Leonardo Bistolfi (Casale Monferrato 1859 - La Loggia, Torino 1933)
Scultore. Scolpì soprattutto monumenti funerari e pubblici. Angelo della morte (tomba Braida, Torino), La sposa della morte (Frascarolo Lomellina), Bellezza della morte (Borgo San Dalmazzo). Più tardi si volse verso un recupero di modi rinascimentali, come nel Sacrificio per il monumento a Vittorio Emanuele II a Roma (1).
Nota biografica © 2014 Walter Canavesio
«Leonardo Bistolfi nacque il 15 marzo 1859 a Casale Monferrato, da Giovanni e Angela Amezzano. Suo padre, scultore e intagliatore in legno, aveva la bottega nell’attuale via Vittorio Emanuele (ex Contrada di San Paolo), dove ebbe come collaboratore, per poco tempo, Giulio Monteverde (1837-1917). Del padre sono note poche opere, tutte improntate ad un vivace neobarocco, ed un disegno per un Gabinetto da toilette segnato da una fantasiosa rocaille. Leonardo rimase orfano giovanissimo, quando il padre aveva appena 26 anni, il 30 dicembre 1861. In più occasioni della sua vita lo scultore citò la riscoperta tardiva della figura paterna, la sua sorpresa davanti ai pochi lavori sopravvissuti che fu in grado di vedere, sino a riconoscerne una sorta di naturale continuazione nello spirito, rispetto ad un uomo da lui mai conosciuto. Il padre Giovanni era inoltre socio della Società di Mutuo Soccorso di Casale, a cui il figlio, ormai lontano dalla città, rimase sempre legato sino a diventarne Presidente, e, soprattutto, ne condivise sino all’ultimo le finalità. Cresciuto in casa del nonno materno, Luigi Amisano, ricevette una attenzione particolare dalla zia Giuseppina Amisano, mentre la madre dovette iniziare la carriera di insegnante elementare nelle scuole comunali della città. Incoraggiato a sviluppare il suo talento musicale, Leonardo imparò a suonare il violino, ma ebbe modo anche, in maniera fortuita, ed in precocissima età, di manifestare particolari abilità nel disegno, che gli valsero incoraggiamenti dallo zio Evasio Bistolfi, pittore, e da un altro parente pittore, di cognome Casazza. Allievo dell’Istituto Tecnico Leardi di Casale, Leonardo studiò disegno sotto la guida energica del prof. Giosuè Archinti. Nel 1874 il Comune di Casale votò un sussidio per l’anno successivo, a favore di Leonardo Bistolfi e del musicista Navarretti, perché potessero studiare, rispettivamente, all’Accademia di Brera ed al conservatorio di Milano. La borsa di studio fu riconfermata per il 1876, e pur essendo piuttosto limitata («proporzionata alla mia statura e alla mia salute», come lo scultore riferì ad Ugo Ojetti nel 1911), gli permise comunque di proseguire negli studi. A quindici anni, il 25 gennaio 1875, Leonardo si iscrisse al corso di Elementi di figura dell’Accademia milanese, sotto la guida dei prof. Raffaele Casnedi per il disegno, ed al suo assistente Bartolomeo Giuliano. Fu anche favorito da una raccomandazione di Giulio Monteverde a Giovanni Strazza, sinceramente colpito da alcuni suoi disegni. Nell’anno accademico 1875-1876 si iscrisse ai corsi di Storia dell’Arte, Storia Generale e Patria, Prospettiva; nel novembre 1877 si iscrisse alla corso di Nudo, e solo nell’anno accademico 1878-1879 si iscrisse al corso di Scultura, tenuto dal prof. Giosuè Argenti. Tra gli artisti da lui incontrati nella comune frequentazione dell’Osteria del Coppa in fondo a Ponte Vetero, vi furono, come riferì Ojetti, Tranquillo Cremona, Gaetano Previati, Bartolomeo Bezzi, Giuseppe Mentessi, Francesco Filippini e Leonardo Bazzaro. A questi Sandra Berresford ha aggiunto gli altri compagni di Brera che Leonardo ha potuto conoscere e frequentare, tra i quali Giovanni Segantini, Angelo Bottinelli, Cesare Tallone, Ernesto Bazzaro e, dal gennaio 1879, Medardo Rosso. Nel periodo passato