Chiuse dei Longobardi
Le chiuse dei Longobardi erano una struttura costruita in Valle di Susa a scopo difensivo. Fu proprio sulle chiuse che i Longobardi cercarono di fermare l’avanzata dei Franchi di Carlo Magno, episodio a cui devono il loro nome.
1.
Le clusae (cioè le chiuse, termine che indica in questo caso una struttura difensiva approntata sfruttando la naturale conformazione delle vallate alpine) della Valle di Susa hanno alimentato una longeva varietà di miti storiografici che i recenti studi hanno contribuito a sfatare. Anzitutto, le chiuse della Val Susa non erano un caso unico, anzi: le chiuse erano distribuite lungo tutto l’arco alpino ed erano preesistenti all’arrivo dei Longobardi, che però furono sempre attenti a curarne la manutenzione. Un altro punto su cui è stato necessario apportare delle correzioni rispetto alla tradizione erudita è la realtà materiale delle chiuse. Difficilmente presero la forma di muraglioni invalicabili, di complicata costruzione e spesso superflui, data la conformazione del terreno alpino. Inoltre, le chiuse non erano centrali nello schema delle fortificazioni difensive, tant’è vero che la loro efficacia si rivelò spesso molto limitata. Un’ulteriore tradizione da sfatare è quella legata ai resti della chiusa che vengono indicati in alcuni punti della Val Susa. È assai improbabile che questi resti murari, visibili per esempio presso il paese di Chiusa di San Michele, costituiscano realmente le vestigia dell’antica chiusa. Dopo la caduta del regno longobardo, la chiusa rimase un punto di riferimento geografico e liminale, per perdere infine anche questa funzione nel corso del XII secolo.
2.
La grande notorietà delle chiuse si deve al fatto di essere state teatro dello scontro tra Longobardi e Franchi nel 773 e a due diverse ricostruzioni dell’evento, elaborate a secoli di distanza. La prima è la versione dell’anonimo autore della Cronaca di Novalesa, che scrive nell’avanzato XI secolo e fornisce un racconto arricchito di molti particolari suggestivi, rispetto ai resoconti piuttosto asciutti delle fonti più vicine ai fatti, introducendo l’elemento del giullare traditore per spiegare la facilità con cui i Franchi di Carlo Magno superarono l’ostacolo delle chiuse. Questa versione è rifiutata da Alessandro Manzoni, che nell’Adelchi – tragedia pubblicata nel 1822 – introduce la figura del diacono Martino (atto II, scena III).
Queste due opere, molto diverse tra loro, hanno contribuito a fare delle chiuse un punto di grande interesse e una fonte di leggende erudite radicate nell’immaginario comune, soprattutto a livello locale.
Bibliografia
- Alessio, Gian Carlo (a cura di), Cronaca di Novalesa, G. Einaudi, Torino 1982
- Mollo, Emanuela, Le chiuse: realtà e rappresentazioni mentali del confine alpino nel medioevo, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», A. LXXXIV, n. 2, 1986, Torino, pp. 333-390
- Settia, Aldo A., Le frontiere del regno italico nei secoli VI-XI: l’organizzazione della difesa, in Poisson, Jean-Michel (a cura di), Castrum. Fròntiere et peuplement dans le monde méditerranéen au moyen âge, Vol. 4, Ecole française de Rome - Casa de Velazquez, Rome - Madrid 1992, Castrum 4, pp. 201-209
- Cancian, Patrizia - Casiraghi, Giampietro, Vicende, dipendenze e documenti dell’abbazia di S. Michele della Chiusa, Palazzo Carignano, Torino 1993
- Walter Pohl, Le frontiere longobarde. Controllo e percezioni in La mobilité des personnes en méditerranée de l’Antiquité à l’époque moderne: procédures de contrôle et documents d’identification, I: Passage de frontières. Atti dei seminari (Roma, 8-9 marzo 2002), Ecole Française de Rome, Roma 2004, pp. 225-238
- I Longobardi e le Alpi. Atti della Giornata di studio "Clusae Longobardorum, i Longobardi e le Alpi", Chiusa di San Michele, 6 marzo 2004, Segusium, Susa 2005
Temi correlati
Ente Responsabile
- Mostra Torino: storia di una città