L’inattesa scoperta di una chiesa paleocristiana
Nell’isolato oltre la Dora, dove sorgeva una centrale elettrica dismessa e ora si sta costruendo il nuovo centro direzionale Lavazza, è avvenuta una scoperta di grande interesse per la storia di Torino.
01. La necropoli oltre Dora
Nell’isolato oltre la Dora, dove sorgeva una centrale elettrica dismessa e ora si sta costruendo il nuovo centro direzionale Lavazza, è avvenuta una scoperta di grande interesse per la storia di Torino. Tra fine Ottocento e primo Novecento, quando la città si espanse verso nord, nel tracciare strade e costruire nuovi edifici si ritrovarono a più riprese tombe e materiali funerari appartenenti a un’estesa necropoli di sepolture a inumazione, spesso di notevole pregio, sviluppatasi dalla seconda metà del I al IV secolo d.C.. Questa doveva comprendere anche monumenti funerari e tombe a camera sotterranee, come quella di via Modena 25, costruita nel II secolo, in muratura rivestita di pietra in cui era un sarcofago di piombo. Tre stele funerarie, sempre del II secolo, sono state ritrovate lì vicino, riutilizzate in tombe tardoromane, alcune delle quali contenevano monete del IV secolo.
Proprio il ritrovamento di una nuova stele, avvenuto nel 2011 durante un piccolo intervento stradale, ha dato modo di verificare la presenza di altre tombe, ma soprattutto ha riacceso l’attenzione della Soprintendenza sull’adiacente area destinata al nuovo centro Lavazza.
Il testo della grande stele in marmo di Foresto recita: Q(uinto) Coesio Q(uinti) f(ilio) / Ste(llatina tribu) Secundo / Coesia Q(uinti) l(iberta) Aphrodisia / uxor v(iva) f(ecit). Si tratta dell’iscrizione funeraria di Q. Coesius Secundus, cittadino romano iscritto alla tribù Stellatina, quella di Augusta Taurinorum, di nascita libera; la committente dell’iscrizione è la moglie, Coesia Aphrodisia, di origine libertina, che prima del matrimonio doveva appartenere alla familia servile dei Coesii. L’iscrizione è caratterizzata da una decorazione ridondante, opera forse di mani diverse: Ganimede rapito dall’aquila affiancato da creature marine anguiformi; due leoni a dorso contrapposto che poggiano la zampa su teste bovine; Ercole bambino che strozza i serpenti inviati da Era per ucciderlo ancora in culla. Si tratta di motivi stilistici poco consueti nell’iconografia epigrafica locale e che rimandano a una bottega lapidaria di buon livello.
02. Il cantiere Lavazza
L’intervento archeologico, avviato nell’estate del 2013, ha dato esiti negativi sulle ampie superfici intaccate dai precedenti impianti industriali, ma ha permesso di individuare nell’angolo tra corso Palermo e via Ancona, tra i resti delle fondazioni in cemento armato del capannone demolito, un importante complesso funerario paleocristiano sviluppatosi su una necropoli con mausolei tardoantichi. L’inattesa e importante scoperta ha portato alla modifica del progetto architettonico del Nuovo Centro Direzionale Lavazza Nuvola. E’ inoltre prevista, oltre alla copertura del sito e al percorso di visita interno, una vetrata a livello della strada – tra via Ancona e corso Palermo - che permetterà a tutti i passanti la visione di parte dei resti archeologici.
L’onerosa variante ha richiesto quindi in tempi strettissimi la definizione di una convenzione tra la Soprintendenza, Lavazza e il Comune di Torino per consentire la salvaguardia dei resti archeologici e nel contempo la fattibilità del complesso cantiere edile.
Lo scavo si è concluso nell’avanzato autunno e ora attende, protetto da una ricolmatura di sabbia e ghiaia, che siano costruiti il nuovo edificio e la copertura dell’area archeologica, per avviare il restauro delle murature e l’allestimento del percorso di visita.
