Casa Frichignono di Castellengo, via san Dalmazzo 7
Il Palazzo Frichignono di Castellengo a Torino si trova in via San Dalmazzo 7, è un palazzo secentesco con pregevoli decorazioni di gusto barocco. L’edificio, acquistato dai Frichignono di Castellengo nella seconda metà del Seicento, risulta appartenere all’isola di Sant’Alessio, che racchiude anche il magnifico Palazzo Scaglia di Verrua.
Il palazzo Frichignono di Castellengo appartiena all'isola di Sant'Alessio (compresa trele vie Garibaldi, Stampatori, Barbaroux, San Dalmazzo) così come il Palazzo Scaglia di Verrua (in via Stampatori 4). La costruzione di quest'ultimo, iniziata nel tardo Rinascimento, terminò nella seconda metà del ‘600, ad opera di Gian Andrea Garabello. Nel 1445 questa isola era di proprietà della potente famiglia Beccuti. Qui c’era la cappella di S. Brigida venduta, nel 1574, ai Gesuiti. Nel 1608 venne acquistata da Amedeo Parella che la inglobò nel suo palazzo. Nel 1580la proprietà passa ai conti di Buronzo, nel 1586 ad Antonio Solaro, tesoriere di Carlo Emanuele I, nel 1611 a Nicolò Coardi di Rivalta, generale delle Finanze Sabaude, nel 1617 il conte Filiberto Scaglia di Verrua acquistò tutto l’isolato (1).
Il palazzo dell'Isola di Sant'Alessio all'angolo tra via san Dalmazzo e via Barbaroux fu acquistato nel 1670 da Bonifacio Frichignono di Castellengo, acquisendo il nome della famiglia. Fu interessato da lavori di ampliamento e ristrutturazione tra il 1680 e il 1692 e ancora nel XVIII secolo. Sono complessi i passaggi di proprietà, quello a Sabino Bertola intorno alla metà dell'Ottocento comporta una serie di interventi decorativi e di ristrutturazione. L'acquisto da parte di Balbo bertone di Sambuy pare essere del 1913. Nel Novecento ebbe destinazione abitativa e commerciale. Ebbe sede nel palazzo l’albergo Canelli, dei coniugi Angiolina e Lorenzo Chiadò, che durante la Resistenza fu uno dei più importanti luoghi di riunioni clandestine del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).
Attualmente è a uso residenziale e commerciale.
Note
(1) per approfondire si veda il volume di Maurizio Cassetti, 2009. Di seguito l'indice del capitolo sul Palazzo:
CAPITOLO V – Palazzo Frichignono di Castellengo (p. 53) Proprietà del dottore in leggi Costanzo Filippi. La casa passa al duca Emanuele Filiberto, che la vende al marchese Ascanio Bobba. Questi fa eseguire importanti lavori e abbellimenti. Lite Bobba-San Martino di Parella. Da Ascanio Bobba la casa passa al marchese Alberto. L’eredità di questo va al cugino Ascanio. Inventario dei beni di Alberto. Accordo tra Ascanio Bobba e i Watteville signori di Conflans. La casa è ceduta a Francesco Filippo Watteville. Passa poi a Gaspare Graneri. Tommaso e Marco Antonio Graneri e Giovanni Turinetti vendono il palazzo al conte Ettore Bonifacio Frichignono di Castellengo. Lavori nel palazzo. L’eredità va a Giovanni Antonio II, figlio di Ettore Bonifacio. Esecuzione di altri lavori nel palazzo e sopraelevazione d’un piano. Contrasti per ragioni di confine tra i Frichignono di Castellengo e gli Scaglia di Verrua. Locazione di appartamenti del palazzo. Muore Giovanni Antonio II. Eredita il figlio Giovanni Ettore Bonifacio. Lite tra questo e la sorella Maddalena Gianazzo di Pamparato. Contrasti e accordi tra i Frichignono e gli Scaglia. Muore Giovanni Ettore Bonifacio. Eredita il figlio Giovanni Antonio III. Questi acquista una parte di edificio appartenente al conte Giuseppe Antonio Scaglia di Verrua. Accordo tra i Frichignono e gli Scaglia. Il conte Giovanni Antonio III fa sistemare i locali vendutigli dal conte di Verrua. Progetto dell’architetto Paolo Francesco Rocca. Esame e decisioni del Senato sui lavori di miglioramento nel palazzo ai fini della primogenitura. Testamento di Giovanni Antonio III. Eredita il primogenito Giovanni Cesare Maria, ma è menzionato anche il secondogenito Giuseppe Bartolomeo. Il palazzo è venduto a Francesco Miroglio. Inventario dell’eredità Frichignono. Debiti del Miroglio. Il palazzo è aggiudicato all’incanto a Domenico Borghese. Questi lo vende a Francesco Bartolomeo Frichignono, conte di Pietrafuoco, che lo lascia in eredità al nipote Adolfo. Vendita del palazzo a Sabino Bertola. Accordo di questo con il conte Cesare Emanuele Balbo Bertone di Sambuy con l’intervento dell’architetto Giuseppe Bollati e dell’ingegnere Costantino Vigitello. L’eredità di Sabino Bertola va al pronipote Giorgio Bertola, che vende il palazzo al notaio Giovanni Giacomo Durando. Sopraelevazione d’un piano del palazzo su progetto dell’ingegnere Alessandro Testore. Il notaio Edoardo Durando, figlio ed erede di Giovanni Giacomo, vende il palazzo al conte Emanuele Balbo Bertone di Sambuy, marchese di Breme.
APPENDICE – Locazioni di appartamenti e di botteghe (p. 79)
Sitografia
Fototeca
Luoghi correlati
Oggetti correlati
Ente Responsabile
- MuseoTorino 2020