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in Vincenzo Gioberti l'uomo dalla miracolosa

antiveggenza.

il Rinnovamento Civile degli Italiani, libro che

sollevò tante discussioni e apprezzamenti nel 1851

quando venne pubblicato, non è che un'ampia

profezia colla descrizione degli eventi futuri e

con indicazioni addirittura delle persone desti­

nate ad avervi parte.

Anche Vittorio Emanuele II. che non era molto

dedito alle letture, lo lesse e tanto ne fu convinto

che si propose di fare quanto suggeriva il Gio­

berti.

In questa sua fatica, l'insigne piemontese, dopo

un'acerba critica del tentativo del ’48. indica

chiaramente la via del prossimo rinnovamento.

Egli propone con audacia che bandito ogni propo­

sito di creare una confederazione si tolga Roma

al Papa per crearla capitale d'Italia. Egli per

quest'impresa, che a tutta prima appariva dispe­

rata, designa il giovane Principe che regge il

Piemonte, affermando che la monarchia Sarda è

destinata a perire se non cer. con sollecitudine

la sua salvezza nella liberazione e indipendenza

d'Italia.

Con occhi di veggente che sembra leggere

nel futuro scrive:

« Le occasioni non mancheranno al Cavour di

procacciarsi la pubblica fiducia; e quando egli sia

impegnato alla causa patria con alcuno di quegli

atti d'italianità splendidi e solenni che non lasciano

altrui balìa di retrocedere, chi vorrà dubitare

della sua perseveranza? ».

E, seguitando, profeticamente afferma che il

Papa non deve avere sovranità di Stato e deve

restare inviolabile ed indipendente.

Leggendo le parole del Gioberti non si può

fare a meno di rimanere profondamente colpiti,

tanto più che scritte nel 1851, si avveravano

nel '70, cioè 19 anni dopo.

Un altro piemontese contemporaneo del Gio­

berti, dettava

un

giorno profetiche parole su

questo argomento: Cesare Balbo, autore delle

Speranze d'Italia.

« Dopo il fatale, scriveva, ma grande nostro

*48non sono più possibili nè i vili ozi del seicento,

nè le stentate riforme del settecento, nè le guerre

sotterranee, gli scoppi inutili, le sètte inefficaci

della prima metà dell'ottocento; nè per conse­

guenza quella preponderanza straniera che oltre

tre secoli durò già tranquilla con tali servi, poco

inquietata da tali nemici ».

E dopo aver asserito che la liberti interna è

incompatibile colla servilità al di fuori, esclama:

« Se lo tolgano di mente gli Italiani i quali

volgon gli occhi bramosi a*questo Piemonte, a

questi principi; la prova fu fatta, non importa se

bene o male, anche fatta meglio non riuscirà,

non potrà riuscire, se fitta da questi soli, se non

secondata da tutte o poco meno le provincie

italiane in qualunque modo; ma proporzionata­

mente al prò rata ».

E con affermazione che nell'epoca nostra bi­

sogna meditare, perchè contiene una verità ogni

giorno ripetuta dal Regime, conclude:

« Sia un'Italia concorde e ricca di quante idee

e virtù politiche; ma povera di braccia militari,

•ila rimarrà ciò che è ».

£i*

Qualcuno potrebbe obbiettare che erano facili

profezie; ma considerando il tempo in cui gli

avvenimenti si svolgevano e le nubi che ingom­

bravano l'orizzonte politico, la facilità di vatici­

nare con una certa esattezza, era tutt'altro che

normale.

Eppure tutti gli episodi più significativi de1

nostro Risorgimento furono preconizzati con pre­

cisione stupefacente.

L’esito del Congresso di Parigi, l'opera di

Cavour, la guerra di Crimea, quella tra la Prussia

e l'Austria, la cessione della Savoia, l'espansione

coloniale in Africa, tutti avvenimenti che sono

stati profetizzati.

Anche Vittorio Emanuele II, buon conoscitore

di uomini e di cose, a chi gli propose la prima

volta di valersi del Cavour rispose: « II suo giorno

verrà; ma ora è troppo presto ». E quando firmò

il decreto che lo nominava ministro d'agricoltura

disse a D'Azeglio: « Costui che entra ora per

l'usciolino del modesto ministero d'agricoltura

e commercio, fra poco sarà il padrone di

casa ».

