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1 1

è

quella folla irruppe sincero: lo spettacolo del

valore i affascinante e travolgente sempre. Allora

fu, più che valore, temerità. E per questo e per

il suo rispetto delle leggi costituzionali e la genti­

lezza dell'animo e del tratto, Don Amedeo rimase

nel cuore del popolo il

Rey cabotiero,

che vuol dire

valoroso e galantuomo. Degno figlio di Vittorio

Emanuele II, infine!

L'Italia tutta volle compensare con un'acco­

glienza quasi trionfale il figlio suo illustre, reduce

dalla più difficile delle vittorie: quella ottenuta sui

propri sentimenti e sulle proprie ambizioni. To­

rino, la sua città diletta, dove si raccolse a vita

privata, dimostrò in quell'occasione la profonda

antica sua devozione alla Casa di Savoia, eroica

e perenne sostenitrice dei d iritti del Piemonte e

dell'Italia, e al loro destino unita come la madre a

quello dei figli. I vecchi torinesi ricordano ancora

il commovente tributo d’amore.

Tutta la popolazione dalla più illustre alla più

umile, si un) con slancio unanime nel gentile atto

di riparazione, lieta e orgogliosa che si fosse di

nuovo riunito ad essa il suo amato Duca d'Aosta

(egli non volle altro titolo, nè desiderò che gli si

parlasse della sua triste avventura regale).

Il

Municipio, per sottoscrizione popolare, gli

offerse una corona civica, con un messaggio che

rifletteva l'esalta

2

ione affettuosa e il desiderio di

cancellare dall'animo del festeggiato ogni impres­

sione del travaglio passato. Egli rispose... Ma qui

i meglio lasciar la parola al Conte di Romanones:

« Rispose ai messaggio in forma nobilissima, senza

un solo rimprovero per la nazione ingrata, affer­

mando che mentre fu Re, adempì i suoi doveri

con ogni scrupolo e ricordando le due preziose

qualità della Casa di Savoia: la fedeltà ai patti

giurati e la lealtà. Queste furono le ultime parole

di significato politico che pronunziò nel rientrare

completamente nella vita privata».

E qui l'illustre Conte sembra voler sacrificare

un briciolo alla moda delle vite romanzate, pene­

trando nell'anima del Duca e sorprendendone il

segreto: « Non trovò in questa (la vita privata) nè

la felicità, nè la tranquillità a cui pareva aver di­

ritto . Quanto più si sforzava di dimenticare il

passato, tanto più lo torturava il ricordo della

regalità. Nuovo Carlo V, egli pure sentiva il pen­

timento d'aver rinunziato al Trono e di essersi

ridotto alla condizione di Principe ».

Per quanto non inverosimile, questa supposi­

zione del Romanones potrebbe forse essere gra­

tuita. Il Duca era troppo altero per manifestare

ad alcuno i suoi rimpianti, se li avesse avuti, e

troppo coscienzioso per non essere soddisfatto

d'aver compiuto un alto, quantunque costoso,

dovere. D'uria cosa avrebbe potuto dolersi: quella

d'essere stato troppo ossequente alla volati)

Padre. Ma era. anche, troppo buon figlio

p r|

marsi, sia pure per un istante, sull'idea

potuto disobbedire (

2

).

Tutti coloro che lo conobbero anche afe

vista ricordano, con la sua gagliarda figura, i|

caratteristico saluto, ampio e generoso contp

di cavaliere antico, che egli recò pure nella

dove i suoi ammiratori adottarono comedi

tivo il saluto

a lo Amadco.

Noi che gii siamo sopravvissuti, non

fmm

mai senza soffermarci dinanzi all'immagiei i

che tra il verde del Parco Valentino, sullo i

della ridente collina torinese, collocò con i

aereo l'arte del Calandra in un vivace

mento eroico, che richiama le gesta cavallai

del Conte Verde e le eterne virtù della

Cm

Savoia. E ci compiace il vedere sullo

corona di bronzo della città di Barcelloafci

prova quale culto la Spagna vera e reale,

\

nel popolo, abbia serbato al suo Re dal |

regno, lo stesso — e non sono solo ad

— ho potuto riconoscere come,dopo più <

secolo dall'abdicazione, la bella fama dei

vrani sabaudi non solo non si è affievolii

diventata tradizione sempre più viva e

cosi tra le classi colte come fra le popolari:*!

