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Ho « scoperto» Farinelli nel

1920.

quando inco­

minciai a frequentare il corso di neo-latine che egli

teneva in quegli anni a Torino in sostituzione prima

ili Kenier e poi di Gorra.

F. di quei primi me.«i della mia vita universitaria,

uno dei ricordi più vividi è costituito appunto dalle

lezioni di letteratura spaglinola di Farinelli. Quel

suo parlare rapido e fremente, quelle immagini così

calde di emozione, quel prodigioso schiudersi di

nuovi orizzonti di cultura mi lasciarono dapprima

perplesso e sgomento, ma poco a poco mi ripresi:

mi mentivo più che mai voglioso di seguire il nuovo

maestro- Avvertivo in fondo che una sola passione

accendeva l'animo suo ed il mio: io ero nato in

ispagna e la mia infanzia fiorita laggiù mi faceva

amare quella nazione quale la mia seconda patria,

iu lui il mondo ispanico si confondeva con gli albori

della sua giovinezza e con la prima affermazione del

suo valore.

Il mio culto per la Spagna, che in fondo era soltanto

quello dei ricordi, diventò ardore di conoscere e

studiare la letteratura, di dedicarmi ad essa, di ri­

spondere. con l'opera, ad un appello che ogni le­

zione di Farinelli sembrava sottintendere, quando

lamentava l'ignoranza e l'incomprensione che delle

rose spagnuole si aveva da noi.

Il primo corso, che io seguii, trattò de « FI bur-

lador de Sevilla ». ossia della fortuna europea del

Don Giovanni, tema che Farinelli dal 1896 aveva

già toccato parecchie volte, mostrando in qual mode»

egli intendesse giovarsi dello studio delle letterature

comparate. Dall’Italia all'Inghilterra, dalla Spagna

alla Kussia l'indagine del maestro aveva raccolto le

voci della leggenda donjuanesca potentemente fissata

nelle linee del dramma spagnuolo. Quell'anno poi al

Regio si dava il «Don Giovanni » del Mozart e così

le lezioni di filologia ebbero complemento nei mo­

tivi del compositore di Salisburgo. Oggi penso che

Farinelli intenditore di musica non me ne farà un

appunto.

Dal Don Giovanni si passò poi al Poema del Cid.

ai cantari medievali, al Romancero: mi si schiu­

deva poco a poco quel mondo eroico e poetico ad

un tempo, dalla cui ammirazione non mi sono più

dipartito. Son passati diciott'anni; sono ritornato

tante volte a quei capolavori, ma la nota di uma­

nità, ora triste ed or lieta, sempre profondamente

commossa, con cui Farinelli fece rivivere in me ta­

luni dei loro episodi, non si è più spenta. Egli ci

parlava degli eroi dei poemi e delle romanze ispa­

niche come di amici e fratelli, inseguiti dal dolore,

stagliati nella loro grandezza epica nello sfondo do­

rato di quella terra spagnuola povera d'alberi e ricca

di pietrame.

Quanti problemi proposti e risolti a noi nel breve

giro di un'ora! Si usciva dall'aula umiliati della

propria ignoranza e ponti dall'assillo di colmare

tante lacune, di affinare lo spirito, di risvegliare il

gusto, ma sopra tutto compresi che lo studio lette­

rario si risolvev a in una elevazione di umanità. Non

era stato Farinelli il maestro dell'irredentismo?

Colui che aveva gridato nello strazio della sua uma­

nità ferita: «Giusta guerra o atroce demenza»?

Non era lui infine l'autore delle

Franche

/tarole alla

mia Nazione

del 1919?

Comprendevo allora il giudizio che Papini aveva

dato di lui: « Farinelli è un'anima... un'anima tur­

bata sempre, commossa spesso e a tratti balenante e

corruscante... ». Quella sua inquietudine, quella

>ua ardenza non mai smorzata ha creato nel campo

degli studi non solo una moltitudine di opere, ma

quel che più colpisce, una moltitudine di opere

nelle quali il dinamismo, l'ansia, la ricerca, l'ab­

bondanza talvolta strabocchevole, l'intuizione, la

prospettiva, l'accenno fugace lasciano sgomenti. I

dati sono a migliaia, gli orizzonti che intende ab­

bracciare sono sconfinati, eppure su tutto e sopra

tutto il senso della insoddisfazione più acuta e do­

lorante. Questo spiega con quanto ardore egli ha

fatto suo il sogno romantico della

Weltliteratur

e

come si sia prodigato perchè questo sogno si con­

cretasse; ma il sogno è stato infrair

*ion riman­

gono che le testimonianze della sua tede pugnace.

In tutte le letterature europee Farinelli ha lasciato

un'impronta, ma in quelle germanica e spagnuola

l'orma è ben più profonda. Negli anni della sua

prima giovinezza questi due mondi furono affratel­

lati nel suo spirito.

Già la sua tesi di laurea, a tre anni dalla fuga in

Ispagna (da lui stesso piacevolmente raccontata

nella « Nuova Antologia » del gennaio 1935), trattò

dei rapporti tra Spagna e Germania nelle loro let­

terature. Farinelli aveva allora ventitré anni ed il

lavoro suo fu una rivelazione per l'ardimento di un

simile tema e per la ricchezza di dati raccolti. Però

il materiale adunato non potè essere contenuto in

quel saggio ed altri tre lo seguirono a pochi anni di

distanza l'uno dall'altro. Il sommo critico spagnuolo

Marcelino Menendez y Pelavo, e con lui, natural­

mente, gli amici che lo avevano accolto a Barcellona

neirottobre del 1887, riconobbero anche più aper­

tamente il valore di questo giovane perennemente

ribelle ed incontentabile, che così si veniva a collo­

care alla pari con i più provetti ed anziani filoioghi

del mondo germanico e romanzo. Dopo questa af­

fermazione, altre e ben più Coraggiose produsse il

nuovo ispanista. Del '94 è l'opera c Grillparzer und

Lope de Vega » in cui Farinelli esponeva i risultati

dello studio comparato tra il romantico austriaco ed

il sommo drammaturgo spagnuolo, rivelando alla

Spagna un mondo artistico sorto per l'incantesimo

del suo genio. Per altro verso questo lavoro, die

ormai segnava definitivamente la fisionomia del gio­

vane filologo, dimostrava in qnal modo si potesse

reagire contro il metodo freddo ed incompleto che

si suoi denominare storico-filologico interpretando