con la scapigliatura milanese, Bistolfi formò una rete di amicizie destinata a durare per decenni, e ne adottò anche il tono svagato e provocatore che si ritroverà in alcune sue sculture degli anni ’80, tentate dall’aneddoto faceto. L’esperienza braidense si interruppe alla fine del 1879, forse per l’indisponibilità di Giuseppe Grandi ad avere allievi. Bistolfi si trasferì quindi a Torino per entrare nello studio di Odoardo Tabacchi. L’anziano scultore naturalista ne apprezzò evidentemente le qualità, ma, dopo 5 o 6 mesi, gli sconsigliò, con rara sincerità, di proseguire a lavorare con lui, per non rovinarsi in un lavoro di semplice routine: «Ch’el senta: a lù ghe convien minga stà chì. Se lù el sta chì, el se rovina», furono le sue parole, riferite da Bistolfi ad Ojetti nel 1911. Lo scultore casalese dovette quindi aprire uno studio proprio, in via Artisti 31, nel Borgo Vanchiglia. La sua prima commissione di rilievo fu il Monumento Funerario Braida e Fontanella, al Cimitero generale di Torino (1881), dove realizzò un Angelo della Morte imperioso ed inquietante. Fu il suo primo approccio alla statuaria funeraria ed al tema della morte, che tanto lo segnò nei decenni successivi. In questi primi anni Bistolfi tentò di inserirsi nella vita artistica cittadina, per quanto da lui ritenuta non pari alla vivacità dell’ambiente milanese. La Società Promotrice delle Belle Arti era il punto di approdo obbligato per ogni artista che intendesse valorizzare la propria opera. Vi esporrà per la prima volta nel 1881 Ardens Larva, un torso dalle non celate valenze erotiche, ma l’anno successivo il gruppo Le Lavandaie, forse originato da un passo dell’Assommoir di Zola, gli costerà un rifiuto per oscenità da parte dell’istituzione torinese. Ne nascerà una polemica vivace sui giornali 30 locali, che giovò alla fine al giovane artista, ma il gruppetto in terracotta, dopo un’apparizione nella vetrina di un negozio torinese, fu esposto a Brera nel 1882, in un ambiente senz’altro meno refrattario alle provocazioni artistiche; solo nel 1884, sopite le discussioni, comparve a Torino all’Esposizione Nazionale. La vicenda delle Lavandaie fu la prima di una serie di cocenti delusioni, originate da organi istituzionali e sempre riscattate dall’apprezzamento e dalle prese di posizione degli amici artisti, che puntelleranno la sua carriera di scultore sino al 1905, l’anno dell’apoteosi veneziana ma anche del mancato accesso alla cattedra di scultura dell’Accademia Albertina. Nel 1883 fu affidata a Bistolfi la realizzazione di un busto ad Antonio Fontanesi. Tra i promotori, oltre a Tabacchi, figuravano il pittore Lorenzo Delleani e l’avvocato e poeta Giovanni Camerana: divennero con il tempo gli amici più stretti dello scultore. Da parte sua, Monteverde, che evidentemente seguiva da lontano l’attività di Leonardo, lo aiutò ad ottenere l’incarico per l’esecuzione del monumento al ministro Urbano Rattazzi a Casale Monferrato. In questi anni, all’incirca nel 1883-1884, entrò nel suo studio come collaboratore Giacomo Cometti, che vi rimarrà per venti anni, portandovi una straordinaria abilità tecnica anche nelle arti applicate, che fece la sua fortuna nella seconda parte della sua vita. Nel 1886 nacque il primo figlio di Bistolfi, Giovanni, da Maria Gusberti, di origini cremonesi, trasferitasi a Torino nel 1882. La famiglia spostò quindi il domicilio in via Vanchiglia 16, a pochi passi dallo studio. Sino al 1889 lo scultore casalese realizzò una serie di sculture di formato ridotto, adatte alle esposizioni, ma dai tratti inconfondibilmente diversi dalla produzione corrente commerciale, di verismo addomesticato e sentimentale. L’accurata analisi della realtà, particolarmente evidente nel gruppo Piove (1887), premiato