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diensi, Alberisi, Avigenerisi, Albenganensi, Vigintimi

-

hensi...

e la Marca si estendeva nei sogni della loro

ambizione senza lim iti; altri confini non erano sen­

titi se non quelli che la capacità e la potenzialità del

momento stabiliva. Perciò Torino era la mira costante:

quanti orizzonti si sarebbero aperti con il possesso

della cittadina padana!

Per questo appunto, Federico Barbarossa volle

creare a Torino un principato episcopale che gli fosse

sicuro appoggio nel dominio della regione. Era su

per giù una nuova Marca, ma in mano ad un vescovo,

ad uno di quei vescovi a cui l'imperatore voleva

raccomandare il papa dello scisma e della superiorità

deH'Impero sulla Chiesa. Se il vescovo Carlo fosse

riuscito a mettere le mani su tutto quello che Fede­

rico Barbarossa gli concedette con il diploma del

26 gennaio 1159, nel raggio di dieci miglia ed oltre,

la giurisdizione temporale del vescovo torinese

avrebbe distrutto ogni possibilità di risurrezione sa­

bauda. Ma in Torino il vescovo non è sicuro: anzi vi

è un partito che riesce persino a contrapporre al

vescovo Carlo imperialista un altro vescovo avverso

allo scisma ed all'impero e devoto al legittimo papa

Alessandro III.

Così quando Federico Barbarossa si trovò nel pe­

riodo critico della lotta con i Comuni e dovette

cedere, per averne l'appoggio, davanti alle pretese

di Umberto III, Torino, con Cavoretto, Collegno e

qualche altra località, fu consegnata al suo antico e

legittimo signore, il Conte di Savoia e Marchese

d’Italia. Alle trattative di Montebello con i Comuni,

prima di Legnano, prese parte, come rappresentante

dell’imperatore, Umberto III di Savoia, il che non

tolse che Federico Barbarossa dopo il trionfo diplo­

matico riportato sui Comuni, prima a Venezia e poi

a Piacenza ed aCostanza, ritornasse alla ostilità contro

il Marchese di Torino. Meglio a Torino un vescovo

prepotente ma devoto! Colpito dai bandi imperiali,

Umberto III si ritirò nella sua naturale fortezza: chi

10avrebbe inseguito nella valle di Susa, oltre la tur­

rita Avigliana?

Il secondo vento di Soavia fortunatamente spirò

impetuosoma per breve tempo: nel 1197già EnricoVI

scompare e tosto s'accende la lotta fra Filippo di

Svevia ed Ottone di Brunswick. Anche in Italia i due

pretendenti cercano e trovano partigiani. Le fòrze

locali feudali e comunali si dislocano: si iniziano lotte

fra signori e comuni anche nella pianura torinese;

Torino, Chieri, Testona, Asti, Marchesi di Monfer­

rato e di Saluzzo, Conti di Biandrate...

Il Marchese sabaudo assiste sicuro e fidente a tutti

i movimenti politici (fella regione su cui dominarono

i suoi avi; egli ha un programma preciso: pretendere

1 riconoscimento delle sue giustizie, dei suoi diritti,

dal vescovo e dal comune di Torino. Ecco il

unum

est necessarium». Tomaso I è indine

di Svevia

Ottone IV di