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Paesaggio rurale, canali e protoindustria:

sulle tracce dell' « archeologia del lavoro »

Laura PALMUCCI

Il territorio foraneo torinese, inglobato a partire

dal primo Ottocento nell'espansione della città, ap-

pare ora quasi tutto urbanizzato secondo un disegno

che si è andato sovrapponendo, per circa due secoli,

alla struttura del parcellare, dei percorsi, dei canali,

delle preesistenze edilizie, con risultati a volte pro-

grammati, ma più spesso, con soluzioni intermedie

di compromesso tra l'inerzia del disegno preesisten-

te e l'atto pianificatorio.

Nella sua avanzata la città ha via via assorbito il

paesaggio agrario circostante, talvolta inglobando e

distruggendo i segni della sua storia secolare (la

«piantata» ai bordi del parcellare, i viali di accesso

alle cascine e alle ville, molti edifici rurali attraver-

sati e tagliati dagli allineamenti stradali: la Rosa e la

Zappata alla Crocetta, la Porporata lungo corso

Francia, la Brnsa, la Fiorita e — sulla carta la

Fossata a Madonna di Campagna), talaltra recepen-

doli sebbene estraniati (via del Fo

rt

ino, via Cardinal

Massaia tracciate sul percorso delle bealere Pellerina

- Martinetto e Lucento) spesso lasciando alla zona la

sola memoria di preesistenze scomparse, attraverso

il toponimo (Parella, Lesna, Molinette, Falchera,

Aurora, Martinetto).

Tuttavia, nella sua dinamica insediativa, la città

ha ereditato dalla campagna talune strutture (

1

), fa-

cendole proprie e riorganizzandole nel nuovo siste-

ma di segni e di funzioni. Così

e

avvenuto per le

borgate rurali (Mirafiori, Tetti di Lusent, Tetti Bo-

rello...) le quali, inglobate nel nuovo tessuto edilizio

non senza una avvertibile discontinuità morfologica,

sono divenute il centro di servizio per la frangia

insediativa periferica, come pure per le annuclea-

zioni religiose isolate (Madonna di Campagna, Poz-

zo Strada, Madonna del Pilone, Crocetta) che, so-

vente, hanno costituito il polo aggregativo dei nuclei

« operai » otto-novecenteschi sorti fuori dalla cinta

daziaria, sia infine per le polarizzazioni paleoindu-

striali lungo i canali (Martinetto - Valdocco - Borgo

Dora) che hanno costituito un richiamo insediativo

per gli opifici sei-settecenteschi ed anche per lo svi-

luppo industriale successivo, con una continuità

d'uso ribadita ancora oggi (fabbrica d'armi al Val-

docco, poi opificio Vandel, ora Fiat Ferriere; Fila-

toio Boyer, poi Campana, ora conceria CIR; Conce-

ria di S.M., poi Mandina, ora opificio CHALLIER).

La storia di questa campagna, inclusa dall'avan-

zata del fronte della periferia nella città, è ancora

tutta da scrivere; è noto finora che sino all'abbatti-

mento delle fortificazioni, al di fuori della città si

erano da tempo formati i sobborghi, gravemente

danneggiati nel XVI secolo, ricostruiti e inglobati

negli ampliamenti urbani del XVII secolo (salvo

quelli di Po e Dora), i quali avevano costituito da

sempre

il

serbatoio all'accrescimento demografico

della città ed erano organizzati funzionalmente come

servizio alla città stessa, sia per la produzione ortico-

la che manifatturiera (

2

).

Al di là di essi, dopo un'ampia fascia di rispetto

alle fortificazioni, si allargava la campagna, solcata

dalle strade che conducevano ai comuni limitrofi

ramificandosi dalle porte urbane (le strade di Orbas-

sano, Pinerolo, Carignano partivano dalla porta

Nuova a sud, le strade di San Mauro e Moncalieri

dalla porta di Po a est, le strade di Agliè e Chivasso,

di Altessano e Caselle dalla porta di Palazzo a nord,

le strade del Gerbido, di Grugliasco, Rivoli e Colle-

gno dalla porta Susina a ovest).

Talune di esse erano state rettificate con intenti

rappresentativi durante il Settecento, tagliando il

parcellare preesistente, sia per condurre alle dimore

di caccia (stradone di Stupinigi, strada di Venaria

Reale) sia perché percorsi internazionali (stradone di

Rivoli, per la Francia; strada di Agliè e Chivasso,

per la Lombardia; di Pinerolo e Carignano, per Niz-

za e il mare). Si era venuto a creare in tal modo quel

territorio « disegnato » in senso scenografico, così

rispondente all'atto pianificatorio del momento.

Il territorio foraneo a sud della città, per la natu-

ra stessa del suolo, risultava nel Medioevo più ferti-

le; nei catasti del XIV e XV secolo l'incolto era

quasi nullo e fra i coltivi prevalevano l'arativo e la

vigna « altenata » (

3

), facendo ipotizzare in questa

zona un insediamento disperso in forma stabile, più

precoce che altrove.

È quindi tra Dora e Stura, nei terreni meno favo-

riti sotto l'aspetto geo-morfologico, che si attuò tra

la fine del XIV e il XVI secolo una intensa opera di

bonifica idraulica, tagliando canali con i quali si

regimò il deflusso delle acque, potendo sfruttare la

presenza dei corsi d'acqua e la pendenza del terreno

e creando ampi prati per l'allevamento del bestiame.

Risalgono a questi interventi le bealere Pellerina,

Cossola, Putea, Vecchia e Nuova di Lusent, poten-

ziate in seguito, per i soli scopi industriali, dalla

bealera del Regio Parco (1758), dai canali Michelot-

ti

(1815-16) e Ceronda (1869-72) (

4

).

Il contado intorno a Torino diventerà ben presto

intensamente coltivato, « ... una campagna suddivi-

sa in un numero infinito di piccole proprietà, al cen-

tro delle quali sono costruite le aziende per la loro

lavorazione ... [dove] ... corrono numerosi rivi ... e

folte piantagioni ... affollano le loro sponde e co-

prono allo sguardo le fattorie e i villaggi che popola-

no questa pianura.... osservava un viaggiatore al-

l'inizio dell'Ottocento (

5

) ed in effetti, un censimen-

to delle presenze rurali ne rilevava a fine Settecento

un numero di 343, disseminate un poco dovun-

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