L'immigrazione dal Meridione
In poco più di vent’anni a Torino giunsero centinaia di migliaia di immigrati, un fenomeno epocale che creò problemi e contrasti, nonostante l'impellente necessità di manodopera della grande industria.
L’immigrazione degli anni ’50-’70 non fu solo un fenomeno numerico (pur di dimensioni enormi, dato che la città crebbe di oltre il 50%), ma anche e soprattutto sociale. Più della metà degli immigrati proveniva infatti dal Sud e dalle isole, circa il 60% non aveva neppure la licenza media e quasi tutti finirono a lavorare nella grande industria (ovvero soprattutto alla Fiat), che fu la ragione principale di questo spostamento di massa; il bisogno di nuovi lavoratori era tale che gli industriali presero a reclutare la manodopera direttamente nelle regioni d’origine.
Furono decenni di condizioni abitative precarie e di difficile integrazione. I nuovi arrivati andavano spesso a vivere in pensioni in cui si dormiva a turno nello stesso letto, in baracche, in ricoveri (come quello ECA di via Moncrivello) o in fatiscenti case di ringhiera, anche perché non mancavano i «Non si affitta ai Meridionali». Il principale quotidiano cittadino tendeva a dare un’immagine edulcorata della situazione, volta al futuro superamento dei contrasti, più che a riportarne l’esistenza, ma era pure l’epoca di titoli quali «Ladro meridionale deruba…», che di sicuro non contribuivano a sconfiggere diffidenze e pregiudizi.
L’integrazione vera e propria sarebbe venuta solo in un secondo tempo, dopo almeno una generazione, grazie alla scuola, ai processi di mobilità sociale e più semplicemente all’abitudine a stare insieme.
Bibliografia
- Fabio Levi, L'immigrazione, in Nicola Tranfaglia (a cura di), Storia di Torino. Gli anni della Repubblica, IX, Einaudi, Torino 1999, pp. 157-187
- Stefano Musso, Il lungo miracolo economico. Industria, economia, società, in Nicola Tranfaglia (a cura di), Storia di Torino. Gli anni della Repubblica, IX, Einaudi, Torino 1999, pp. 49-100