Il Municipio nel XVI e XVII secolo
Sotto i Francesi e al ritorno dei Savoia, il Municipio fece di tutto per difendere le proprie prerogative, ma ciò divenne sempre più difficile. Il Consiglio si confermò composto da un ristretto «patriziato».
Sotto la dominazione francese (1536-59) il Consiglio comunale torinese svolse ruoli di rilievo. Oltre ad occuparsi di amministrare la città, s’impegnò a difendere i propri diritti e prerogative presso le autorità francesi, opponendosi a richieste di tasse ritenute esose che pur poi s’impegnò a pagare.
I consiglieri continuarono ad essere espressione delle famiglie del tradizionale patriziato urbano, ma diminuirono di numero, tanto che il Maggior consiglio, assemblea generale, finì quasi per coincidere con il Minor consiglio, una specie di giunta.
I consiglieri si dimostrarono lieti del ritorno dei Savoia, ma subito si pose il problema della spartizione di poteri e oneri. La Città voleva confermati i suoi privilegi, specie fiscali, si poneva la questione degli alloggi da mettere a disposizione di funzionari e gentiluomini di corte e quella delle molte nuove spese necessarie per la capitale.
Il Municipio conservò parte della propria autonomia ma, sotto Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I, al vicario, funzionario cittadino di nomina ducale, spettarono crescenti compiti mentre si ridussero i poteri economici e decisionali del Consiglio, che pure continuò a occuparsi di quanto avveniva fra le mura, a essere responsabile di sanità e istruzione inferiore e a rappresentare, pure simbolicamente, la capitale.
Il Comune recuperava parte del proprio ruolo quando contrattava prestiti da concedere al duca.
I «decurioni» (consiglieri) continuarono a essere espressione delle antiche famiglie cittadine.