05. Dalla crisi invernale, verso l'insurrezione (13 novembre 1944 - 24 aprile 1945)
Il proclama con cui il comandante in capo delle forze alleate Harold Alexander annunciava il rallentamento nelle operazioni militari in Italia, a causa della cattiva stagione, ebbe un effetto psicologico deprimente sulla Resistenza.
"Il proclama con cui il comandante in capo delle forze alleate Harold Alexander annunciava il rallentamento nelle operazioni militari in Italia, a causa della cattiva stagione, ebbe un effetto psicologico deprimente sulla Resistenza. A ciò si aggiunse la durezza dell'inverno 1944-45, con nevicate intense e temperature abbondantemente al di sotto dello zero che complicarono notevolmente la misera situazione alimentare delle zone montane e delle vallate in cui erano dislocate le forze partigiane. Il loro sostentamento incontrò dapprima crescenti difficoltà tra le popolazioni di quelle aree e infine non fu più sopportabile.
Al contrario, la improvvida comunicazione di Alexander diede forza ai tedeschi e ai fascisti perché lasciò intendere che un certo numero di truppe inchiodate sulla linea Gotica si sarebbero potute utilizzare agevolmente per l'intero inverno nella lotta antipartigiana. E così, nel momento di più grande debolezza del movimento partigiano si registrò, forse, la pressione maggiore da parte del nemico. Ai rastrellamenti in grande stile della primavera-estate, si sostituirono azioni rapide e sanguinose, condotte da gruppi di poche decine di uomini per lo più appartenenti ai Rap, alla Folgore e alle squadre della Brigata nera del Pinerolese.
Nel frattempo era iniziata la lenta e occulta smobilitazione di migliaia di combattenti che rientravano clandestinamente in una città affamata e stretta dalla morsa del gelo. La loro condizione si presentava assai difficile, poiché erano costretti a nascondersi per evitare l'arresto ed erano inoltre sprovvisti della tessera annonaria, indispensabile per procurarsi il pochissimo cibo razionato disponibile. Furono di grande aiuto in questa fase le Sap presenti dentro le fabbriche che - grazie alla collusione degli industriali e dei quadri dirigenti - riuscirono a far “assumere” moltissimi combattenti. Essi divennero così sappisti, vale a dire partigiani-operai. Questa grande e silenziosa azione di salvataggio, condotta in dimensioni grandi e piccole, si rivelò preziosa perché preservò numerose forze in vista della primavera. La Resistenza, dunque, anziché smobilitare, come chiedeva Alexander, si adattò alle mutate condizioni trasferendo la lotta in città e nelle zone limitrofe della pianura. A questa nuova e obbligata strategia corrispose una crescita smisurata della violenza del nemico, con rastrellamenti di interi quartieri seguiti da arresti ed esecuzioni (Borgo San Paolo, 21-23 gennaio 1945), per non parlare delle uccisioni in strada e di un crescendo nelle fucilazioni al Martinetto (23 gennaio 1945, undici fucilati; 11 febbraio, cinque fucilati) e nella provincia (23 gennaio 1945, undici fucilati a Druento). Fu in questo quadro di grandi sofferenze, compreso tra l'autunno e l'inverno, che prese forma il Piano E27 con cui la Resistenza – in vista dell'insurrezione - stabiliva la pena di morte per chiunque avesse ricoperto un incarico nella Repubblica di Salò e per gli appartenenti alle milizie armate speciali. Una durezza che si faceva interprete delle enormi tensioni accumulatesi all'interno della comunità torinese, premessa per le drammatiche giornate di fine aprile, quelle della “resa dei conti”.
In questa atmosfera si giunse alle soglie dell'insurrezione. Il 18 aprile 1945, dopo una lunga preparazione avvenuta nelle difficili condizioni dettate dalla totale clandestinità, la città si fermò per uno sciopero generale. Nelle settimane precedenti c'era stato un crescendo nella mobilitazione popolare, rilevabile dal gran numero di scritte murali e dall'affissione di manifestini che al mattino apparivano sui muri delle case e degli stabilimenti, inutilmente contrastati da un affrettato servizio di pulizia e rimozione predisposto dai fascisti. Già da qualche giorno, intanto, per ostacolare i preparativi e intimidire i torinesi, la Questura aveva iniziato ad arrestare preventivamente decine di lavoratori; durante la notte, invece, erano le due “squadre speciali” della Brigata nera “Ather Capelli” ad entrare in azione con arresti ed esecuzioni in strada di appartenenti alla Resistenza, abbandonati poi sul selciato in modo da farli ritrovare al mattino come monito per i tutti.
Nonostante le intimidazioni e le violenze, il 18 aprile prese il via l'astensione dal lavoro; per ragioni tattiche essa si presentò a scacchiera, iniziando ad orari diversi per disorientare il nemico. Contemporaneamente, le organizzazioni della Resistenza in città i Gap e le Sap intervennero con alcune azioni a sostegno dell'agitazione.
A Torino, lo sciopero si presentò molto esteso e portò alla quasi completa paralisi dei trasporti pubblici urbani e ferroviari, furono sospese le lezioni nelle scuole, le fabbriche si fermarono una dietro l'altra. In diverse zone della città, gli operai uscirono in strada riuscendo a tenere brevi comizi; a Borgo San Paolo un corteo di scioperanti sfilò addirittura per le strade con la presenza di numerose donne. È proprio all'interno del grande successo ottenuto dalla protesta popolare che occorre inquadrare le rabbiose reazioni fasciste concretizzatesi quella stessa notte con l'uccisione simultanea del partigiano Michele Vicari, in zona Cit Turin, del militante di GL, Leopoldo Buzzetti, in Borgata Parella e poco dopo con l'assassinio di Antonio Banfo, «una delle figure più note del mondo operaio torinese», e Salvatore Melis, suo genero, prelevati in casa – alla Barriera di Milano - da una decina di uomini della Brigata nera. I loro corpi crivellati di colpi vennero rinvenuti all'alba di fronte alla staccionata prospiciente il cinema Adua, in corso Novara angolo corso Giulio Cesare, lo stesso luogo in cui il 14 aprile, con identiche modalità, erano stati uccisi nottetempo altri quattro resistenti" (1).
Note
(1) Nicola Adduci, 5 Dalla crisi invernale, verso l'insurrezione (13 novembre 1944 - 24 aprile 1945), in Adduci, Nicola [et al.] (a cura di), Che il silenzio non sia silenzio. Memoria civica dei caduti della Resistenza a Torino, Museo diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà - Istoreto, Torino 2015, pp. 98 - 100
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