03. La necropoli e i mausolei
Se la distruzione dei sedimenti antichi è imputabile agli interventi novecenteschi, il fronte nord dell’area è invece risultato eroso dal fiume, che ha asportato parte delle tombe e delle strutture murarie. Nella necropoli del IV secolo si forma un complesso cimiteriale con più mausolei o recinti funerari. Quello centrale è rettangolare e aperto sul lato est con una tomba al centro ben costruita in muratura, pavimentata e intonacata; intorno se ne inseriscono altre, poi in gran parte spoliate delle loro strutture. Al tempo dell’abbandono del sito infatti le tombe più antiche – evidentemente segnalate e visibili in superficie – furono sistematicamente svuotate dei resti umani e ampiamente smontate per recuperare i materiali edilizi.
A nord di questo mausoleo si riconoscono altre strutture simili che definiscono un recinto o un mausoleo più grande; a sud si affianca un piccolo edificio ad aula con abside semicircolare a ovest e un piccolo vano di ingresso. L’interno viene occupato da alcune tombe, sia nell’abside sia nell’aula; la meglio conservata è una larga cassa in muratura pavimentata con grandi lastre di pietra, simile a un’altra grande tomba pertinente alla chiesa che si sviluppa a ovest dei mausolei.
04. La chiesa
La chiesa, a navata unica e grande abside a ovest, si innesta sulle strutture dei mausolei sfruttandone le pareti laterali. La caratteristica tecnica muraria a piccoli ciottoli legati da malta rosata consente di distinguere altri resti di questa fase edilizia conservati nella parte orientale dell’area, dove si estendeva una sorta di nartece o porticato di ingresso. I resti murari e le fosse di spoliazione delle tombe testimoniano un’occupazione pianificata di tutto lo spazio interno all’edificio e di buona parte dell’area perimetrale esterna e intaccano le pareti dei mausolei precedenti, demoliti nelle parti non inglobate nelle pareti della chiesa. La sorte del mausoleo absidato rimane invece separata, anche se tutto fa pensare che continui a essere utilizzato durante la vita della chiesa. La totale assenza di materiali ceramici, osteologici ed epigrafici rende problematica la datazione del complesso, ma l’orientamento a ovest delle absidi e le caratteristiche architettoniche, sia dei mausolei sia della chiesa, depongono a favore di una cronologia antica, compresa tra il IV secolo e gli inizi del V.
Dimensioni e qualità costruttiva delle tombe sono del tutto inconsuete nel panorama archeologico cittadino e rimandano a un selezionato e facoltoso gruppo sociale, appartenente alla prima comunità cristiana torinese, la stessa che accolse san Massimo come primo vescovo alla fine del IV secolo.
Le successive vicende di questo sito sono segnate dal prolungato uso funerario, ma non da fasi di ricostruzione medievale, e l’accurato svuotamento di tutte le tombe monumentali più antiche depone per un consapevole e programmato abbandono del luogo di culto, divenuto in seguito cava di materiali edilizi da reimpiegare, compreso l’allestimento di una calcara, dove i marmi antichi furono cotti per ottenerne calce.
Le fonti storiche suggeriscono l’identificazione della chiesa con quella di San Secondo martire, le cui reliquie erano custodite in una chiesa extraurbana vicina alla Dora, già documentata come antica agli inizi del X secolo, e a quel tempo traslate in città per timore delle incursioni saracene.
Da un diploma del 1041 del vescovo Guido (1039-1044) si apprende che la chiesa di San Secondo fuori le mura era stata distrutta dai saraceni e nel 1044 lo stesso vescovo concesse all’abate Alberico la chiesa, rovinata dai “pagani”, affinché la restaurasse e vi istituisse un monastero: questo non avvenne e la chiesa di San Secondo scomparve anche dalla toponomastica.
La nuova scoperta costituisce un grande passo avanti nella conoscenza della topografia cristiana torinese dei primi secoli.
Bibliografia
Sitografia
Fototeca
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Ente Responsabile
- Soprintendenza Archeologia del Piemonte
- MuseoTorino