La grande stagione delle riforme settecentesche: cultura e istituzioni sociali
Finita l’epoca delle guerre, Vittorio Amedeo II, oltre a dedicarsi per quasi vent’anni a riformare lo Stato, estese la sua azione anche alla società e alla cultura costruendo anche qui in sistema pienamente sottoposto al potere centrale.
L’azione riformatrice dei Vittorio Amedeo II, oltre a interessare la struttura dello Stato e degli uffici, le leggi, l'esercito e l'economia, si fece sentire anche sulla cultura e sul sociale.
In ambito culturale sottrasse l’istruzione al monopolio religioso, riformò l’Università e fondò il Collegio delle Province, dove vivevano e studiavano gratuitamente giovani poveri ma meritevoli, spesso futuri funzionari pubblici, aprì la biblioteca universitaria.
Fu istituzionalizzata l’assistenza ai poveri, proibendo l’accattonaggio ed internandoli in strutture apposite. Grandiosa e rappresentativa fu la cerimonia di «chiudimento», con cui una nutrita schiera di accattoni fu rinchiusa nell’Ospizio di Carità (Palazzo degli Stemmi, in via Po), per iniziare una dura vita di lavoro forzato. Sorte analoga ebbero le donne «perdute» e i malati di mente; questi ultimi furono internati nell’Ospedale dei pazzerelli, dove i malati, ritenuti incurabili, erano sottoposti a purghe salassi, bagni.
L’aspetto della capitale «specchio della dinastia» migliorò oltre che per gli interventi di Filippo Juvarra, anche perché il sovrano ordinava di scavare canali per le acque, di pavimentare vaste aree, di «drizzare» (allineare) il fronte delle case affacciate sulle vie in modo che presentassero un aspetto «ben ordinato» e «regolare», e di ritrutturare Porta Palazzo (1729).