Popolazione e ceti nella Torino del Cinque-Seicento

Da metà Cinquecento a Torino crebbe rapidamente il numero di abitanti, ma pochi nuovi residenti riuscirono a diventare «cittadini». Aumentò la mobilità sociale e si svilupparono le corporazioni.
Nella Torino divenuta capitale del ducato la popolazione aumentò nonostante momenti tragici, come quello della peste del 1599. A fine Cinquecento gli abitanti erano circa 11.600, nel 1619 circa 20.000 e avrebbero superato i 30.000 nei decenni successivi.
Fu l’immigrazione soprattutto a far crescere la città: funzionari di Stato e personale della corte, ambasciatori e loro collaboratori, nobili di provincia attratti dalla vicinanza del duca, studenti e professori per l’Università, banchieri e commercianti, anche da altri Stati (quasi 1.500 dal Milanese).
Netta era la distinzione fra «cittadini» e «forestieri», i quali costituivano almeno il 25% dei residenti; per essere ammessi alla cittadinanza occorreva risiedere in Torino da tempo, di solito 10 anni, e rivolgere domanda al Municipio, che era piuttosto restio a concedere il suo assenso, furono solo 240 in un trentennio e concesse soprattutto a persone benestanti e con un ruolo di rilievo in città.
Rispetto al passato maggiore fu la mobilità sociale e iniziarono ad affermarsi le corporazioni di mestiere, elementi d’identità e forza dei gruppi di lavoratori, specie artigiani.
Bibliografia
- Leila Picco, Le tristi compagne di una città in crisi. Torino 1598-1600, Giappichelli, Torino 1983
- Enrico Stumpo, Spazi urbani e gruppi sociali (1536-1630), in Giovanni Ricuperati (a cura di), Storia di Torino. III. Dalla dominazione francese alla ricomposizione dello Stato (1536-1630), Vol. III, Giulio Einaudi editore, Torino 1998, pp. 181-220