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Così incontrastato il primato visse fino ad oggi.

Oggi però si può dubitarne salvo a cancellarlo

dopo più precisi accertamenti.

* * *

Senza risalire ad alcuni scrittori che vollero vedere

Annibale scendere in Italia dopo aver superato il

Viso, ciò deducendo dalle descrizioni di Polibio e di

Tito Livio sulla natura del monte attraversato (ipo­

tesi priva di alcun valore per la semplice considera­

zione che Annibale fece subito tappa a Susa dopo il

valico); senza rievocare Plinio che dalle parole usate

parrebbe aver avuto notizie del Viso da persone che

ne avevano effettuata l'ascensione, vi fu chi si vantò,

attorno al 1764, d'aver salito, come accennammo,

il Monviso.

Costui era il Marchese di S. Simon, aiutante di

campo di S. A. S. il Principe di Conti. Nel suo libro

di memorie (4) scrive: « On assure à ceux qui se

piquent d'avoir une bonne vue, que de son sommet

on découvre la piaine du Piemont: on me l'a montrée

comme on fait à tous les voyageurs...».

Il passo citato darebbe chiaramente ad intendere

che egli si sia arrampicato sino alla sommità del

monte... come già altri prima. L'affermazione deve

accogliersi con beneficio d'inventario poiché è certo

che nessun montanaro del tempo e del luogo ricorda

nè la salita di S. Simon nè di «tous les voyageurs».

Quanto invece può essere veramente interessante

per gli studiosi è il libro Descrittone di tutta Italia

di P. Leandro Alberti Bolognese. In Vinegia presso Alto­

bello Salicato 1538.

L'opera è citata dal Carena (5) il quale narra:

« Il Monviso chiamato dagli antichi Vesulus mons

s’eleva molto in punta ed è circondato da ogni parte

da roccie scoscese e dirupate. Alcuni giovanotti che

s'arrampicarono fino alla cima del medesimo dissero al

P. Leandro Alberti, che làesisteva una piccola piazza».

Ed a pagina 377 della Descrittane si legge:

« Egli è questo altissimo monte sassoso et sterile,

nella cui cima evvi una piccola piazza, a cui il pas­

saggio da' vicini gioghi è molto difficile, et pericoloso

per essere tanto stretto, et precipitoso da ogni lato,

che dà spavento a quelli che vi vogliono passare, come

a me narrarono alcuni giovani, che vi erano passati,

i quali diceano fosse grande la difficoltà a passarli,

ma molto maggiore il pavento di non cadere o da

una parte, o dalPaltra, et ruinar per detti precipitii,

che da ogni lato apparevano, nel ritornare. Anche

dicevano che tanto per le difficoltà, quanto ancora

per la paura nel ritorno, camminarono con le mani,

et piedi, istesi sopra la schiena di quel precipitoso

luogo, sempre temendo di cadere o dalla destra, o

dalla sinistra in precipitio; soggiungevano che quivi

ritrovarono detta picciola piazza ove sono due fon­

tane l una dall'altra poco discosta».

Questa la semplice narrazione dell'impresa.

La descrizione, specie dell'ultimo tratto che in

effetto corrisponde alla natura del monte, fa pensare

che i bravi montanari abbiano, attorno al 1500, scalato

il Viso, con quegli stenti e paure dovuti più all'imma­

ginazione già ricordata, che agli effettivi pericoli a

cui l‘Alberti crede.

Chi fossero, quali i loro nomi ed il loro paese

d'origine, in qual anno si compisse, non dice l'Alberti.

C’è da presumere però che gli alpinisti fossero pie­

montesi sia perchè il libro tratta dell’Italia alla quale

pure ha sempre appartenuto il monte, sia perchè

l'autore ne avrebbe citata la nazionalità - cosa che

in quei tempi contava moltissimo - qualora non fos­

sero dei nativi. Tra le carte dell’Alberti a Bologna

od a Venezia (egli era dell’ordine Domenicano) po­

trebbe trovarsi qualche altro ragguaglio, come pure

penso che notizie potrebbero forse aversi dal minu­

zioso viaggiatore tedesco Giovanni Giorgio Keyssler

d’autorevole e seria competenza, ricercando nel suo

Neueste Reisen durck Deutschland, Bohmen, Ungarn,

die Schweiz, Italien und Lothringen, pubblicato nel 1751

ad Hannover, nel qual libro l’A. raccoglie molte

notizie di curiosità.

Rivendicare all'Italia un tale primato, doppio pri­

mato in quanto sarebbe anche la prima ascensione

alpina, è sprone che da solo è premio. Dimostrare che

nell'aureo Cinquecento e forse anche prima (non

potrebbe la scalata essersi effettuata durante gli anni

dello scavo del tunnel di cui parleremo fra breve?),

gente d'Italia è salita a 3.800 metri è portare un nome

glorioso all'alpinismo della Nazione che in tal modo

potrebbe vantare storie d’audacie ben remote.

L'Alberti che si è dimostrato sempre preciso non

aveva alcun interesse a raccontare una fola: in quel

tempo non c'era alcuno a caccia di record... specie

alpinistici. Anzi il narrare, come egli fa, senza dare

importanza al fatto, sta in favore della verità, quasi

l'ascensione fosse cosa di non gran conto, una pas­

seggiata un po' rischiosa, non impresa superlativa.

Che se così fosse, sarebbe stata cantata, i nomi cele­

brati e ricordati, e di essa stampate memorie in tutte

le Accademie del tempo, epidemia delle risorgenti

lettere!

Ricordiamo che in quegli anni l’uomo contava

in quanto sapeva scrivere e poetare bene, fare della

buona p'ttura, combattere e morire da prode: il

resto era materia, volgo, ignoranza, e l’essere saliti

al Viso, cosa inutile e senza frutti nè vantaggi per le

lettere e la scienza.

All’opera dunque per fissare e documentare

l'evento!

• • *

«

Ma il Viso ha diritto a ben altri riguardi e ricordi.

Si apprenderà con interesse la notizia che fin dalla

metà d?l Quattrocento venne praticata una strada,

in parte od in tutto sotterranea, attraverso i fianchi

del monte e congiungente l'Italia alla Francia o più

precisamente il Piemonte al Delfinato.

Oggi che ad iniziativa italiana patrocinata dal pie­

montese senatore Agnelli si pensa ad effettuare una