con l’acquisto da parte della Galleria d’Arte Moderna di Roma, si colorava di un nucleo di sensazioni ed emozioni, al punto che di queste opere si parlò di scultura pittorica. Uniche eccezioni, in quanto a dimensioni, furono il gruppo Amanti (1883-1884), forse tratto dalla Signora delle Camelie nella recita di Eleonora Duse, molto vicino alla scapigliatura milanese e in particolare alla pittura di Tranquillo Cremona, ed il bozzetto per il concorso per il monumento equestre a Giuseppe Garibaldi a Milano (1887-1888). Scartato dalla Commissione a favore del bozzetto di Ximenes, gli amici artisti milanesi ne promossero la fusione in bronzo tramite una sottoscrizione. Bistolfi iniziò in questi anni una attività parallela di scrittore d’arte, commentando in un primo tempo soprattutto le esposizioni alla Promotrice. Scrisse anche alcune dense poesie echeggianti nei toni quelle dell’amico Camerana. Nel 1889 ebbe probabilmente il primo contatto con le opere di Rodin, in occasione della visita all’Esposizione Universale di Parigi. Divenne successivamente Membro onorario dell’Accademia Albertina e Segretario del Circolo degli Artisti, istituzione torinese alla quale dedicherà molte energie, nel momento del suo maggiore sviluppo. Verso il 1890 lo scultore si avvicinò alla famiglia Lombroso e conobbe le personalità intellettuali che la componevano e la frequentavano. Molti di questi personaggi divennero soggetti o committenti delle sue realizzazioni artistiche, ma fu decisivo il rapporto istituito con Paola Lombroso, autrice di alcuni scritti a lui dedicati, e di Gugliemo Ferrero, marito di Gina Lombroso e studioso di simbologia. L’interpretazione di Bistolfi quale “uomo di genio” lombrosiano, cara alle analisi di Paola, sono oggi un po’ da riconsiderare, ma è indubbia la trasformazione profonda che toccò, con splendido tempismo rispetto agli sviluppi dell’arte europea, la produzione dello scultore casalese, proprio all’avvio di questa nuova serie di rapporti culturali. La svolta simbolista avvenne con quella che è divenuta una vera icona della nuova sensibilità: il monumento funebre della famiglia Pansa nel cimitero di Cuneo, la cosiddetta Sfinge, elaborata e compiuta tra il 1890 ed il 1892. A partire da quest’opera, per molti anni, Bistolfi compirà un percorso 31 intellettuale originale, essenzialmente incentrato sul concetto della morte e dell’al di là, elaborando numerose e sempre diverse realizzazioni, tutte segnate dalla sua tormentata, a tratti anche contraddittoria, interpretazione di un tema che su di lui esercitava un segreto potente fascino. Gli anni Novanta videro anche stringersi i rapporti con i pittori divisionisti, Angelo Morbelli, Gaetano Previati, Giuseppe Pellizza, dei quali condivideva le simpatie filosocialiste, e con Giovanni Cena, scrittore con il quale stabilì uno stretto rapporto di comprensione e scambio intellettuale. Nel frattempo, dopo la vicenda del monumento ai Fratelli Cairoli per Pavia, assegnato nel 1895 ad Enrico Cassi, Bistolfi si allontanò dai concorsi pubblici e si concentrò sulla statuaria cimiteriale, fonte sicura di occasioni di lavoro ma anche di stimoli intellettuali continui. All’Esposizione Triennale di Belle Arti di Torino del 1896 lo scultore fu membro del Comitato direttivo del giornale, con Vittore Grubicy, Mario Pio, Carlo Stratta, Anton Maria Mucchi, Mario Ceradini, Giovanni Cena ed Enrico Thovez. A fine anno fu in Toscana, a Pisa e Firenze, per la Festa dell’Arte e dei Fiori. Qui si soffermò con attenzione nei musei e nei siti artistici della città, annotando le sue reazioni ed i commenti davanti alle opere per lui significative. Da Firenze proseguì per Bologna e Milano per visitarvi le pinacoteche ed il Museo Civico. Nell’anno