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Nel 1847, istituitosi il Supremo Magistrato di Cassazione, il

Siccardi fu chiamato a farne parte come uomo di alte virtù di

mente e di cuore e per istinto, per ingegno, ' per esperienza capace

di apprezzare e di esplicare le civili istituzioni che Re Carlo Alberto

largiva, quasi inconscia preparazione al gran mutamento che le ri–

forme e lo Statuto doveano portare nel civile e politico assetto

dello Stato.

l"

e' primi mesi di governo costituzionale, il Siccardi , sempre

pari a se stesso, degno dell'altissima rinomanza a cui era salito,

tenne eminenti uffizi e fu uno fra i sommi che il Governo pie–

montese, ne' suoi desideri di conciliazione, inviava presso

la

S. Sede

in missione speciale. Ciò accadeva nel settembre 1849:

la

missione

falli come le altre, non per colpa dell'inviato, ma per l'inflessibile

ostinazione della Corte Romana.

Addi 18 dicembre dell'anno stesso il conte Siccardi fu chiamato

a sedere ne' consigli della Corona come guardasigilli, ministro di

grazia e di giustizia ed in pari tempo nominato Senatore del

Regno.

In Parlamento rivelossi sommo oratore nella difesa di quelle

tanto contrastate e pur si benefiche leggi che da lui presero nome.

Sobria, concisa, efficace era

la

sua eloquenza che, con ardita ma

ben giusta metafora, fu detta eloquenza scultoria,

Tenerissimo essendo della eguaglianza civile e dello svolgersi

naturale delle istituzioni liberali; promosse tosto la presentazione

d'una legge d'abolizione dei privilegi ecclesiastici ed anzi tutto di

quello di tribunale speciale.

Il

Propongo all'approvazione vostra - diceva egli alla Camera

- un provvedimento ordinato a convertire in leggi alcuni canoni

già posti nello Statuto fondamentale e domandati dalla presente

condizione dei tempi. Vuole la nostra costituzione

la

egualità

delle

leggi per tutti i cittadini qualunque sia il titolo o il grado.

È

perciò

mestieri che

la

giustizia si derivi dal solo principe e nell' augusto

suo nome, venga ad ognuno, sia laico, sia ecclesiastico, ammini–

strata dai giudici che egli eleggc e che lo Statuto rende inamovi–

bili. Il togliere a' corpi morali, religiosi o secolari, facoltà di acqui–

stare e di accettar donazioni c lasciti

è

conforme alla civiltà de'

tempi ed al voto più volte manifestato in Parlamento; il rendere

civile

il

matrimonio

è

opera di savia legislazionc da non potersi

in un paese di liberi preterrnettere

» .