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S O MMA R I O

ASSEGNA MENSILE DELLA CITTÀ

XV

DICEMBRE 1935 -XIV

NUMERO 12

L . 50

Il REGNOEFIMERODI AMEDEODI SAVOIA LucoAmb.uui -

I MAESTRI NEL NOSTROSIUDIO GIAMPIETROCHIRONI. An-

gtoloB'oncoih-LEONARDORODAFerHmandoBro\io■TRAZIONE

ELETRICAFEROVIARIAPERILNUOVOMERCATOORTOFRUT­

TICOLO Doli log GuidoChiareli ■VITACITTADINA . FRAI

LIBRI ■VIE. PIAZEECORSI DI TORINOILUSTRATI Ci bui ■

MOTTISTORICISABAUDI COMMENTATI EDILLUSTRATI. Riccardo

A Marmi . STATISTICA

L REGNO EFFIMERO DI AMEDEO DI SAVOIA

lagnerebbe non essere italiani per restare

indifferenti rileggendo le deplorevoli vicende

ll'effimero regno di Amedeo in Spagna. Ma chiu-

ndo il volume del Conte di Romanones

(Don

,'Cdeo

de Saboya, el Rey eflmero,

Madrid, Espasa-

zione la famiglia tenga segrete. Anche a noi pia­

cerebbe che fossero pubblicate, non solo perchè

da esse ci sarebbe forse qualche cosa da imparare,

come dice il Conte di Romanones riferendosi alla

Spagna, ma perchè vi troveremmo la chiave di

certi atteggiamenti non bene giustificati, come

quelli che il Principe assunse verso il suo ministro

Don Manuel Ruiz Zorrilla, il quale era rimasto

forse l'unico sincero e fedele amedeista, e che

doveva ben essere in buona fede, se dopo l'abdi­

cazione insisteva per accompagnarlo in Italia per­

sonalmente. Il leale casigliano non avrà certa­

mente tradito la promessa di fedeltà solennemente

fatta a Vittorio Emanuele in Firenze ricevendo in

consegna il Duca d'Aosta, re eletto di Spagna.

compiuto dai due ultim i Borboni: Fernando VII,

re fedifrago, degno cugino di Ferdinando, il Re

burlone, di Napoli; e Isabella II, la cui scandalosis­

sima condotta aveva provocato l'indignazione

popolare, che la mandò in esilio, e le satire atroci

!pe. 1935), scritto con tanta serenità e impar­

ità dall'illustre politico e storico, che tante

Ite fu a capo del Governo e che ha avuto a dispo­

rne i più ampi e sicuri mezzi per documentare

I breve recente periodo, si sente il dovere di

uire il suo esempio e di mantenere sepolti

i inopportuni e ormai dimenticati e superati

ri. Anche lui cita senza risentimento e

uce letteralmente il fiero telegramma del

io

di Napoli, che rendeva responsabile, tn

ini asprissimi, e solo giustificabili con l ’eccita-

de1 momento, tutta la Spagna degli errori

delle colpe d'un partito.

Non ostante la sua fede borbonica, Don Àl-

Figueroa y Torres, Conte di Romanones,

'* » cmaggio alla verità e ha quindi giudicato

K* Sabaudo con serena imparzialità, e lo ha

t*to assai cavallerescamente, il che non fecero,

•sempio. Don Luigi Coloma e il Pérez Galdós

gesuita il primo, repubblicano il secondo —

loro rispettivi romanzi storici. Giunge anzi

« furare che vedano presto la luce quelle

ie. che egli crede sicuramente abbia scritto,

a Tonno, l'ex

Re,

e

che per sua disposi­

A ll'illustre autore non sfuggi, senza dubbio,

l'mcongruenza e l'ingiustizia della condotta del

clero, con tutto il partito cattolico, e dell'aristo­

crazia verso il Re, eletto da una forte maggioranza

parlamentare: sistema fallace questo della Mo­

narchia elettiva, e il Romanones ne fa appunto

una specie di tesi della sua opera. Si potrebbe

qui ricordare — senza uscire dalla storia di

Spagna — la pessima prova della Monarchia visi­

gotica, per cui fu resa possibile l’occupazione

araba.

Per le caste surriferite, Don Amedeo aveva

due gravi colpe: prima, era figlio del Re scomu­

nicato, che da soli tre mesi s'era preso Roma e

«teneva prigioniero» il Papa(l) (a nulla serviva

che avesse dato già eloquenti prove della sua fer­

vida fede cattolica e che tanto lui quanto la Du­

chessa avessero lettere autografe di Pio IX con

l'apostolica benedizione); seconda, andava a usur­

pare il trono dei Borboni, portatovi per merito

di quel generale Prim, eroe bensì del Marocco e

Marchese dei Castillejos, ma istigatore principale

della rivoluzione che aveva scacciato Isabella II

due anni innanzi.

Dimenticavano quei signori, o piuttosto non

volevano ricordare, che la Casa di Borbone era

tanto spagnola quanto quella di Savoia, anzi per

certi riguardi assai meno, poiché, estintasi la

Casa d’Austria, discendente in linea femminile

dalle antiche dinastie di Castiglia e d'Aragona. la

successione borbonica era stata imposta per gli

intrighi di Luigi

XIV,

che a mezzo dei suoi emis­

sari aveva spianato i Pirenei strappando

all'inco­

sciente Carlo II

il

famoso testamento

a favore di

Filippo

V.

Avrebbero

dovuto almeno

ricordare,

perchè recente,

lo strazio

della dignità regale

dei poeti d'allora e dei seguenti fino a Ramón

del Valle Inclin, felicemente vivente e gaudente.

Ora, il trono della grande tabella la Cattolica

poteva dirsi purificato e riconsacrato da quella

pia e santa Donna che fu la novella Regina Maria

Vittoria. Ma la passione politica accecava talmente,

da far tacere gli scrupoli della tradizionale purezza

di costumi e della gentile ospitalità delle dame

spagnole.

Accecamento generale. Mentendo alla storia,

il repubblicano grande oratore e grande amico

dell'Italia, Emilio Castelar, tentava di offuscare in

un celebre discorso alle Cortes l'antico splendore

della dinastia sabauda. E nessuno si levò a rispon­

dergli che non come servi, ma come eguali e

come stretti parenti erano i Principi piemontesi

alla Corte di Spagna; che Emanuele Filiberto, il

futuro vincitore di San Quintino, fu voluto dallo

zio Carlo V al suo fianco, insieme con l'erede del

trono, all'atto di abdicazione di Bruxelles; che

vari secoli prima il Principe Juan Manuel, l'autore

del Conde Luconor e d’altre celebri opere, si diceva

orgoglioso di aver avuto per madre una princi­

pessa sabauda; che Lagiovinetta sposa d i Filippo V.

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