successivo fu membro della Commissione per il collocamento della 2a Esposizione Internazionale di Venezia e della giuria della 3a Esposizione Triennale di Brera. Alla Esposizione Nazionale di Belle Arti del 1898, a Torino vinse un premio di 6000 lire per Il Dolore Confortato dalle Memorie, bassorilievo per la tomba Durio al cimitero di Madonna di Campagna a Torino. Nel 1899 divenne delegato della Corporazione dei Pittori e Scultori italiani, una associazione di breve durata (verrà disciolta nel 1901), a nome della quale espose alla III Internazionale di Venezia il Cristo che cammina sulle acque, altra enigmatica icona che riscosse un ampio consenso di amici e intellettuali. Amico del pianista e compositore Luigi Ernesto Ferraria, fu suo ospite a partire da questi anni nel cosiddetto “Castello” di Camburzano, dove ebbe modo di allestire un piccolo studio, e dove passò spesso le vacanze, dipingendo dal vero, per divertimento. Altro luogo topico dei soggiorni bistolfiani e dei suoi diporti pittorici sarà la villa dei Vignola a Morozzo, spesso frequentata assieme all’amico Lorenzo Delleani. Nel primo decennio del ’900 l’onda del successo personale raggiunse il culmine, in seguito agli sviluppi della sua scultura simbolista, ma anche alla sua presenza continua in molte occasioni culturali nazionali, grazie alle alleanze ed alla sua forte personalità. Divenuto negli anni 1901-1902 Presidente del Circolo degli Artisti torinese, ricevette nel contempo la nomina a cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, grazie, in questo caso, al rapporto privilegiato di frequentazione personale del re Vittorio Emanuele III, una vera amicizia, fondata sulla stima reciproca. Nell’ottobre del 1901, grazie a Giovanni Cena, Bistolfi riceve la visita di Rodin, che ammira il Crocefisso Brayda ed il Dolore confortato dalle Memorie. Di lì a poco entreranno nel vivo i preparativi per la grande Esposizione di Arte Decorativa e Moderna a Torino (1902), di cui fu protagonista, come membro del Comitato Artistico, assieme a Giovanni Camerana ed al conte Hierschel De Minerbi, contemporaneamente suo committente per una delle sue principali realizzazioni, la cappella sepolcrale al cimitero di Belgirate (1899-1903). L’Esposizione fu il momento del suo massimo avvicinamento all’estetica morrisiana, di cui la rivista, «L’Arte Decorativa Moderna» sorta con l’Esposizione stessa fu l’organo culturalmente più impegnato. Redattori del periodico furono, assieme a Bistolfi, Enrico Thovez, Davide Calandra, Giorgio Ceragioli e l’architetto Giovanni Angelo Reycend. Fu questa l’occasione, per lo scultore casalese, di elaborare il testo della sua celebre conferenza-manifesto sui nuovi orientamenti dell’arte, 32 letta al Teatro Alfieri di Torino il 4 giugno 1902 e poi replicata a Faenza nel 1908. L’Esposizione fu inoltre l’occasione per incontrare importanti rappresentanti dell’Art Nouveau internazionale, da Joseph Maria Olbrich a Walter Crane, a Hippolyte FiérensGevaert, a Frances Mac Donald, ad Alban Boberg. Contemporaneamente, Bistolfi era impegnato nella giuria della Quadriennale torinese di Belle Arti, poi, in agosto, viaggiò con Arturo Toscanini, a Bayreut a Norimberga ed a Monaco, dove visitò l’Esposizione Internazionale e le pinacoteche e gli altri musei della città. Lasciato lo studio di via Vassalli Eandi a Cometti, nel 1903 si trasferì in via Bonsignore 3, in uno studio che terrà sino alla morte. Due anni dopo accolse nello studio due nuovi allievi, Arturo Stagliano e Guido Bianconi, che rimarranno suoi fedeli collaboratori per quasi trent’anni. Il 1905 vide il suo trionfo alla VI Esposizione Internazionale di Venezia, di cui era, tra l’altro, anche membro della Giuria di accettazione, ottenendo una mostra