Torino medievale
Durante i dieci secoli del ‘lungo medioevo’, Torino non si distinse in misura rilevante rispetto al quadro insediativo del Piemonte. Acquisì, però, un ruolo centrale quando divenne fulcro di uno dei Ducati longobardi, prima, e capitale della Marca ‘arduinica’, poi. La sua posizione le consentì di attrarre flussi di transito. In una città che per lungo tempo non cambiò volto, segni di trasformazione furono, nel 1404, la nascita dello Studium – cioè dell’Università – e l’acquisto, alla fine del XV secolo, del primo nucleo del Palazzo Civico da parte del Comune.
Nel 570 fece il suo ingresso nell’area torinese una forza d’occupazione costituita da Longobardi, Eruli e Turingi. Circa vent’anni dopo, la città acquistò rilevanza strategica, quando il duca di Torino, Agilulfo, fu eletto re dei Longobardi; i gruppi a guida longobarda sono noti, in particolare, grazie ai rinvenimenti delle due necropoli di Testona e di Collegno. Dal 773 Torino divenne capoluogo di una provincia carolingia, il Comitato, mentre dall’888 al 950 il Comitato rientrò in una partizione più ampia, la Marca, con capoluogo Ivrea. Dal 950 al 1091 Torino divenne capoluogo di una vasta Marca che comprendeva Asti, Alba, alcuni Comitati senza centri urbani e la Liguria occidentale; in questo periodo i marchesi torinesi, gli ‘arduinici’, esercitarono un controllo incontrastato sulle strade – in particolare la via Francigena, verso la Valle di Susa. Alla morte di Olderico Manfredi (1035) la marca fu governata dalla contessa Adelaide; deceduta Adelaide, la Marca si sfaldò e il potere passò nelle mani del vescovo, che lo mantenne fino all’affermazione dei Savoia. Risale alla fine del secolo l’area del presbiterio della basilica del Salvatore, che fu estesa verso ovest e pavimentata con un mosaico raffigurante la Ruota della Fortuna e la mappa del mondo, una delle pochissime testimonianze ancora visibili della città in epoca romanica.
Nei primi decenni del XII secolo al vescovo si affiancò il Comune. Nel 1280 il marchese Guglielmo VII di Monferrato cedette Torino a Tomaso III di Savoia e nel 1294 i domini del Piemonte e la città passarono al figlio, Filippo d’Acaia. Filippo, che risedette di preferenza a Pinerolo, fra il 1317 e il 1320 fece, però, ristrutturare il castello di Porta Fibellona; il castello fu poi ulteriormente trasformato da Ludovico II, che nel 1403 si servì, fra gli altri, di un Jaquerio (forse proprio il pittore torinese Giacomo Jaquerio) per decorare una camera della sua residenza, decorazione oggi non individuabile. Lacerti di cicli pittorici medievali si riscontrano, invece, nelle chiese di San Domenico – unico edificio religioso che conserva un volto gotico, frutto però di un’ampia ristrutturazione del principio del XIX secolo – e in Sant’Agostino e San Francesco. Amedeo VI (il Conte Verde) dichiarò decaduto Giacomo d’Acaia, impadronendosi del principato, e nel 1360 restituì al Comune la libertà legislativa approvando la raccolta dei nuovi statuti (Codice della Catena). Pur sotto i Savoia, dal 1362 gli Acaia restarono al potere ancora mezzo secolo: Ludovico morì senza discendenti nel 1418, consentendo ad Amedeo VIII di incorporare nel suo Stato il Piemonte.
Un elemento di ripresa della città fu la concessione, da parte del papa Benedetto XIII, di istituire, nel 1404, uno Studium Generale. Nel corso del Quattrocento Torino divenne uno dei centri burocratici più importanti del territorio sabaudo, da quando la città passò alle dipendenze dirette del duca Amedeo VIII di Savoia, al quale si deve la riorganizzazione dello Stato. Da questo momento, grazie anche al prestigio della sede episcopale, la città si prestò come sede del principe e della sua corte. In seguito, un nuovo organismo amministrativo, il Consiglio Cismontano, decise di fissare la propria sede a Torino e dal 1459 si riunì nel castello di Porta Fibellona. Altro segno di rinnovamento urbano fu, nel 1472, l’acquisto da parte dal Comune del primo nucleo dell’attuale Palazzo Civico, già dotato di una torre civica con orologio, oggi non più esistente. Solo agli inizi del Quattrocento, una certa attenzione al decoro urbano fece sì che si rinnovasse l’assetto viario e si ristrutturassero edifici sulle cui facciate si aprivano finestre dalle cornici in cotto, in pochi casi ancora oggi visibili. Alcune case, come quella, purtroppo distrutta, detta ‘del Vescovo’, avevano, inoltre, soffitti lignei dipinti.
Bibliografia
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