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R I C O R D I

D I

U N O

S C O L A R O

Efirepi Signo ri,

Al Vostri» cortese invito, di contribuire ad onorare

Arturo Farinelli in questa cerchia torinese «Iella Vo­

stra bella rivista, consentite, poiché altri già hanno

di recente disegnato con linee storiche la figura del

Maestro, che io risponda semplicemente rievocando

alcuni ricordi personali. Non è l'uomo, che interessa

anzitutto in Lui. il singolare, il cordiale, il sempre

vibrante uomo, il quale non sa accostare nemmeno

gli eroi ed i problemi della storia se non con un moto

lirico, che desti intorno ad essi, necessario mezzo

comunicativo, un'atmosfera appassionata?

Che la personalità di Farinelli avesse interessato

anche me al primo entrare, matricolino, nel nostro

Ateneo è superfluo dire: ma il primo incontro non

fu decisivo. Ero venuto dal liceo col proposito di

darmi allo studio del Medioevo romanzo, e, seb­

bene avessi già frequentato corsi di letteratura te­

desca e fossi anche stato

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‘estate in Germania, alla

fine del terzo anno mi trovavo alla Nazionale di Fi­

renze alle prese con uu tema sulla leggenda di Mer­

lino in Italia. Appena mossi i primi passi sulle

tracce del gran mago però, fosse silo incantesimo o

mia refrattarietà, mi sentii dentro un‘uggia, un'i­

nerzia. contro la quale non valevano uè riposanti

sonnetti nel fresco salone della magna biblioteca,

nè passeggiate sui dolci colli fiorentini. Trovai sal­

vezza nella decisione di « cambiar di sella ». come

dicono i Tedeschi, e scrissi a Farinelli chiedendogli

un nuovo tema di lavoro. Mi rispose subito assai

gentilmente, e da allora la mia sorte fu segnata.

Non l'avevo trovata già prima la mia salute presso

Farinelli, anche perchè non ero riuscito a stabilire

un vero contatto con lui. La prima volta, ch'ero an­

dato a sentire una sua lezione, ne ero uscito curiosa­

mente intontito. In quell'antro pieno d'ombre, che

era allora l'Aula Vili, Farinelli rovesciava un suo

discorso sopra un uditorio sparuto e, mi sembrava,

attonito al par di me a quell'eloquenza ora tonante

ora flebile, sempre fiorita di nuove commozioni.

Parlava di Hebbel, tema nuovo allora in Italia, ed

io, avvezzo ai pacati ragionari di quegli altri filo­

logi e storici, poco ne capivo. Sentivo, che quel pro­

fessore così fuor d'ordinanza aveva col suo soggetto

un rapporto intimo; intendevo il contrappunto co­

stante, e talora esplicito, d'un appello alla supe­

riore vita dello spirito, che coll'esempio dell'argo­

mento trattato era rivolto a noi giovani; ma. pur

accogliendo volentieri l'eco di un'interessante vi­

brazione drammatica, assistevo come uno spettatore

perplesso ad uno spettacolo, di cui non afferravo il

filo. Proprio nei punti conclusivi, allorché l'oratore

sollevava verso un angolo della finestra più vicina

gli occhi fieri e malinconici e la chioma arruffata,

pronunziando con voce che si spegneva l'ultima

frase d'un lungo periodo, avevo l'impressione di un

distacco incolmabile tra noi studenteUi di questa o

quest'altra materia e quel pellegrino patetico, po­

sato sulla cattedra come sopra uno scoglio deserto.

Anche quando presi a frequentare regolarmente i

suoi corsi, il contatto utile collo spirito di Arturo

Farinelli me lo fecero trovare non le lezioni cat­

tedratiche, si invece quelle d'esercitazione. Quel­

l'anno aveva scelto ad argomento le «

Sieben Le-

genden

» ili Gottfried Keller. La caratteristica

generale d'introduzione m'era parsa ancora erme­

tica e distante come la prima su Hebbel; ma, acco­

statici insieme all'opera d'arte, fu presto tutt'altra

cosa. Ognuno di noi scolari doveva analizzare pub­

blicamente una leggenda raffrontandola colla fonte

principale, il vecchio Kosegarteu; e ognuno più o

meno credeva di sbrigare esaurientemente il suo

compito. Incominciata appena l'esposizione però,

ecco il Maestro intervenire e. con una folla d'osser­

vazioni. di domande, di riferimenti, aprirci gli oc­

chi e l'anima, che ci sembravano ora esser stati

prima come ottusi. Ogni riga, ogni parola della de­

liziosa operetta rivelava il suo segreto poetico, e la

figura dell'autore prendeva man mano forma viva

nella nostra mente. Leggendo poi per nostro conto

tutta l'opera novellistica dello zurighese, avevamo

dentro di noi una guida sicura.

Così Arturo Farinelli mi si era mostrato Maestro.

E allora potei anche nelle altre sue lezioni e nei

suoi libri intendere

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solo più un caratterizzar

generico, liricamente agitato, ma la sostanza di un

pensiero nutrito di molto amore. Al pari dei miei

amici, io raccoglievo tanto più volentieri, in quanto

non si presentava come una dottrina compiuta e

impegnativa da accettare e far nostra. Era un esem­

pio di vita piuttosto, di vita fervida, personalissima,

e si risolveva in uno stimolo, a cercar di vivere

altrettanto fervidamente e personalmente. Mentre

la scienza universitaria di allora, gravata di tanta

macerie positivistica, ci annoiava, quell'invito a li­

bertà e a nuova disciplina ci accendeva.

Bisogna dire, che parecchio c’era nel nuovo Mae­

stro capace di piacere a dei giovani. In primo luogo

la sua vastissima cultura : della (piai virtù però noi

avevamo un rispetto alquanto superstizioso, vantan­

docene ad ogni modo cogli altri compagni quasi come

d'un tesoro di famiglia, a cui si poteva in caso di

qualunque bisogno ricorrere, sicuri d'ausilio. So­

prattutto era il temperamento di Farinelli, che ci

deliziava. Vedendolo arrivare per la lezione attra­

verso il cortile dell'università con quel suo passo

rapido e il leggero dondolio del corpo, il pastrano

gettato negligentemente sul braccio, il cappello quasi

tirolese mal calcato sulle chiome ribelli, gli occhi

ancor saettanti per chi sa quali procelle, noi inco­

minciavamo già a entrare in un clima romantico.

La sua natura pugnare moltiplicava le cause di con­

flitti, a nostro gaudio. Nei suoi momenti di sdegno