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timo spettacolo degno di qualsiasi teatro di prim'ordine.

Si pensi che la costituzione dell’orchestra, richiese che si

scritturassero quattro professori austriaci, giunti da Sali­

sburgo (partirono austriaci e rientrano in patria ger­

manici), rispettivamente cioè i due primi corni ed

i due primi tromboni, oltre al timpanista, di cui in

Italia non si trovava più nemmeno un esemplare

con relativi strumenti a percussione anche se commis­

sionato senza badare a spese! Cortesi concessioni del

Comando del Presidio Militare aiutarono a superare

alcune difficoltà di personale e di strumenti. E la ff'al-

kiria passò trionfalmente, fra schiere di ascoltatori appas­

sionati, di cui, per tesserne l'elogio si potrebbe dire, che

furono pochi ma buoni, in platea e 1* galleria: numero­

sissimi sempre in seconda galleria. I prezzi nei teatri

popolari, contano pur qualche cosa da non dimenticare

mai. Seguì un'accuratissima edizione del Boris Godunoff,

di Mussorgski, con l’ottimo basso torinese Tancredi Pa-

sero, per la prima volta interprete apprezzato del capo­

lavoro melodrammatico russo.

Se dovessimo parlare dell'opportunità della scelta di

tale opera, diremmo che non ci trovò consenzienti; oggi,

tutto ciò che è russo, dovrebbe subire in Italia una rigo­

rosa assoluta quarantena.

Invece sul palcoscenico del Vittorio oltre che l'opera,

di russo c'era quasi tutto il resto: Regista, cantanti, co­

reografia e persino qualche... comparsa! o... le gambe

delle ballerine!

Tiriamo innanzi! Nell'OteUo di G. Verdi, Aureliano

Pertile e Mariano Stabile si trovarono per la prima volta

insieme, come interpreti del grande melodramma del

cigno di Busseto: che magnifico incontro di artisti del bel

canto! A parte l'infortunio toccato alla prima rappre­

sentazione. rimandata forzatamente dalla domenica al

lunedì, quando il pubblico gremiva già ia sala, per non

più possibile nè prevista sostituzione per la stessa sera

di domenica della Franca Somigli, gravemente indisposta,

ed il giorno seguente rimpiazzata con la Margherita

Grandi, dolce e delicata Desdemona in confronto della

stessa Somigli, più appassionata e vibrante, se pur meno

fedele al tipo creato dal grande drammaturgo inglese,

nell'interpretazione che a sua volta ne presentò, nelle

rappresentazioni succedute a quella infortunata di cui

sopra, l'opera verdiana ebbe negli interpreti tutti e nel­

l'accuratissima cornice scenica il più lodevole contributo

di allestimento e la sua buona esecuzione conseguì il

più lieto successo, anche nella serata dopolavoristica,

che realizzò il miracolo — miracolo in relazione alla fre­

quenza media del pubblico durante il corso della stagione —

di affollare il Vittorio, con un esaurito effettivo. E poi

occhio ai prezzi specie in questo genere di stagione, fuori

della sede ordinaria ed appropriata. E siamo all'opera

nuova: Cleopatra del M° La Rosa Parodi. Direttore del­

l'orchestra torinese delTE. I. A. R., visioni sceniche del

Comm. Cocchetti pure direttore artistico dell'Eiar, ver­

sificazione di Cesare Meano. messa in scena, con l'approva-

zione del Ministero della Coltura Popolare. La critica

fu unanime nel giudicare in sensofavorevolissimo l'apporto

dato al nuovo melodramma dal collega in giornalismo,

Cesare Meano.

la nostra rassegna è finita. Diversi spettacoli ebbero

l'onore della trasmissione radiofonica. Due parole sole,

per concludere, con un pizzico di... filosofìa locale.

Ha corrisposto il pubblico torinese ai sacrifici finanziari

incontrati dalla Società Lirica Torinese ed in ispecie dal

suo Presidente e dagli altri membri del Consiglio d'ammi­

nistrazione oltre che dagli azionisti, per allestire questa

stagione d'opera forzatamente ritardataria del Teatro

Vittorio? Non occorre dire quel che a tutti è noto. Ed

ora... ed ora?

« Ora e per sempre addio, sante memorie, addio sublimi

incanti del pensiero! ». Così rugge Otello, nel finale del

secondo atto del grande lavoro di Giuseppe Verdi. Ma

i mecenati della Società Lirica Torinese — mecenati sul

serio del Teatro Lirico non si può essere o diventare, come

una più che annosa esperienza insegna dappertutto, se

non si è disposti a sacrificare per la dignità dell'arte,

diciamo sacrificare, ma non sperperare, fior di quattrini

poiché anche facendo dell'arte, si deve pur sempre ammi­

nistrare con criteri industriali — non rimpiangeranno

certo gli innegabili cospicui sacrifìci non tutti, tenuto conto

di certe inutili sovrabbondanze, veramente opportuni ed

utili affrontati per questa stagione, rappresentante per

la loro Società se non per alcuni di essi, già esperimentati

nell'amministrazione di altra Società Lirica, l'esordio di

una promettente vita artistica teatrale. Non li rimpiange­

ranno e non diranno addio, come Otello, alle sante me­

morie, ripensando i sublimi incanti dell'arte lirica ap­

punto se vogliono continuare a fare i veri mecenati!

E molto probabilmente si disporranno, appunto perchè

vorranno esser sempre tali, non a rimpiangere ma a

rimanere e persistere sulla buona via che la Società Li­

rica Torinese ha incominciato molto lodevolmente a per­

correre sotto la loro guida, col proposito di far sempre

bene ed anche meglio nell'interesse dell'arte lirica e della

cittadinanza torinese.

G sia consentito per chiudere queste note frettolose,

formulare un vivo augurio, appunto nell'interesse del­

l'arte lirica e della cittadinanza torinese:

Che le buone iniziative cioè siano come già lo sono,

incoraggiate ed appoggiate da chi ne ha i mezzi e l'auto­

rità e che le energie sane e fattive anziché divergere ed

affermarsi in sensi a volte opposti o quasi contrastanti,

siano disciplinate, coordinate ed avviate, da un organo

superiore di affiatamento e di collegamento distributore

nel tempo e nello spazio. A questo mondo c'è posto per

tutti, senza che alcuno debba o voglia camminare sui

piedi degli altri od attraversare dannosamente la strada.

C'è mezzo di marciare, mossi tutti dal rispettivo lo­

devole scopo, senza menomamente pestare i calli ad

alcuno.

« E questo fia suggel che ogni uomo sganni! ». Attento,

molto attento proto, di stampare il verbo finale, con la

g, e non con la c. Altrimenti, il divino poeta o chi scrive,

sarebbero responsabili di propositi e di incitamenti invo­

lontari ad insospettate ed imprevedibili carneficine di

appassionati cultori del teatro lirico torinese, tutt'altro

che meritevoli di siffatte nefandissime eventualità san­

guinarie!

ANGELO VOSSU