Ha inizio il 1848, «l’anno dei portenti»
Alcuni importanti giornali vedono la luce nel regno di Sardegna. A Torino giungono le notizie di insurrezioni e manifestazioni in altre parti della penisola e si tengono raduni patriottici inneggianti a Carlo Alberto e chiedenti riforme costituzionali.
1° gennaio, a Torino inizia le pubblicazioni il giornale “La Concordia”, diretto da Lorenzo Valerio e Domenico Berti. Diventerà in poco tempo uno dei giornali più importanti, cessando poi le pubblicazioni nel 1850. I commercianti cittadini in un indirizzo al Re offrono il proprio aiuto per la causa italiana.
1° gennaio, la Società delle Scuole infantili celebra nella chiesa di S. Francesco da Paola un triduo per la guarigione della sua protettrice, la Duchessa di Savoia.
Come ogni primo giorno dell’anno, la famiglia reale assiste nel Duomo di San Giovanni alla messa solenne e nel pomeriggio le dame di corte vengono ammesse al baciamano della Regina.
2 gennaio, nel Salone della Rocca si tiene il pranzo sociale della corporazione dei fabbri; tra gli invitati prendono la parola Roberto d’Azeglio e Angelo Brofferio, riscuotendo numerosi applausi.
3 gennaio, a Torino, dopo due numeri pubblicati l’anno precedente, inizia la periodicità quotidiana il giornale “Il Risorgimento”, voluto dal circolo moderato di Cesare Balbo e affidato per la direzione a Cavour.
5 gennaio, a Torino nasce il nuovo giornale politico “La Lega italiana” per iniziativa di Terenzio Mamiani e Domenico Buffa; nello stesso mese il periodico letterario “Il Messaggiere Torinese” di Angelo Brofferio, assume un più deciso connotato politico.
7 gennaio, mentre Milano, Palermo e Livorno sono in subbuglio, una delegazione genovese giunta a Torino per chiedere a Carlo Alberto la costituzione di una guardia civica e l’espulsione dei gesuiti, incontra all’Albergo d’Europa vari esponenti della stampa subalpina. Tra essi, il conte di Cavour, direttore de “Il Risorgimento”, quotidiano del liberalismo moderato, a sorpresa propone di chiedere al re non solo misure limitate ma una costituzione. Intanto si tiene all’Accademia Filarmonica un concerto per Carlo Alberto, con musiche di Bellini, Mercadante, Donizetti e Verdi (Nabucco); in suo onore veniva eseguito l’inno di Mameli e un inno di Felice Vicino su musiche di Luigi Fabbrica. Dopo il concerto «i cocchi partono a squarciare il nevoso terreno».
8 gennaio, a Torino la delegazione genovese chiede di essere ricevuta dal re per proporre progetti di riforme politiche; ma Carlo Alberto rifiuta di accoglierla, indotto a vedere in quelle riunioni un tentativo di ribellione per obbligarlo a concedere una costituzione sotto la minaccia di un’insurrezione popolare. Gli esponenti della stampa torinese si riuniscono in casa Azeglio e decidono di presentare al Re l’esposizione veridica dei fatti; per l’opposizione di Valerio e Sineo e a causa della censura torinese, la relazione approntata viene inviata ai giornali fiorentini e romani.
13 gennaio, a Torino il capo della censura Costanzo Gazzera ammoniva i giornalisti a nome di Carlo Alberto ad astenersi da allusioni offensive per gli stati vicini. Il Consiglio di Conferenza, presieduto dal Re, prendeva in esame la proposta di una costituzione, senza tuttavia adottare alcuna deliberazione. I commercianti torinesi eleggono una deputazione capeggiata da Roberto d’Azeglio per presentare al Re la loro offerta d’aiuto in difesa del trono e della patria; il Re esprime la sua riconoscenza. Indirizzo analogo viene sottoscritto da alcuni studenti al Caffè Nazionale e in altri caffè.
14 gennaio, nella chiesa della Gran Madre si tiene una solenne cerimonia funebre in suffragio delle vittime degli scontri di Milano e Pavia dei giorni precedenti. Nei caffè e in altri luoghi pubblici viene affisso un appello che invita gli studenti universitari a portare per 15 giorni il lutto sul cappello, per onorare la memoria dei confratelli uccisi a Pavia negli scontri con la polizia. Promossa da Roberto d’Azeglio, all’Albergo d’Europa si tiene una riunione dei direttori dei principali giornali per concordare una linea editoriale comune.
