Nuovo quartiere di San Salvario
Espansione della città a est della linea ferroviaria e a sud di corso Vittorio Emanuele II, San Salvario nacque come quartiere residenziale nella seconda metà dell’Ottocento.
Fino alla metà dell’Ottocento la zona a sud del viale del Re (attuale corso Vittorio) e a est della strada di Nizza (parallela alla quale di lì a breve passerà l’ultimo tratto della ferrovia di Genova, verso Porta Nuova) era una zona poco densamente edificata caratterizzata dal convento di San Salvario e dal castello del Valentino. Tra gli anni Sessanta e Novanta dell’Ottocento, sull’onda dell’espansione edilizia, la zona venne lottizzata e dotata di rete viaria regolare, che si venne rapidamente riempiendo di palazzi d’abitazione destinati all’affitto. Le direttrici viarie principali risultarono essere corso Massimo d’Azeglio, via Madama Cristina (sulla cui omonima piazza si sviluppò il quotidiano mercato) e via Nizza, intersecati da corso Marconi e, più verso sud, da corso Raffaello e corso Dante. Una delle particolarità del quartiere è di ospitare la chiesa valdese (costruita nel 1853) e la sinagoga ebraica (costruita nel 1884), due edifici di culto realizzati dopo lo statuto Albertino del 1848, che assicurava, tra gli altri diritti individuali, la libertà di culto, precedentemente negata. Pochi furono gli stabilimenti produttivi di rilevante importanza presenti nel quartiere, tra i quali ricordiamo il vivaio dei fratelli Burdin (fondato nel 1822 su un terreno attiguo al convento di San Salvario e in seguito ampliato e spostato in un'altra zona del quartiere) e la prima sede della Fiat in corso Dante.
Ecco l’immagine che di San Salvario dà lo scrittore Edmondo De Amicis, nel 1880: “il borgo San Salvario è una specie di piccola city di Torino, dalle grandi case annerite, velato dai grandi nuvoli di fumo della grande stazione della strada ferrata, che lo riempie tutto del suo respiro affannoso, del frastuono metallico della sua vita rude, affrettata e senza riposo; una piccola città a parte, giovane di trent’anni, operosa, formicolante di operai lordi di polvere di carbone e di impiegati accigliati, che attraversano le strade a passi frettolosi, fra lo scalpitio dei cavalli colossali e lo strepito dei carri carichi di merci che fan tintinnare i vetri, barcollando fra gli omnibus, i tramvai e le carrette, sul ciottolato sonoro.” [1]
Note
[1] Edmondo De Amicis, La città, in Torino, Roux e Favale, Torino, 1880, pp. 40-41.
Bibliografia
Sitografia
- sunsalvario.it
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