Le fabbriche contro il fascismo
Borsa nera, fame e dure condizioni lavorative scandiscono le giornate degli operai torinesi. Una situazione sfociata nei primi segni di dissenso al regime: scioperi e agitazioni che hanno nelle fabbriche, i cui spacci aziendali forniscono assistenza a migliaia di famiglie, il loro punto nevralgico.
01. Dall’assistenza di fabbrica ai primi segni di opposizione al regime: gli scioperi del 1942-1943
In questi delicati frangenti, la fabbrica, dismessi gli abiti di semplice apparato produttivo, assume un ruolo di primo piano: da una parte potenzia il proprio ruolo di comunità, dall’altra quello di epicentro di attività politica e opposizione al fascismo. Mettendo in campo disparate attività assistenziali, gli stabilimenti diventano un prezioso punto di riferimento per la popolazione: procurando agli operai e alle loro famiglie generi di prima necessità, gli spacci aziendali diventano per molti torinesi “fonte insostituibile di mantenimento di condizioni vitali minime” (2).
La fabbrica diventa il luogo nel quale sfociano e si diffondono i primi chiari segni di disubbidienza al regime: è dalle officine che prendono il via proteste e agitazioni che coinvolgomo migliaia di operai torinesi riappropriatisi di uno strumento, lo sciopero, offuscato da “vent’anni di non uso” (3). In questo percorso la fabbrica si pone come fulcro della ribellione a una dittatura diventata ogni giorno più pressante. Un dissenso espresso sempre più frequentemente con slogan di opposizione a Mussolini, ai tedeschi e all’alleanza nazifascista che, comparsi sui muri dei reparti, accosta il duce ad animali (Duce asino sui muri della RIV), a luoghi espliciti (Quel cretino di Roma alla Fiat Grandi Motori) e al colore simbolo del fascismo, il nero, che negli ambienti operai diventa “moro” (A morte i mori, alle Officine Savigliano) (4). Sentimenti che sfociano, tra l’agosto del 1942 e il primo bimestre del 1943, nelle prime agitazioni operaie delle maestranze di numerosi stabilimenti cittadini.
02. Gli operai torinesi durante le seconda guerra mondiale
Nella primavera del 1943 il pane comune costa 5,42 lire al chilo, la pasta 7,06 lire, il burro 76,25 lire, mentre per un chilo di carne si può arrivare a spendere fino a 91,25 lire. Cifre ragguardevoli, imposte da un mercato nero (più comunemente definito borsa nera) al quale un numero sempre più alto di torinesi è costretto a ricorrere. I commercianti, “che a prezzo di calmiere non hanno mai niente, mentre a prezzi favolosi qualunque merce” (1), vendono la merce a tariffe irraggiungibili, se rapportate al salario medio di un operaio: nel settore metalmeccanico la paga oraria di un operaio di prima categoria è di 4,60 lire, un manovale ne guadagna 4,06, mentre una tessitrice raggiunge a stento le 1,90 lire. Cottimi e straordinari possono far aumentare lo stipendio, ma non sono sufficienti a contrastare i disagi dettati dal crescente costo della vita e a garantire un adeguato approvvigionamento alimentare a una popolazione che, raggiungendo a stento le 950 calorie giornaliere, è costretta a rivolgersi alla borsa nera. Il regime risponde mettendo in campo carte annonarie, calmieri dei prezzi e razionamento, provvedimenti flebili, incapaci di risolvere una quotidianità fatta di code davanti ai negozi, diete monotone e fame. È questo lo scenario che fa da sfondo al vivere quotidiano dei lavoratori torinesi, chiamati a fare i conti con i disagi legati a dure condizioni lavorative, al freddo, alle bombe e allo sfollamento.
Note
1. Filippo Colombara, Si cantava per esorcizzare la tragedia. Quella fame terribile tra fascismo e guerra, in «Patria Indipendente», a. LVI, n. 11, 16 dicembre 2007, p. 16.
2. Stefano Musso, Industria e lavoro, in Luciano Boccalatte, Giovanni De Luna, Bruno Maida (a cura di), Torino in guerra 1940-1945. Catalogo della mostra, Gribaudo Editore, Torino 1995, p. 56.
3. Claudio Dellavalle, La classe operaia piemontese nella guerra di Liberazione, in Aldo Agosti e Gian Mario Bravo (a cura di), Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, vol. III, De Donato, Bari 1980, p. 311.
4. Luisa Passerini, Torino operaia e fascismo, Laterza, Bari, 1984, p.131.
Bibliografia
- Luraghi, Raimondo, Il movimento operaio torinese durante la Resistenza, G. Einaudi, Torino 1958
- Dellavalle, Claudio, La classe operaia piemontese nella guerra di Liberazione, in Agosti, Aldo - Bravo, Gian Mario (a cura di), Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte. Gli anni del fascismo, l'antifascismo e la Resistenza, Vol. III, De Donato, Bari 1980, pp. 305-362
- Passerini, Luisa, Torino operaia e fascismo: una storia orale, Laterza, Roma - Bari 1984
- Musso, Stefano, Industria e lavoro, in Boccalatte, Luciano - De Luna, Giovanni - Maida, Bruno (a cura di), Torino in guerra: 1940-1945. Catalogo della mostra Torino, Mole Antonelliana, 5 aprile-28 maggio 1995, Gribaudo, Torino 1995, pp. 47-64
- Torino 1938-45. Una guida per la memoria, Città di Torino - Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea "Giorgio Agosti", Torino 2000
- Filippo Colombara, Si cantava per esorcizzare la tragedia. Quella fame terribile tra fascismo e guerra, in «Patria Indipendente», LVI, n. 11, 16 dicembre, 2007
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