però scarseggiavano di armi.
Proprio in uno di questi scontri, avvenuto nella zona di corso Giulio Cesare, il 26 aprile 1945 cadde anche Ilio Baroni, valoroso comandante di una brigata Sap. Alla stazione Dora, in piazza Baldissera, alla valenza strategica si aggiunse il tentativo estremo dei tedeschi di far partire per Milano un ultimo treno merci, carico di viveri razziati dai vicini Docks Dora di corso Venezia. Questo elemento caricò di ulteriore significato i violentissimi scontri scoppiati nell'area il 27 aprile 1945. Si trattò di una vera e propria battaglia che provocò in poche ore una ventina di morti e circa un centinaio di feriti, ammassati nell'Astanteria Martini di via Cigna e nel Posto di Pronto soccorso, aperto in quei giorni dalla Croce rossa presso l'Officina Riparazioni Telefoniche (ORT) di largo Borgaro. Frattanto le prime formazioni partigiane, giunte in città, soccorrevano le Sap con l'invio di uomini e armi pesanti.
Per le strade di Torino, nelle stesse ore, morivano per mano dei tedeschi numerose persone colpite senza motivo dalle raffiche sparate rabbiosamente dai blindati contro chiunque venisse a tiro. Gli occupanti si congedavano così come erano arrivati: seminando il terrore.
La fuga dei tedeschi e dei fascisti avvenuta nella notte tra il 27 e il 28 aprile non coincise però con la fine della guerra e delle violenze. Anche davanti alla ormai evidente sconfitta, i fascisti fecero entrare in azione una rete di cecchini organizzata nelle settimane precedenti e dislocata in un'ampia area comprendente il centro storico e i quartieri limitrofi. Sotto i loro colpi caddero uomini, donne e bambini. Questo surplus di violenza gratuita, assolutamente inutile ai fini del conflitto, diede la dimensione della totale estraneità raggiunta dai fascisti rispetto ai torinesi e acuì ancor più la rabbia popolare accumulatasi in venti mesi di sofferenze, contribuendo alle reazioni dei giorni successivi.
Il primo caduto del cecchinaggio, Franco Piccone, si ebbe il 26 aprile in corso Regina Margherita. Da quel momento fu un susseguirsi di uccisioni che fecero molte vittime tra i partigiani e – soprattutto - i civili. Furono colpiti ignari cittadini fin dentro casa, sorpresi nell'intimità domestica di un veloce pranzo o mentre chiudevano le imposte. Forte fu l'emozione all'interno della comunità nel momento in cui ad essere colpita fu anche l'infanzia. Si pensi alla tragica fine di Maria Giulia Giuppone, una bambina di nove anni centrata alla testa sul balcone di casa, in via San Tommaso 22, nel pomeriggio del 26 aprile o al coetaneo Pier Luigi Silvano, colpito alla gola la mattina del 27 aprile in via Madama Cristina 137, mentre attraversava di corsa la strada con la sorella. Guglielmo Chiesa, invece, era un tredicenne. Venne ferito a morte da un cecchino il 28 aprile all'angolo tra corso Vittorio Emanuele e via Madama Cristina, mentre stava assistendo all'arrivo di una colonna di partigiani.
Nei giorni compresi tra il 26 e il 30 aprile 1945, secondo le fonti della Croce rossa, gli scontri armati, le esecuzioni e il cecchinaggio provocarono in città oltre 800 morti e circa 1000 feriti " (1).
Note
(1) Nicola Adduci, 6 L'insurrezione (26 aprile 1945), in Adduci, Nicola [et al.] (a cura di), Che il silenzio non sia silenzio. Memoria civica dei caduti della Resistenza a Torino, Museo diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà - Istoreto, Torino 2015, pp. 122 - 124.