COMES
SABAUDIAE ET ITALIAE MARCHIO
mattamente questa politica di rinserramento delle
attività comunali italiane nello stato tedesco. La pace
di Costanza diede sì ai Comuni il riconoscimento della
loro esistenza, ma con la condizione di subire il
legame feudale di sudditanza. Certo Federico Bar
barossa non potè credere a Costanza di avere vinto
in tutto e per tutto: il suo programma infatti, quello
proclamato venticinque anni prima a Roncaglia, era
l'affermazione della autorità assoluta sopra tutti e
sopra tutto, contro comuni, contro feudatari, contro
chiesa, contro papato, secondo i precetti del diritto
romano rinato a nuova vita nella Università italiana.
A Costanza, invece, trionfò la concezione feudale del
l’impero e nella vittoria era insita quindi la definitiva
sconfìtta deH’impero stesso, sebbene la sconfitta fosse
ancora allontanata dall'imperatore svevo, in quanto
Federico I riusciva a procurare al figlio Enrico VI ed
al nipote futuro, Federico II, una base nuova per aspi
rare al dominio della penisola: il regno siciliano.
Contro questa politica imperiale, più favorevole
alle città che ai grandi signori feudali, i principi
sabaudi dovevano inevitabilmente urtare, in quanto
volevano riaffermare da parte loro quel programma
totalitario contenuto nei due titoli «
Sabaudiae Comes
et Itoliae Marchio
».
La scomparsa della contessa Adelaide nel 1091
corrisponde purtroppo ad una di quelle gravi crisi
famigliari, che non sono rare nei Savoia. Dopo il
marchese Oddone, la Contessa aveva visto scompa
rire tutti i figli: Pietro I, Amedeo II, Oddone vescovo
d'Asti, le due figlie: l’imperatrice Berta e la regina
Adelaide. L'avvenire della stirpe si trovò affidato ad
un ragazzo. Umberto II, figlio di Amedeo II. Nella
famiglia però nessuno dubitò che ad Umberto II di
Savoia spettasse di ereditare tutti i territori ed um
bertini ed adelaidini, la Contea e la
Marca.
Rifiutò
naturalmente Enrico IV ed avocò
a
sè la
Marca;
ben
aveva conosciuto, recandosi al drammatico colloquio
di Canossa, l'importanza dei passaggi delle Alpi occi
dentali.
Umberto II assunse tuttavia il titolo di Marchese:
« Comes atque Marchisus » ed Anseimodi Aosta, arci
vescovo di Canterbury, si rivolgeva ad Umberto II,
chiamandolo « Comes et Marchio». Certo non aveva il
Principe la forza necessaria per competere con l'im
pero ostile, con i parenti delle linee laterali della
casa arduinica, ma dopo aver rivendicato il titolo di
Marchese d'Italia, suprema sintesi delle aspirazioni
sabaude. Umberto II seppe affermare i suoi diritti
occupando ddl'immensa Marca un piccolo ma im
portante tratto: la valle di Susa. La valle rappresen
tava il possesso della famosa «c/usa Secusioe» in cui
tutte le merci pagavano il teloneo, rappresentava la
zecca, che Adelaide aveva installato a Susa verso il
1062-63quando aveva dovuto rinunciare, per le pro
teste del vescovo di Vienne, per il figlio Pietro I.
alla zecca di Aiguebeile, zecca che appunto allora
incominciò a battere monete sul tipo viennese con
la testi di SanMaurizio e ia diciturac
hetrvs Marchio,
Secusie Urbis».
Zona adunque importante per i Savoia,
anche economicamente.
Probabilmente l'affermazione sabauda in vai di
Susa avvenne nel 1098: in quell'anno, Umberto II
per la prima volta dopo la morte dell'ava Adelaide
«ingressus est Lombordiam
»: di quell'anno sono i
diplomi per la chiesa di Oulx, per l'abbazia di Pine-
rolo, il trattato con gli Astigiani. Da quell'anno i
Savoia furono più decisamente i padroni dei passaggi
alpini: la breve valle doranea fu per i Savoia non
parte accessoria, ma essenziale, vitale del loro stato.
Grazie a quella piccola striscia italiana, i Savoia sep
pero e poterono sfuggire al pericolo di estraniarsi
dalla vita italiana, al pericolo di diventare veramente
borgognoni come non lo erano mai stati nè il mar
chese Oddone, nè il conte Umberto Biancamano.
Zecca e pedaggi in vai Susa: lo stato sabaudo
aveva il suo centro principale in terra italiana; Savoia,
Moriana, Tarantasia erano solo il prolungarsi della
terra italiana nella zona alpina rodanica.
Baluardo formidabile: gli sforzi fatti per espellere
i Savoia dalla valle doranea non mancarono nel se
colo X II, da Lotario III ad r
VI; nè l’uno nè
l'altro imperatore vi riuscì; Feuci ico Barbarossa passò
il Cenisio solo con il consenso del «
Comes
Sabaudiae
et Italiae Marchio
», ma a Susa imparò più che in qual
siasi altra città italiana che cosa fosse il furore della
gente italica.
Dal castello di Susa eretto sui resti del
castrum
romano, ai piedi dell'arco solenne che ricordava pur
sempre la gloria d'Augusto e di Roma, i Savoia mi
ravano all'altro castello romano di Torino, pieno dei
ricordi dell'ava Adelaide, alla chiesa cattedrale in cui
riposavano tutti gli avi arduinidi. Nè Umberto II nè
il figlio Amedeo III si accontentano di dirsi Marchesi:
se è falso un diploma di Amedeo III per la prevostura
di Rivalta in cui il principe sabaudo vien detto «
nepos
Comitissae AJadiae et hereditario iure successore
do
vremo però considerare il documento come atte
stazione delle idee che si avevano in proposito nella
regione.
Se Tomaso I trattando nel
1224
con il comune
d’Asti, dichiarerà di tenere in feudo dagli Astigiani
« totam Illam terram que est de comitatu et marchio-
natu et que est ve/ fu/t ipsius et predecessorum eius
quam ipsemodonon tenet ve/dequa ipsi qui eam tenent
sunt contrarii ve/esse videntur... » noi troveremo facil
mente in questa espressione l'ambizione costante di
ricuperare il Marchesato avito.
Torino pare irraggiungibile. Se i Savoia si fortifi
cano nella valle di Susa, giù nel piano i vescovi di
Torino affermano la loro potenza, circondati da una
massa di livellari e vassalli. Enrico V, ostile ai Savoia
pur essendo figlio di una principessa sabauda, in un
suo passaggio confermò ai Torinesi la
libertà
di cui
godevano, cioè la diretta dipendenza deH’impera-
tore. fatta riserva per i diritti dei vescovo, ad il
godimento detta strada tornea sino ad Avtgiiaaa, sin
dove cioè si estendeva la zona sabauda. Una crisi -