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to spesso — ironia — la perdita (senza il dissenso

della cultura ufficiale) delle testimonianze stori-

che. Per certo tuttavia il fenomeno dei dirada-

menti e delle demolizioni per sostituzione edilizia

intensiva è fenomeno tipico del Novecento; ad esso

non è estranea la stessa cultura architettonica del

periodo razionalista, che non ha saputo introdur-

re nelle città una altrettanto autentica cultura ur-

banistica ed è stata spesso causa della perdita del-

l'immagine e delle architetture eclettiche.

I modelli di sviluppo urbano del secondo do-

poguerra infine — al di là della discussione che

si può produrre sulla crescita della città — hanno

sottoposto, particolarmente, la città esistente a

scelte di tipo incrementale col risultato irreversi-

bile di sostituzioni edilizie fortemente intensive,

particolarmente dilaceranti in corrispondenza delle

aree bombardate nell'ultimo conflitto.

Rimane da annotare, come fattore decisivo per

la costruzione di un giudizio critico sulle vicende

urbanistiche, che la città di Torino, sia nelle fasi

di espansione sia nelle fasi di destrutturazione e

ristrutturazione dei tessuti preesistenti, si è confi-

gurata in struttura fisica e funzionale con qualità

urbane autentiche, nel momento in cui riusciva a

definire lungimiranti operazioni di decentramen-

to (come per le attrezzature e i grandi servizi a scala

urbana e territoriale del secondo Ottocento) e per

le stesse espressioni architettoniche e infrastruttu-

rali conseguenti alla localizzazione della grande

industria.

La scelta delle illustrazioni a corredo di que-

ste note corrisponde ad una esemplificazione di fe-

nomeni e di segni ora non più riconoscibili, nella

loro essenza, come beni culturali, oppure in via

di ulteriore degradazione.

Non si intende tanto additare provocatoria-

mente i «mali culturali» della nostra civiltà e del-

la nostra città, né tantomeno si intende produrre

una sorta di moderno

cahier de doléances

di dub-

bia utilità. Così pure la nostra ricerca non si con-

figura affatto — va ripetuto — come un beneme-

rito «Torino da salvare». Ci interessa, come sto-

rici, produrre non tanto dati, quanto inter-

pretazioni.

Non va tuttavia sottaciuto — nel momento in

cui si aderisce al criterio di mirare a scelte di qua-

lità urbana — che la maggiore degradazione del

territorio è avvenuta nel secondo dopoguerra, e

non solo per guasto o per perdita della struttura

materiale preesistente, ma anche e soprattutto per

innovazione non qualificante.

La città in espansione è fenomeno antico e ha

attraversato a Torino sia il Seicento sia l'Ottocen-

to, prima dell'età contemporanea, tuttavia con esiti

molto differenti nella qualità urbanistica e archi-

tettonica: il passato recente e il presente non paio-

no positivi. È ormai riconosciuto su molti fronti

disciplinari come attualmente la reinvenzione della

città, sia nelle zone (se mai occorressero) di nuo-

vo impianto, sia nelle ristrutturazioni edilizie e ur-

banistiche, non debba più guardare a requisiti sol-

tanto quantitativi, all'accaparramento di nuove

frontiere, ma alla qualità urbana.

La storia dell'architettura moderna, e soprat-

tutto dell'urbanistica moderna, ha lasciato fino-

ra pochi margini consolatori per le perdite subite

di consistenze e di testimonianze: ne è risultato im-

poverito il patrimonio architettonico e ambienta-

le antico, impoverito lo stesso patrimonio cultu-

rale moderno.

Ciò va ricordato anche a fronte di pericolose

ed acritiche dichiarazioni di diritto all'intervento

e alla libertà progettuale, avanzate sul sostegno di

un richiamo alla storia intesa ambiguamente co-

me reiterato esempio di

continuum

innovatore. Se

la natura non fa salti (e anche ciò pare moderna-

mente contestato), certamente la storia ne è sog-

getta e dimostra come, nella lunga durata, risulti-

no di regola vincenti per qualità le scelte proget-

tuali inserite in chiari programmi di grande por-

tata propositiva in cui la fisicità dei luoghi abbia

costituito un elemento determinante e consaputo.

Se è vero che le vicende storiche del passato

sono state talora portatrici di distruzioni e di non

qualificanti ristrutturazioni, vale però anche il con-

cetto che esiste comunque un giudizio storico

negativo che su quelle vicende si può produrre.

Spesso le distruzioni della preesistenza sono state

misurate su dibattiti convincenti e derivano da scel-

te ragionate; quando gli interventi radicali si so-

no risolti in autentiche destrutturazioni e ristrut-

turazioni qualificanti, la loro portata culturale non

può essere sottovalutata, se il nuovo contesto di

scelte risulta portatore di nuovi valori.

Sarebbe certamente antistorico contestare la

validità intrinseca di tali processi, ma tuttavia que-

sti accadimenti non vanno assunti come alibi di

arroganti decisioni attuali.

Questa ricerca sulla città e sul territorio di To-

rino tende invece ad arricchire e ad approfondire

la conoscenza e la comprensione di questo nostro

presente, per caricare di maggiore consapevolez-

za la qualità progettuale delle proposte in via di

crescere entro le coordinate che sono tipiche del

piano e del progetto e della loro smagliante capa-

cità di previsione.

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