per la Spagna, conforto e lusinga per l'Ita ll

LUCIO A l

(I)

Un giorno del 1913, mi trovavo a Burjasot,

sobborgo di Valenza, per visitarvi gli antichi silos

romani. Sulla spianata che li copre, passeggiavano

alcuni sacerdoti della vicina Collegiata, col

bonete.

il berretto a quattro punte, che usano i collegiati

spagnoli. Si conversò dei silos e d'altro. Quando

seppero che ero italiano, mi squadrarono con

una cert'aria sospettosa, e uno mi sparò a bru­

ciapelo: « ESua Santità lo tengono dunque sempre

in prigione? » E avendo io tentato di spiegare la

verità sulla supposta e solo retorica « prigione »,

devono avermi preso per uno dei carcerieri,

perchè pian piano si squagliarono, lasciandomi

solo col presidente del Circolo jaimista, che gen­

tilmente mi faceva da guida e che mi aveva detto

con unzione: « Beati i suoi occhi, che hanno potuto

• • •

fissarsi in Italia sulla persona di Don

Nei circoli cartisti, l ’immagine di Don

— sostituita alla sua morte da

quella

Jaime — era sempre accanto al ritratto

d

(2) Il Tencajoli, nel suo ottimo recente

\

La nascita del Duca degli Abruzzi

e

l'a

Re

Amedeo, citando varie autore-oli

dissente lui pure dall'opinione del

Romanoas

I m a e s tr i n e l n o s tro s tu d io :

GIAMPIETRO CHIR<

Q

uando Giampietro Chironi ottenne, per con­

corso, la cattedra di diritto romano e civile

all'Università di Siena nel 1881 e quindi quella

all'Università di Torino quattro anni dopo,

s'iniziava un periodo di travaglio nella dottrina

civilistica italiana dal quale, quest'ultima. doveva

uscirne rinnovata e superata.

Il

Chironi partecipò a tale movimento in­

tenso d'idee e di dottrine con fervore e consa­

pevolezza notevolissimi.'Sono di quegli anni primi

i discorsi e le discussioni intorno al metodo nel

d iritto civile: il Gianturco nel 1881, il Cimbali

nello stesso anno, il Chironi nel 1885 e assieme

a Lui, cronologicamente, il Polacco ne furono i

principali autori. Oggi tu tto queU'agitarsi di que­

stioni e di discorsi non dicono più. in se stessi,

gran cosa, ma restano documenti perentori dello

sferzo « comune — come ben scrive il Vassalli —

per cercare la buona via e attestazione che. ormai,

una rigenerazione dagli studi del d iritto civile

presso noi maturava».

A questo

rigenerazione si dedicava

con gli

sc ritti, la ricerche a l'opera dai docente, Giam­

pietro Chironi die saliva atta cattedra torinese

detto studio di D iritto preceduto

da

una chiara

fame di intfagainri a di esegeta, benché i suoi

trent'anni d'età

gii studenti stani una

negli ambienti un po'

tesa non scevra di qualche

accoglievano un

par i colleghi e par

sopratutto

da lli n ienea un'al-

i soliti che

i giovani al loro alac-

darsi alla vita pubblica o al « cursus

Ma quando, in quel giorno del 1885, il

di D iritto di Nuoro prese possesso di

tedra illustrata da una tradizione di

vasto sapere e da recenti luminari dal

quali Pasquale Stanislao Mancini,

rara, Antonio Scialoja. Amedeo Melegari,

prese che c qualcuno » stava per iniziare i

stolato di scienza latto di dottrina e di

nobilmente commisti in uno sfa r» di

cera ed alto soprattutto.

Esisteva nel nostro Ateneo una vara a |

abitudine mentale nei confronti dai

derrata dal modo di sceglierli a di

nella quale entrava un po' di

troppo ossequio a carta leggi, n

di tradizionalismi

ara, insomme, vecchiotto a non

a svegliarlo l'avvento recente di alcuni

delta nuova — i» carne M ìa Irm a 1

Cognatti da M a rti* in questa Facoltà che I

d i tradizione e rispettate la j

bianche a la «atta o h e , eoMenaaaero • i

canaio fa m e

di

piattina e

di

culture,

j

il tramarne professore ardo a n sili

curiosità mieta, pa rd i! non é rto ,

di