Cavour fu antiveggente delle conseguenze

della spedizione di Crimea combattuta fieramente

da uomini di valore e come lui nutriva fiducia

nell'audace gesto il poeta Brofferio:

« Doe riscosse j'oma faie

con valor; ma senssa frut

perchè vint j'oma d'bataie

e l'avnì rivelrà tut!

Tost o tard ventlo inissiè

la riscossa ch'a fà tre?

D ii Croat con la livrea

La inissioma nt' la Crimea».

Malgrado i dubitosi, come il fratello di Alfonso

Lamarmora e Massimo d'Azeglio, il ministro agli

interni Pier Dionigi Pinelli pronunciava nel par­

lamento Subalpino parole fatidiche pei tem( i che

correvano.

« lo credo che la Germania non vegga con

dispiacere l'ingrandirsi e il rafforzarsi dell'Italia,

che le altre nazioni non le saranno avverse e che

una volta indipendente e libera, potrà stabilire

con esse dei grandi commerci ».

Era un'epoca in cui le profezie da qualunque

parte venissero, erano accolte e meditate, ed in

ogni poeta che esaltasse la libertà e l'indipen­

denza, si vedeva un profeta.

Nell'entusiasmo di quei giorni si pescava la

profezia ovunque, si prestava a certe poesie pa­

triottiche significati che in realtà non avevano,

si vedevano allusioni anche dove meno esistevano.

Perfino in Dante si volle vedere, a sei secoli di

distanza, il vaticinatore del riscatto. In lucifero

che ha una feccia nera ed una galla, si vide addi­

rittura la bandiera austriaca, in Beatrice ó » ha

il vestito rosso, il manto verde e il velo bianco,

si scorgeva la bandiera tricolore. *

I

poeti gareggiavano nel dimostrare che il

Veltro non era altri che il Vittorio Emanuele

osservando che Emanuel vale quanto « messo di

Dio » e che SIS (un cinquecento dieci e cinque)

che si trova nel 33° canto del Purgatorio sommato

con l'anno della visione Dantesca avvenuta nel 1300

fermava la data 1815, data che preludiava ai rivol­

gimenti d'Italia.

II popolo invece prediceva a modo suo. senza

tanti cavilli e senza ricorrere a metafore. I Tori­

nesi poi avevano un giornale satirico che di tanto

in tanto colla satira tentava di squarciare il velo

del futuro e spesso l'imbroccava:

II Pasquino.

Dopo la battaglia di Solferino avviene un dia­

logo che ha per interlocutori Marforio e Pasquino.

Nel dialogo Pasquino viene raffigurato sopra

un'altura mentre l’interrogante curioso rimasto

in basso, chiede, insiste per sapere quello che

l’altro vede.

— Che cosa vedi Pasquino da quell'altezza?

— Oh vedo tante cose!

— Per mare chi c'è?

— La flotta dell'Inghilterra.

— E per terra?

— Gli Austriaci che fuggono.

— E per aria?

— II governo del Papa.

È una profezia vera e propria poiché nel 1859,

dopo la famosa battaglia del 24 giugno, ancora

non era passato per l'anticamera del cervello a

nessuno che il Papa dovesse nel ‘70 abbandonare

i diritti sugli Stati Pontifici.

In un altro momento, ma sempre nella stessa

epoca, Marforio ritorna ad interrogare Pasquino

che sta consultando i numeri di una tabella.

— Una novità! Ti sei dato alla scienza dei

numeri?

— Lo vedi; scompongo un millesimo.

— Quale?

— 1859. Guarda anzi tu stesso, l'ho scom­

posto cosi: 1— 8— 5— 9.

— Ed ora che fai?

— Addiziono le cifre e ottengo 23.

— Non occorre un grande sforzo per saperlo!

— Va bene; ma tu non sai cosa ottengo scri­

vendo in tutte lettere il totale?

Vittorio

Emanuele

Napoleone

Terzo

Italia

Tutta

Redimeranno

Eternamente!

Infetti l'avvento di Napoleone III in Italia

coll'esercito francese, permise al Piemonte di

ricacciare gli Austriaci e di rifarsi dopo la pace

di Villafranca.

Le profezie sul Risorgimento non solo sono

state fette dagli Italiani; ma da molti illustri scrit­

tori stranieri a cui non ricorro, essendomi pro­

posto di rievocare, e non senza ragione, soltanto

i Piemontesi, tanto più in questo periodo che a

Torino stanno svolgendosi le celebrazioni di quei

grandi che il Duce, uomo antiveggente per eccel­

lenza,

d

ha additati perchè siano loro tributate

le solenni onoranze che si meritano.