hiamava attorno al suo letto i famigliari e gli
mici e diceva loro: « questa è per me l'ora dolce
erchèpossoancora parlare un poco con tutti voi ».
Enell'ora dolce del 9 agosto 1916 Guido Goz-
ro chiudeva gli occhi alla vita, sereno per la
rtena del sopravvivere del suo spirito.
Proprio negli ultimi tempi aveva potuto rea-
:are una camera da studio come egli da lungo
•Tipogradiva, e ne era contento e lo manifestava
Ilamadre e agli amici, ai quali diceva: «quando
iròmorto il mio spirito sopravviverà, cercatemi
el mio studio, là io sarò sempre presente ».
E Guido Gozzano è rimasto veramente pre
ste, perchì in ogni verso di tutta la sua lirica
«è lamassima spontaneità e sincerità nel rivelare
estesso, cosicché si può dire che egli non soltanto
:risse, ma anche visse la sua poesia.
Inogni poesia vi è infatti tutta la sua anima, coi
joi
dubbi e i suoi tormenti, in ogni rima che goccia
allasuapenna vi è l'ispirazione del cuore, e molti
spetti della sua esistenza, pur essendo fermati
ei versi con fotografica esattezza di contorno,
onoingentiliti dalla melodia del ritmo e più che
utto dalla malìa della forma espositiva, per la
jale la suoarte tocca talvolta la sfera del sublime.
Qualche cattivo intenditore ha detto che Goz-
jro è morto troppo giovane, e che, forse, vi-
endo egli poteva ancor darci di meglio. No,
Il presente articolo ci dà l'occasione di ricordare
!riprodurre (anche con gentile consenso del fra
ttodel poeta: RenatoGozzano) una poesia del poeta
tàbhcaia a sua insaputa nel N. 23 (7novembre1909)
bisuoi amici del settimanale II Viandante che usciva
egli è forse mortoatempo, poichésecondo l’espres
sione deH’Heine, il genio non è come l'ingegno
soggetto a progresso, ed egli dà il perfetto in ogni
età della vita.
E Gozzano ce lo prova con i Colloqui, liriche di
signorile sentimento, nelle quali anche i più sem
plici aspetti della vita ed i casi meno rumorosi
della realtà si fanno poesia ed assurgono a gran
dezza artistica.
All'ombra di questi ricordi, chiusa in una cor
nice canavesana di case antiche e di vecchie cono
scenze, passa l'estate in Aglii questa madre buona
e grande, alla quale Guido era affezionatissimo,
e di fronte alla quale solamente si piegava il suo
orgoglio di poeta.
Ella era la sua più cara ispiratrice, tanto che a
lei, in una copia del volume I Colloqui che in una
notte di Natale le aveva posto sotto i guanciali,
aveva scritto: « Amamma cara, unica e vera autrice
di questi versi ».
La madre tanto lo ricorda, ed è forse questo
intenso ricordo del figlio quello che le dà forza
per sopportare la sua infermità ed ancora vivere
a lungo, per parlarci di Guido Gozzano come ella
sola può degnamente dire di lui.
Settembre 1935-XIII.
GIOVANNI DONNA
aMilano, diretto da TomasoMcnicelli. Essa non risulta
raccolta in volume, quindi può considerarsi inedita.
Riteniamo utile accompagnarla dalla nota dello stesso
Monicelli che spiega come gli amici vennero in pos
sesso della delicatissima poesia del Gozzano.
L’ E S P E R I M E N T O
Carlotta... Vedo il nome che sussurro,
scritto in oro, in corsivo, a mezzo un fregio
ovale, sui volumi di collegio
d'un tempo, rilegati in cuoio azzurro...
Nel salone dove par morto da poco
il riso di Carlotta, fra le buone
brutte cose borghesi, nel salone
quest'oggi, amica, noi faremo un gioco.
Parla il salone, all'anima corrotta,
d'un'altra età beata e casalinga:
pel mio rimpianto voglio che tu finga
una comedia. Tu sarai Carlotta.
Svesti la gonna d'oggi che assottiglia
la tua persona come una guaina,
scomponi la tua chioma parigina
troppo raccolta sulle sopracciglia;
vesti la gonna di quel tempo, i vecchi
tessuti a rombi a ghirlandette a striscie,
bipartisci la chioma in bande lisce
custodi delle guancie e degli orecchi.
Poni agli orecchi gli orecchini arcaici,
oblunghi, d'oro lavorato a màlia,
e al collo una collana di musaici^
effigiami le Città d'Italia...
T'aspetterò sopra il divano, intento
in quella stampa: Venere e Vulcano...
Tu cerca nell'immenso canterano
dell'altra stanza il tuo travestimento.
Poi, travestita dei giorni lontani,
comediante, vieni fra le buone
brutte cose borghesi del salone,
vieni cantando un’eco dell'Emani,
vieni dicendo i versi delicati
della musa d'un tempo che fu già:
qualche ballata di Giovanni Prati,
dolce a Carlotta, settant'anni fa...
Via per le cerule
volte stellate
più malinconica
la luna errò.
E il lieve e lucido
stuol delle fate
sul mar deM’aere
s
>.
Solo uno spirito
sotto quel tiglio
dov'ei s'amavano
s'udl a cantar.
Ahi! fra le lacrime
di questo esilio,
che importa vivere,
che giova amar?
Che giova amar?... La voce s’awicina.
Carlotta appare!... Veste d’una stoffa
a ghirlandette, cosi dolce e goffa
nel cerchio immenso della crinolina...
Vieni, fantasma vano che m'appari
qui dove in sogno già ti vidi e udii,
qui dove un tempo furono gli Zii
molto dabbene, in belli conversari.
Ah! Per te non sarò, piccola allieva
diligente, il sofista schernitore,
ma quel cugin che ti premeva il cuore
e che diceva t'amo e non rideva...
Oh! la collana di città! Viaggio
lungo la filza grave di musaici:
dolce seguire i panorami arcaici,
far con le labbra tal pellegrinaggio!
Come sussulta al ritmo del tuo fiato
Piazza San Marco! E al ritmo d'una vena
come sussulta la città di Siena!
Pisa... Firenze... tutto il Gran Ducato...
Seguo tra i baci molte meraviglie,
colonne mozze, golfi sorridenti:
Castellamare... Napoli... Girgenti...
tutto il Reame delle Due Sicilie...
Upft,