15 gennaio, nella ricorrenza della festa di S. Maurizio, protettore del Piemonte, Carlo Alberto, accompagnato dai due figli, si reca alla Basilica dell’Ordine Mauriziano, dove viene celebrato un solenne Te Deum. Lungo il percorso, nelle vie di Dora Grossa e d’Italia, il sovrano viene festeggiato da una folla numerosissima, nella quale spiccavano studenti di Pavia sfuggiti a ritorsioni della polizia, e moltissimi studenti torinesi, «vestiti a bruno per tale funesto avvenimento».
La Società torinese del Tiro a segno si accinge ad aprire al pubblico il suo locale privato per offrire alla gioventù il mezzo di addestramento al tiro.
17 gennaio, Carlo Alberto approva la decisione del corpo decurionale genovese di sottrarre gli alunni pensionati a carico del comune all’insegnamento dei gesuiti.
Il Consiglio di conferenza da lui presieduto riprende in esame l’indirizzo dei direttori dei quattro giornali torinesi proponenti la concessione di una carta costituzionale, ma giudica la proposta irrispettosa e inaccettabile.
17 gennaio, alla sera al Teatro Carignano viene data una splendida festa da ballo a beneficio del Ricovero di mendicità e delle scuole infantili di Torino; sono presenti tra gli altri il Duca di Savoia, il Principe di Carignano, la Duchessa di Parma. Il voto dell’unione italiana è rappresentato dalle bandiere simboleggianti le città di Roma, Firenze, Genova e altre; dai motivi tratti dagli inni patriottici; dalle sale decorate dei tre colori italiani; anche «negli abbigliamenti domina il bianco, il verde, il rosso». Attira immediata attenzione il proposito dei lombardi «di adottare una foggia italiana di vestire e drappi d’italiana fabbricazione» per liberarsi dalla servitù delle mode e industrie straniere.
17 gennaio, nel Caffè Nazionale viene esposto un manichino con la nuova foggia: «all’ampia comodità dei calzoni riconosci il Milanese schivo sempre delle galliche attillature, la schietta tonaca, il cinto militare, il breve mantello ed il cappello acuminato danno maggior sveltezza alle membra». Ma, «memori» dell’inno di Mameli, si commenta, «avremmo preferito veder sul cappello una penna d’aquila invece della vanitosa penna di pavone».
20 gennaio, il giorno successivo alle concessioni di Ferdinando II, tardive e insufficienti, Carlo Alberto stabilisce di convocare per il 18 marzo il Consiglio di stato plenario.
21 gennaio, per sottrarsi alle vessazioni austriache, si rifugia a Torino lo storico Cesare Cantù, autore della Storia universale (1836-42), edita dal libraio-tipografo torinese Giuseppe Pomba.
23 gennaio, a Torino vengono aperte le sottoscrizioni per il monumento nazionale in onore di Carlo Alberto. Le offerte si raccolgono presso il Caffè Nazionale, la Farmacia Rasino, il Negozio Engelfred, la Banca Rignon e il Gabinetto di lettura dell’Associazione Agraria.
25 gennaio, a Torino nel Salone della Rocca si tiene un banchetto degli artisti; a tale adunanza patriottica sono per la prima volta ammesse le donne.
26 gennaio, a Torino inizia le pubblicazioni il quotidiano politico “L’Opinione”, edito dalla Tipografia Eredi Botta; lo dirige il colonnello Giacomo Durando, affiancato dal comitato di redazione composto da Aurelio Bianchi-Giovini, Massimo Cordero di Montezemolo, Giuseppe Torelli, Carlo Pellati, Giovanni Lanza, Giuseppe Cornero, Nicolò Vineis. Il giornale si propone di collocarsi su una posizione intermedia tra “Il Risorgimento” e “La Concordia” e riassume il proprio programma nei termini Nazionalità-Monarcato-Progresso-Legalità.
28 gennaio, a Torino (in una sala attigua a San Francesco da Paola) alla presenza di un uditorio numeroso, composto di persone di ogni ceto, il professor Carlo Ignazio Giulio, ristabilitosi da lunga malattia, inaugura il terzo corso serale di meccanica applicata alle arti.
1° marzo, esce il primo numero del “Corriere Subalpino” diretto da Luigi Vigna, autore del Dizionario amministrativo.
29 maggio 1848, a Torino la direzione de “Il Risorgimento” rende noto agli azionisti che nella sede del giornale è aperta la sala per la lettura dei giornali, promessa sin dall’inizio delle pubblicazioni.
30 maggio, da vari giornali si lamenta la sfrontatezza della moltitudine di monelli che assordano il pubblico per le vie e i portici col pretesto di vendere supplementi, bollettini, lettere ecc.; sono pure stigmatizzati il numero crescente di mendici e vagabondi e la vendita impunita di immagini indecenti per le vie: «Questa non è libertà..., è licenza», commenta “Il Risorgimento".
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Ente Responsabile
- Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino