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I LIBRI

passioni, vengono guardati con occhio scrutatore, con mente che

vuol darsi ragione del fenomeno, non per appagare una sia pur

alta curiosità d'indagatore accorto ma freddo, sibbene con l'esame

appassionato del moralista che tende a trarre, dal buio delle cose,

dei pensieri, degli esseri un po' di quel sale della verità che gli

uomini d'oggi sogliono sdegnare, solleciti come sono, o paiono,

di appagamenti materiali e di trionfi effimeri, come può darne la

conquista di un primato meccanico o puramente materiale d'ogni

genere. Nel dialogo tra Torre e Sergio Uvaroff è studiato il con­

trasto tra Oriente ed Occidente, nel dialogo « Dal Gange al Po»

sono incontrasto due concetti della vita, quello puramente spirituale

dell'indiano e quello nettamente positivo, anche se condito di un

poco di poesia, dell'Occidentale, padrone di officina. Mi consenta

il Poeta di essere così l'indiano, anzi con il suo e mio Goethe

che dice: « L'uomo d'azione è sempre senza coscienza, soltanto il

contemplativo è un uomo che ascolta le voci della coscienza e riflette

i supremi cieli dell'anima». La poesia della macchina, del dominio

sullo strumento cieco e bestiale che serve unicamente alla nostra

vita materiale e non ha che l'anima che noi gli diamo, non mi con­

vince e preferisco il professore di teologia bramimca quando pro­

clama «il diritto deiramma. particella di luce che ha già vissuto in

altri mondi e che vivrà in mondi successivi senza il suo corpo e senza

tutti questi mustruosi ordigni di ferro e d'acciaio» all'industriale

che addita nelle oscure masse uscenti dalla fabbrica, regolata bestial­

mente secondo il sistema Bedaux, che la civiltà di Roma ha final­

mente annientato, i creatori della Storia del mondo; mentre, m'm-

segna l'alto Poeta, che la stona del mondo è fatta dagli « Eterni

V

ivi

». Nel dialogo « Noi e le Belve » è affrontato e risolto con una

stupenda pagina d'elevatissima affermazione morale la necessità

della legge che crea I ' « Uomo che dagli abissi ascende ai vertici

in cui la bellezza è bontà vestita di luce ».

Nel

Giudizio degli illustri

è affrontato il problema della voce del

mondo che commenta l'atto di una volontà definitiva con la molte­

plicità del fallace giudizio suggerito da una serie di considerazioni

tutte derivate dal singolo modo di concepire il diritto aH'esistenza;

dialogo che si chiude con un'affermazione di vita e di forza morale

altissime. Mentre nelle poche pagine di « All'orlo di un mare

astrale » è affermato stupendamente il concetto della poesia: « arte

nostra di un giorno... divina arte terrena che crea con molta ombra

e un poco di luce le parole delle umane verità ». « Un mattino e

una sera di Giorgio Alberti » è lirica in prosa della più schietta

fattura, pensieri alati che la forma impeccabile rendeva più tersi e

armoniosi e. queste caratteristiche, ove appaiono rilevate e tali da

superare ogni altra preoccupazione filosofica per diventare puro

canto, come in « Una straniera » e « Nell'orto di Mirjam ». ti fanno

accettare il pensiero del Poeta anche se ad esso non consentano

le tue convinzioni spirituali, anche se tu non accetti la sua filosofia

spesso desolata e velata d una malinconia profonda ed ardente,

anche se credi in quel Dio di Platone e di Pascal, nel quale Arturo

Foà vorrebbe, ma non riesce a crederci.

L'ansia di Dio e lo scoramento, perchè la rivelazione non è il

porto cui giungeci l'ardente logica del Poeta, informa tutti i sei dia­

loghi di recente pubblicati. Parlano in essi ombre che hanno proiet­

tata sul mondo — mi si passi il bisticcio — luce a fasci e a raggere:

Dante. Foscolo e Manzoni. Shakespeare e Goethe. Byron e Shelley,

Leopardi. Nietzsche e il Profeta Eliseo. Emerson e Baudelaire.

Interlocutori che interloquiscono dall'alto e che. discendendo nelle

radenti pianure terrene, portano un amore, un poco strano qualche

volta, per questa terra dalla quale il volo nella morte li deve pure

aver recati lontani!

Anche qui. come in

Eterni

v iv i

la magìa dello stile ti afferra nei

suoi lucidi gorghi; non ne sei sviato al punto da dimenticare la ragione

filosofica che la muove — anche perchè in Foà stile e contenuto

sono veramente un corpo solo — ma non puoi sottrarti facilmente al

fucino di quella prosa lucida, chiara, tersissima.

Il primo dialogo si svolge tra Dante Foscolo e Manzoni non già

in un Paradiso o in un Inferno artisticamente ricostruiti, ma m una

specie di limbo in cui la terra è presente nelle cose e nelle parole

dei giganteschi protagonisti di questo colloquio; dramma in cui

gii spinti di Dante e di Foscolo si sovrappongono totalmente aquello

dLMamoni, che si annulli e non appare che in una quieta alferma-

tpqnf che forte non troverà consenzienti tutti coloro che amano

il Manzoni di Padre Cristoforo, dell Innominato, del Cardinal Fato,

rico. della scena del Lazzaretto, il Manzoni della fede opera*

attiva, creatrice. Ma nel dramma tra Foscolo e Dante, tra due tal-

peste in atto, il poeta non ha potuto vedere il Manzoni che eoa*

l'ha veduto. Il secondo dialogo ha per protagonisti Goethe e SI»

kespeare, dialogo originale senza dubbio, scritto in una specie d

attanagliamento spirituale e in uno stato di grazia, in quanto a ere­

zione, tra i più rilevati. Sotto l'impeto della forma e dentro ii tur­

binio delle immagini, chiara è la tessitura logica e lirica e la teorii

delle alte proporzioni è posta magistralmente; non sarà dimenticai

dai lettori che hanno vigile il senso delle costruzioni mentali durabii.

Il

terzo dialogo tra Byron e Shelley lungo il lido di Viareggio

una mirabile ondante pagina di poesia e di sogno; la forma è com-

penetratissima della sostanza aerea, sognante, a tratti purissimi

che dà a questa prosa l'ondulare di una strofe uscita dalla bota

di Ariele. Prosa scritta in uno di quei momenti di felicità formdi

e di liberazione, che creano cose addirittura perfette. E questo I»

dico senza timore di smentite. Peggio per chi non l'intende.

Bello per il modo come è condotto, per la varietà di pensiero*

la precisa posizione assunta dagli interlocutori è il quarto diala§D

tra Leopardi ed un maestro di lettere sui golfo di Napoli; certe peti­

zioni critiche, certi atteggiamenti davanti al prodigio dell'arte, li

posizione chiaramente affermata contro le stolte tendenze agi

ermetismi illogici delle moderne poesie mentre la lirica è la pit

alta logica che sia data alla mente umana, conferiscono a questo

dialogo un andamento originalissimo e avvincente; pagina scritto

con la lucida consapevolezza di chi ha la profonda convinzione neih

suprema missione della Poesia.

Nel quinto dialogo Nietzsche ed Eliseo s'incontrano in un pianoro

delle Alpi marittime mentre il primo è intento alla creazione

dai

Superuomo: Dialogo condotto con violenta concisione che ha balenìi

corruschi di lama, come in un duello. Nieusche cerca di persuadile

Eliseo, con un modo logico nelle forme liriche, che tutto nel monde

si riduce all'essere-uomo contro ogni cosa. Il poeta è riuscito a

rendere armonicamente evidente questo pensiero, ma noi sentiamo

maggiormente la grandezza del Profeta biblico quando afferma

eh»

«G li uomini, o inconsapevole nnnegatore d'Occidente. hanno

bisogno di scuotere qualche volta il giogo di Dio per gettarsi con

più sottomesso cuore ai piedi di Lui » d Colui che agita i tiasi e i tini

di una moderna baccante gridando forsennatamente: « Dioniso,

Dioniso. Dioniso, figlio unico e bellissimo della terra, danzante

agli inni dei torrenti fecondatori sotto un cielo vuoto di prodigi ».

Ed infine nel sesto dialogo Emerson e Baudelaire affrontano il

problema dell'Arte e della vita da due punti nettamente antitetici:

Baudelaire è qui visto nella sua essenza satanica (ma forse il sata­

nismo è più in Rimbaud che in Baudelaire) e si urta contro la con­

cezione presbiteriana, se pur alta, del filosofo della

Conduci

«f

bfe.

Forse si può restare perplessi nel considerare questo dialogo,

ma è certo che il poeta, scrivendolo, ha obbedito ad una sua leggi

interiore che gli fa concepire ogni grande poeta come un giardino

in fioritura o in dissoluzione che va giudicato non soltanto con lo

spirito ma con tutti i sensi; da qui ne scaturisce, secondo Artura

Foà. il concetto che la poesia beudelairiana ha l'aroma dissolventi

dei velenosi fiori immersi con le loro radici in terreni saturi

é

germi epidemici. Resta la bellezza divina di certe poesie supreme

per queste Emerson afferma che il tempio della poesia baudelai-

nana non va distrutto. E qui siamo pienamente d'accordo

eoa

Emerson e più con Foà.

Questo nuovo libro di Arturo Foà è una rinnovata affermazione

dell'alto sentimento che anima, come non mai. la vita spirituale

àà

Poeta e del Pensatore, che io rende caro ai nostro intelletto e ri

nostro cuore per il magistero di dignità artistica che

impartisca

e per l'ardu

t

méta che addita alla nostra ansia insonne di bellez»

e di verità.

ANGIOLO

t

Salutine

7

Moni

Copertina e disegni di Franco Ber*

toni. Torino.

A

l'ansségna di brandè. I93S. pagg.

HO. L.

6. J

Se. con una sola parola, dovessi definire il carattere, lo spirila

dominante, il significato ultimo del nuovo volume di versi

I’

« Ara

segna di brandi a ha pubblicato con vaste tipografica i

sima. non saprei pensare che a ratoffto.

6 8