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nella quale tutta si può compendiare la storia di quell'infruttuoso,
ma non meno nobile tentativo per rendere uno ed indipendente
questo bel suolo italico, Ferdinando di Savoia vi brilla astro mag–
giore, guerriero illustre, eroe nel più lato senso della parola. E
forse, se il fatai consiglio del Comandante supremo dell'esercito
piemontese ch'era il polacco Chzarnowschi, non arrestava la vin–
citrice brigata di Savoia: e non solo, ma non avesse ordinato
al suo prode condottiero
il
Duca di Genova di retrocedere dalle
posizioni così splendidamente conquistate, forse le sorti d'Italia sa–
rebbero state ben diverse, non avrebbero tante vittime costato. Forse!
Ma non era ancor giunta l'ora che l'Italia ridivenisse libera, una,
nazione ammirata, grande, potente. Quel compito lo voleva il
destino affidato al Re Galantuomo, Vittorio Emanuele II.
Nela primavera del 1850, Ferdinando di Savoia, effettuava il suo
progettato matrimonio con la Principessa di Sassonia, Nel 185
I
gli nasceva la figliuola Margherita ora idolo, orgoglio e Regina
d'Italia, e nel 1854
il
figlio
Tornmaso
su cui molto spera la marina
italiana.
Nel 1852, quando avvenne in Torino lo scoppio della polveriera
in Borgo Dora, il Duca di Genova fu dci primi ad accorrere, c
colla sua presenza, col pronto ed esatto suggerire dando rincalzo
al valor dci soldati, seppe prendere per tempo tutte le precauzioni
che valsero a scongiurare maggior disastro e limitare l'incendio che
s'approssimava ai maggiori depositi di materie esplodenti. S'ebbe
allora
la
meritata onorificenza della medaglia d'oro al valor civile.
Si occupò ancora e di continuo dc' suoi prediletti studi militari
c scrisse anche, sulla breve campagna del 1849, memorie ed os–
servazioni.
Nel 1854 cominciò ad ammalarsi; le sue forze andavano ogni dì
deperendo, e con dolore estremo non potè aver parte nella spedi–
zione, che allora preparavasi, per la Crimea; quella morte che
tante volte aveva valorosissimamente affrontato sui campi di guerra,
lo rapì alla venerazione dei soldati, all' amore dei cittadini, il
IO
febbraio 1855.
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Fu il Re Vittorio Emanuele II che volle affidato allo scultore
Alfonso Balzico da Cava dei Tirreni (Salerno), e di cui già cono-