personale, allestita nella Tribuna, con 21 sculture e i disegni per il Funerale della Vergine, e ricevette la Grande Medaglia d’oro per la scultura. Alcuni importanti acquisti (GNAM di Roma, Museo Revoltella di Trieste, Museo Municipale di Venezia, Museo Civico di Torino), coronarono il successo nazionale, cui non corrispose un altrettanto aperto riconoscimento nel campo dell’Istruzione. La sua candidatura a docente di scultura dell’Accademia Albertina fu infatti scartata a favore di Cesare Zocchi, scultore tradizionalista e dal profilo ridotto. Artisti ed allievi dell’Accademia dichiararono pubblicamente il loro dissenso nei confronti della decisione, evidentemente preordinata, e Bistolfi li ringraziò con un intervento sui giornali cittadini. Ampi festeggiamenti allo scultore furono organizzati a Roma (un solenne banchetto), nel gennaio 1906, per la sua vittoria all’Esposizione, assieme al pittore francese Paul Albert Besnard, che vide la partecipazione di artisti e critici ed ebbe una larga eco sui periodici nazionali. Un’altra attestazione di stima giunse di lì a poco: la nomina dello scultore a far parte della Commissione Artistica per il Monumento Nazionale a Vittorio Emanuele II a Roma, dalla quale si dimetterà dopo pochi mesi per divergenze sostanziali sulle scelte generali relative all’iconografia del complesso, che rivelava nell’opinione prevalente una scelta di campo allegorica e non simbolica dell’Altare della Patria. Più tardi rientrerà nella Commissione, ed avrà modo di realizzare un importante elemento del complesso monumentale, la statua del Sacrificio. Con La Croce, scultura funeraria destinata alla tomba Orsini nel cimitero di Staglieno a Genova, collocata agli inizi del 1907, Bistolfi proseguì la sua riflessione sul significato del simbolo religioso in un contesto laico, un filone di pensieri che originava dall’ambigua figura del Cristo che cammina sulle acque (1896). Maturò, in questa fase avanzata del primo decennio del secolo, il suo avvicinamento al michelangiolismo, che spiazzò alcuni suoi fedeli critici, primo fra tutti Enrico Thovez. Nel 1907 fu membro delle giurie per il Monumento al Re Carlo Alberto di Vercelli, vinto da Guido Bianconi e per il concorso della decorazione del Salone del Podestà di Bologna, dove vinse Alfonso De Carolis, nonostante la sua opinione contraria, favorevole ad Annibale Rigotti. L’affidamento diretto del monumento a Giosuè Carducci a Bologna (1908) fu per Bistolfi un’occasione importante di sperimentazione. L’ideazione e poi la realizzazione ebbero un iter lentissimo, che si concluse soltanto nel 1928, dopo inenarrabili fatiche, fisiche, mentali ed economiche, ma anche con risultati che portarono avanti la sua visione della scultura, immettendovi un personale concetto dinamico e spaziale che ebbe modo di elaborare anche in altre importanti realizzazioni della maturità. Nel frattempo realizzò il monumento a Garibaldi di Sanremo (1908), il gruppo del Sacrificio per il Vittoriano ed il frontone allegorico per il Teatro di Città del Messico. Portò avanti anche l’imponente gruppo del Funerale dell’Eroe del lavoro, tomba di Angelo Giorello al cimitero generale 33 di Montevideo (1907-1913). All’incirca in questi anni affittò e poi acquistò una villa nel borgo rurale di La Loggia, e vi costruì uno studio, ampliato in seguito per contenere i grandi gruppi scultorei all’epoca in elaborazione. Intanto la schiera dei fedelissimi collaboratori si arricchì con la presenza del bravo Giacomo Giorgis, reduce da un passaggio nello studio di Rodin a Parigi. È del 1908 anche una visita a Roma ed a Napoli, con Giovanni Tesorone e Rubino, dove sostò con commozione davanti alla Psiche del Museo Nazionale. Il 1909 è segnato dalla collocazione dei