Cascina Cabianca o Ca' Bianca
Cascina a corte chiusa, documentata dal XVI secolo, è situata al confine tra i territori di Torino e Borgaro. La denominazione deriva dal colore della palazzina padronale cui erano annessi fabbricati rurali già nel XVI secolo.
La cascina Cabianca, localizzata al confine tra i territori di Torino e Borgaro, lungo la tangenziale Nord, è costituita da fabbricati civili e rurali disposti su due corti ormai fuse in un unico ampio cortile.
Sebbene si trovi attualmente in uno stato di completo abbandono, e siano evidenti recenti spoliazioni, sono tuttora riconoscibili: una struttura a tre piani fuori terra, fabbricati rurali con granai, nonché stalle e casi da terra (depositi di attrezzi e prodotti agricoli). L’accesso alla cascina, dal lato rurale, era segnalato da un bel portale di mattoni, tuttora visibile verso il raccordo Torino-Caselle.
Nel cortiletto padronale si nota un’area sopraelevata, cui si accedeva da ingressi rialzati di tre gradini: si tratta del cosiddetto “giardino delle rose”, ora in rovina, mantenuto a giardino fino alla morte dell’ultima contessa di Sant’Albino, nel 1929, e già documentato in quest’area fin dal Catasto Gatti del 1820.
I Righini, Conti di Sant’Albino, sono stati i proprietari dell’immobile dalla fine del XVIII secolo al 1929, quando la famiglia si è estinta, lasciando la cascina all’Ospedale di Carità di Torino.
Durante la seconda guerra mondiale, l’ospizio di corso Unione Sovietica fu colpito dalle bombe e gli anziani furono trasferiti alla Cabianca, cui furono appositamente aggiunti i tramezzi che tuttora dividono gli ambienti interni.
Nel 1790 Amedeo Grossi ne attesta già la proprietà ai fratelli Righini, come risulta dal seguente stralcio della sua Guida alle cascine: «La Casa Bianca, palazzina e cascine degl’Illustrissimi Signori Conte di sant’Albino Console di Marsiglia, Paolo, Intendente Alessandro, ed Avvocato Gasparo». Il feudo di Sant’Albino, con relativo titolo comitale, era stato infatti acquistato appena cinque anni prima, nel 1785, dal fratello minore, Ignazio, che morì tre anni più tardi, lasciando agli eredi una delle più ampie proprietà terriere dell’area torinese, con un’estensione di circa trecento giornate.
Il Grossi descrive con precisione l’aspetto della palazzina e della cascina, «situati lungo la strada di Leinì tra i confini di Torino, e di Borgaro per esservi un termine territoriale nel granajo alla sinistra uscendo dalla porta civile, ed altro termine nella stalla posta alla destra uscendo della porta rustica, la palazzina con Cappella [dedicata a San Giuseppe, ndr.] ha il suo prospetto verso la detta strada di Leinì, dirimpetto a cui evvi un ampio stradone, che termina in un semicircolare, ed ombrosa pergola d’olmi.» Come si comprende dal testo del Grossi, il confine tra Torino e Borgaro passava all’interno della cascina stessa. Questa particolare ubicazione è segnalata in diversi documenti che consentono di conoscere le modifiche della Cabianca nei secoli.
Il primo documento che riguarda la Cabianca è il Registro catastale del 1523, pubblicato sul secondo volume, relativo a Mappe e Regolamenti, di Forma Urbana (a cura di Augusto Cavallari Murat, Torino, 1968), in cui si censiscono possedimenti appartenenti ad Antonio Ranotti, figlio di Giorgio, collocati “ad domum albam”.
Come sottolinea l’architetto Mauro Silvio Ainardi, al 1532 risale un altro documento che descrive più ampiamente la cascina: «in finibus Taurini et Burghari […] domus alban cum suis casiamentis…». Il documento testimonia la presenza del palazzotto, con annessi fabbricati rurali, già definito “domus alba”, da cui deriva il nome Casa Bianca.
Documenti successivi ne attestano la proprietà ai conti Birago di Vische. Da fonti archivistiche si ricava inoltre che dalla fine del XVI secolo la cascina risulta essere a corte chiusa.
La prima rappresentazione della cascina si ha nel Catasto Napoleonico del 1804, in cui risulta a corte chiusa, con fabbricati continui disposti su di un perimetro rettangolare e giardino esterno.
La Carta delle Regie Cacce del 1816, in cui la Cascina è registrata come “Cascina Righini”, non documenta cambiamenti significativi.
Dal Catasto Gatti del 1820 si evince che la cascina, qui denominata “Ca’ Bianca della Sig.a Contessa di Sant’Albino”, era circondata da un ramo deviato dal vicino canale proveniente da acque sorgive che scorreva formando un’esedra dal lato d’ingresso alla parte padronale, verso est. Il tracciato del canale è tuttora riconoscibile attraverso la visione aerea dell’area.
Il Catasto Gatti attesta inoltre la presenza della casa civile verso nord-est e della chiesa nell’angolo verso sud-est. Entrambe le strutture sono state distrutte negli anni Ottanta del Novecento, per la costruzione della tangenziale Nord di Torino, che taglia l’angolo nel quale si trovava la chiesa, nonché la zona coltivata a orto, verso sud.
Al contrario, è tuttora visibile la zona rustica della cascina, verso ovest. Il Catasto segnala inoltre la presenza di un’area interna al cortile, dal lato della casa civile, tenuta a giardino e ancora riconoscibile, in quanto sopraelevata rispetto al livello del terreno, cui abbiamo già accennato. Fanno inoltre parte dei possedimenti dei Righini a questa data alcuni prati, campi e un tratto della bealera.
La mappa redatta dal geometra Antonio Rabbini nel 1866 evidenzia la costruzione di un muro di divisione della corte interna, a separare la zona padronale da quella a uso rurale, in seguito fuse nuovamente in un unico cortile. La chiesa è segnalata, con un simbolo a forma di croce, come corpo in aggetto verso il lato padronale.
La Mappa IGM del 1974 conferma la struttura planimetrica, ma già segnala a tratteggio la porzione di cascina che verrà distrutta con la costruzione della tangenziale Nord di Torino.
Bibliografia
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Fonti Archivistiche
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- Antonio Rabbini, Mappa originale del Comune di Torino, 1866, Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Catasti, Catasto Rabbini, Circondario di Torino, Mappe, distribuzione dei fogli di mappa e linea territoriale, Torino
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- Testimoniale di visita dell’Ing.di S.A.R. Ottaviano Canavero Pressano, del 22 dicembre 1583. Archivio Storico della Città di Torino, CS. n. 2950
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