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plessivo della città, controllato come

forma urbis

totale e totalizzante entro un chiaro programma,

anche ideologico.

Questo carattere, tuttora riconoscibile e qua-

lificante è il risultato di un processo di costruzio-

ne della città che si può leggere e interpretare con

parametri storici.

Torino infatti, pur essendo una città esclusa

dagli orizzonti consolidati delle grandi «città d'ar-

te» italiane, è uno dei pochi casi in Europa che

documenti la rispondenza, precisa, lunga, tra un

modello di pianificazione e la sua realizzazione

concreta in un fatto urbanistico.

Una periodizzazione storica mirata alla com-

prensione di questo fenomeno evidenzia come mo-

mento fondativo e nodale del processo formativo

della città il ruolo di capitale di territorio regio-

nale voluto nel momento della sua «invenzione»

urbanistica negli anni centrali del Cinquecento (Ca-

teau Cambrésis, 1559). Il periodo medievale si era

profilato come fenomeno diverso che, pur con di-

ramate connessioni leggibili nell'architettura e nel

tessuto insediativo, aveva privilegiato comunque

aspetti della città di minor rilevanza in senso

urbanistico.

Nella dimensione politica ed ideologica volu-

ta dall'assolutismo per le capitali europee tra Sei

e Settecento col consolidamento dello Stato asso-

luto, la pregnanza di intenti e di risultati fu ecce-

zionale per la città, in quanto le realizzazioni fu-

rono sorrette dal nuovo, decisivo rapporto tra for-

ma urbana e Potere. Nell'urbanistica contarono

sia gli esiti concreti, sia il perseverante program-

ma di propaganda dinastica a specchio di uno Sta-

to, prima del Principe, poi assoluto, ed infine nella

direzione di uno stato moderno accentratore del-

le decisioni e decentratore degli organismi ese-

cutivi.

L'ideologia trovò un riscontro diretto nella co-

struzione della capitale, nella sua stessa forma ur-

bana e nella sua architettura, come immagine tan-

gibile che rispecchiasse principi di rigore e di ge-

rarchia funzionale, con uniformità, continuità, ri-

spondenza a necessità di primato militare e stra-

tegico e alla loro esplicitazione in «opere».

Le splendide incisioni del

Theatrum Sabaudiae,

giunteci colorate nella prima edizione del 1682 con-

servate nei due esemplari della Biblioteca Reale e

dell'Archivio Storico del Comune di Torino, ci tra-

smettono — insieme alla documentazione dello sta-

to di fatto della città e dell'intero territorio sei-

centesco dello stato sabaudo — anche un messag-

gio ideologico preciso. Dopo il fondativo momento

vitozziano tra Cinquecento e Seicento, relativo al-

l'impianto delle funzioni di una nuova capitale,

già aperta a prospettive di espansione nella dire-

zione lunga delle prime residenze ducali extraur-

bane (Regio Parco, Mirafiori, il primo Valentino,

ma anche la Vigna del Cardinal Maurizio, poi Villa

della Regina), il

Theatrum

documenta infatti il pro-

gramma castellamontiano per la capitale, che ap-

pare in parte realizzato e in parte ancora in pro-

getto, ben presente tuttavia nel modello di unifor-

mità e di integrazione strutturale con la «città vec-

chia », che il progetto di espansione sottendeva

chiaramente e confrontava con la moderna cultu-

ra urbanistica seicentesca.

Di tale modello va segnalato per la sua emble-

maticità il fulcro costituito dalla zona di coman-

do, in cui l'impianto castellamontiano (Palazzo

Ducale, Cavallerizza, Accademia dei Paggi, ecc.)

non è mai stato smentito, né stravolto dai pur in-

novativi interventi iuvarriani per l'Archivio di Cor-

te, le Segreterie, la previsione del Teatro, e nep-

pure da quelli settecenteschi di Benedetto Alfieri

(Teatro Regio e rialzo degli edifici nella piazza del

Castello), sempre condotti nella linea di integra-

zione in un programma urbanistico preciso. Per

contro la costruzione del Nuovo Regio — al di là

del discorso che si può produrre sull'architettura

dell'opera — e l'abbattimento indiscriminato re-

cente del portico castellamontiano dell'Accademia

dei Paggi comportano una difficile ricucitura e

problemi aperti nella città attuale.

Il periodo napoleonico — in presenza di gran-

di temi propositivi e pur nella quasi assenza di rea-

lizzazioni — ha delineato una traccia condizionan-

te per l'espansione della città che risultò attiva lun-

go l'intero Ottocento, decidendone caratteri e modi

formali e funzionali; soprattutto ne risultò con-

dizionata la stessa idea di città, per l'adesione di-

chiarata a nuovi modelli interpretativi della società

e dell'arte, che incisero profondamente, oltre il ri-

baltamento dei principi originari, anche sulle scelte

della Restaurazione (e oltre).

Nei primi anni dell'Ottocento la nuova città,

anche se in regresso economico e demografico, era

stata prefigurata utopicamente come città in espan-

sione, secondo progetti che, entro una dirompen-

te carica innovativa per concezione urbanistica,

sottolineavano tuttavia l'aderenza al concetto di

una rigorosa continuità con la struttura preesisten-

te. Al recupero delle valenze di assialità e di rigo-

re intrinseche al modello barocco della città, si ac-

compagnava invece l'obliterazione dei secondari

valori di perimetro e di frangia che, prima del di-

sarmo delle fortificazioni, erano apparsi legati sol-

tanto a scelte di tipo strategico-militare. Veniva-

no per contro recuperati ed enfatizzati i più au-

tentici caratteri dell'impianto viario: sui prosegui-

menti degli assi storici antichi sono infatti cresciuti

più tardi anche i nuovi fulcri urbanistici delle gran-

di piazze neoclassiche e la struttura del pieno

Ottocento.

Con segno inedito rispetto al passato (anche

per l'adesione al concetto illuminista della utilità

pubblica) il periodo francese ha determinato i gran-

di viali alberati di circonvallazione, le originarie

promenades,

che ancora costituiscono una delle co-

stanti tipologiche fondamentali della città moder-

na: la loro conformazione — non casuale, ma pro-

gettata come completamento strutturale della gri-

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