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emergono unicamente due significativi sistemi inse-

diativi polarizzati sulle emergenze architettoniche

emblematiche dell'ultimo periodo storico (e in quan-

to tali specificate nel disegno del 1835): il Tempio

della Gran Madre con il ponte napoleonico sul Po ed

il Ponte Mosca relativo al Borgo Dora.

Una ulteriore fase significativa di intervento ur-

banistico sulla città si avrà nei primi anni Cinquanta

con il

Piano d'Ingrandimento detta Capitate (1850-

1852) — che sviluppa e coordina proposte settoriali,

avanzate e approvate a partire dal 1843, ma sospese

per le avverse vicende storiche del '48 — e con il

piano di sfruttamento dell'area della ex Cittadella

(1857), dopo la sua disattivazione nel 1852. I1 pro-

getto urbanistico globale è sorretto da una logica

di stretta integrazione strutturale con il sistema inse-

diato preesistente, del quale vengono riprese le as-

sialità attestate su punti focali e la lottizzazione a

scacchiera.

Le prime proposte organiche di pianificazione al

di là dei limiti fisici del sistema dei viali completati

negli anni Trenta, riguardano una zona del settore

sudorientale: Borgo S. Salvatore, prospiciente il

Borgo Nuovo oltre il Viale del Re, nei limiti definiti

dalle emergenze architettoniche del Castello del

Valentino e del complesso conventuale di S. Salva-

no. Le ragioni della scelta sono in parte motivate da

situazioni analoghe a quelle già citate a proposito del

Borgo Nuovo, in parte dovute al fatto che molti dei

terreni interessati erano di proprietà demaniale e, per

i rimanenti, vi erano pressanti interessi privati a co-

struire.

Le prime istanze di fabbricazione sono del 1836

e il loro accoglimento (1843) — che stabiliva di

erigervi unicamente amene ville e giardini »

condizionerà perennemente il settore prospiciente la

piazza S. Salvano (

19

). Il gran numero delle riunioni

del Regio Consiglio degli Edili e dei piani presenta-

ti, discussi, variati (

20

) per l'ampliamento nella zona

non si spiegherebbe senza tener conto delle obiettive

difficoltà progettuali (la scelta direzionale tra la stra-

da di Nizza ed i viali congruentemente o no orientati

rispetto alla viabilità cittadina, il progettato inseri-

mento di grandi architetture emblematiche, quali

l'ospedale militare o un nuovo tempio) e della quali-

tà sperimentale dell'intervento per il quale i maggio-

ri progettisti cittadini cercavano di impostare le re-

gole generali che avrebbero guidato fino all'età uni-

taria ed oltre tutti gli sviluppi urbani. Valga, a suf-

fragio della prima considerazione, il fatto che il

Consiglio degli Edili si trova a decidere in una stessa

seduta su ben cinque piani diversi (figg. b2 e b3) e,

per la seconda, che fin dal 1845 si erano fissati i

principi dei « piani-progetto » che saranno consolida-

ti da Carlo Promis negli isolati intorno a Porta Nuo-

va. Era infatti giudicato opportuno dal Consiglio il

corredare piazze e vie di portici .1...] e dover pari-

menti le fabbriche in fronte loro essere regolate con

Architettura uniforme facendo protendere i portici

con fabbricato superiore anche per tratto delle vie

che diramansi dagli angoli [... ] » mentre per « gli

altri isolati potersi ammettere una decorazione qua-

lunque, purché regolare e come tale riconosciuta dal

Consiglio» (21).

Vicende alterne ha anche l'ampliamento, a

Nord-Est, che interessa la zona di Vanchiglia, e che

farà pure parte del

Piano d'ingrandimento detta

Capitale.

Fin dal 1844 una società privata aveva

presentato un piano di lottizzazione residenziale,

studiato da Alessandro Antonelli. Il progetto per

l'edificazione che era legato ad una più vasta idea

di sistemazione territoriale è approvato con Regia

lettera Patente del 12 settembre 1846 pressoché con-

temporanea a quella del piano per S. Salvario; la

pratica è tuttavia bloccata e si chiede al Consiglio

degli Edili (che rimetterà la questione al Vicario) di

fare «ricorso per l'approvazione del Piano di Van-

chiglia a provvedere per il prescritto trasporto del

Cimitero israelitico con diffidamento che non si

permetterà l'occupazione delle intraprese fabbriche

insino a tanto che avranno soddisfatto a tale condi-

zione ed all'altra del coprimento del canale» (22).

La definitiva approvazione del progetto di amplia-

mento, bloccato sul Corso S. Barbara (Regina Mar-

gherita), oltre Corso S. Maurizio e fino a Po, avvie-

ne con Decreto di Vittorio Emanuele II, il 5 maggio

1852 (23).

Per la terza zona interessata,

fuori Porta Susina

e netta regione Vatdocco,

a ponente della città, era-

no stati presentati progetti di ampliamento, compa-

tibili con i persistenti vincoli militari della Cittadel-

la, approvati dal Consiglio degli Edili, ma rimasti

senza vidimazione reale. Nonostante le diat

ri

be coi

proprietari che intendevano annullare i viali a favore

di vie porticate, l' 11 novembre 1851 il piano di in-

grandimento viene approvato, definendo un'area lot-

tizzata regolare limitata dai Corsi Valdocco e S.

Solutore, eccedente per un isolato gli assi rettori di

Via Dora Grossa e di Corso S. Massimo (Regina

Margherita) (24).

La nuova figura di città che consegue alla piani-

ficazione degli anni Cinquanta risulta dunque forte-

mente integrata rispetto alla Torino settecentesca,

riprendendone le assialità in modo così deciso da

voler eliminare due viali esistenti perché diago-

nali (

25

); unica eccezione ad uno schema assoluta-

mente ortogonale rimane la zona di Vanchiglia,

condizionata dalla precedente lottizzazione della

Piazza Vittorio (fig. b4).

Non va dimenticato che le tre zone coinvolte

negli ampliamenti erano interessate dal problema di

integrazione nel tessuto urbano delle nuove strade

ferrate. A Sud la posizione della ferrovia di Genova

aveva creato attriti tra Governo e Municipalità, in-

tendendo quest'ultima porre « gli stabilimenti della

strada ferrata volgarmente detti Imbarcadero » arre-

trati rispetto alla Piazza Carlo Felice — od oltre il

Corso del Valentino o sul prolungamento di Corso

Duca di Genova — ed essendo l'altro deciso a sce-

gliere la Piazza Carlo Felice come luogo deputato

allo scopo, confermando e attualizzando la primarie-

tà dell'asse rettore vitozziano (26).

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