monumenti a Zanardelli a Maderno sul Garda ed a Segantini ad Arco. Mentre si moltiplicavano le occasioni ufficiali, in particolare le numerose presenze nelle Commissioni per sculture celebrative (come la complessa vicenda del monumento ad Ugo Foscolo in Santa Croce a Firenze), iniziava da parte dei Futuristi, ed in particolare di Ardengo Soffici, un’opera di screditamento ed opposizione che coinvolse Bistolfi in prima persona, e che non gioverà alla sua fortuna postuma, soprattutto riguardo alla comprensione delle opere tarde. Nel 1910, da Bologna, effettuò un viaggio nei Grigioni, dove osservò in un museo opere di Böklin, Hodler, Keller, poi si spostò in Toscana, a Firenze, alle fonti del Clitumno per l’inaugurazione dell’Ara a Carducci, ed a Lucca. Era in preparazione la prima monografia sulle sue opere, pubblicata ai primi del 1911 da Bestetti e Tuminelli. In anni di lavoro intensissimo e logorante, lo scultore non più giovane portò successivamente a termine il Monumento a Cavour per Bergamo, la citata Tomba Giorello per Montevideo, il Sacrificio per il Vittoriano, ed il gruppo della Morte e la Vita (Il fascino della morte), per la tomba Abegg del cimitero di Zurigo, un’altra affascinante tappa del suo “Poema della morte”. Partecipò inoltre alla Commissione che elesse il bozzetto di Eugenio Baroni per il Monumento ai Mille, poi vennero gli anni della guerra, nei quali la sua produzione ebbe un rallentamento, ma si moltiplicò il suo impegno per i Comitati di Soccorso e per le iniziative di carattere umanitario. Nei primi anni ’20, mentre erano in piena elaborazione le grandi realizzazioni (il Garibaldi di Savona ed il Monumento a Carducci per Bologna), condusse a termine opere importanti: Il monumento a Cesare Lombroso per Verona (1921), quello per Antonio Fontanesi a Reggio Emilia (1921), il busto di Edmondo De Amicis per Torre Pellice (1922), di Cesare Battisti per Pinerolo (1922). Aumentarono inoltre le sue presenze nelle giurie dei concorsi italiani (Porte monumentali dell’Università di Padova, 1922; concorso per il Cristo Risorto per la cappella dei Suffragi al cimitero di Staglieno, Genova 1923; Monumento ai Caduti di Bologna, 1925; Monumento ai Caduti di Forlì, 1926). Una vicenda a parte tocca il concorso per il Monumento ai Caduti della piazza della Vittoria a Genova (1923-1924), con l’abbandono della commissione da parte di Bistolfi per divergenze radicali sull’interpretazione complessiva dell’operazione. Nel 1923 fu anche presidente della giuria alla Prima Biennale Internazionale d’Arte di Monza, e ricevette l’incarico per la realizzazione del Monumento ai Caduti di Torino, un’opera complessa che non vedrà mai la luce. L’elezione a senatore segna il culmine della carriera civile dello scultore, il quale, attaccato dalla critica, continuò a lavorare al grande monumento a Carducci, mentre le forze lo abbandonavano spesso (nei primi mesi del 1925 soffrì di una forte crisi oftalmica che gli impedì di lavorare). Nel 1928 si inaugurarono il Monumento ai Caduti di Casale Monferrato, il Garibaldi di Savona e, finalmente, il complesso monumentale dedicato a Carducci a Bologna. Fu il compimento di un periodo di grandi sforzi, in un clima generale poco incline a comprendere le ragioni interne della sua produzione, e segnato dalla sempre più accentuate difficoltà fisiche, nonostante la stima personale non gli sia mai venuta meno. Bistolfi morì di congestione cerebrale il 2 settembre 1933, a 74 anni »(2).
Note
(1) da motivazione Ufficio Toponomastica.
(2) Canavesio, Walter, Leonardo Bistolfi. Il Fez rosso. Scritti di un operaio della bellezza, Academia.edu - edizione digitale 2014, pp. 28-41, con bibliografia aggiornata.
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