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È come se egli conversasse con noi: che il Farinelli

è un piacevolissimo parlatore, che in compagnia si

accende, virtuoso com’è dell'amicizia e della socie­

volezza. e acquista copiosità e briosità di parola, così

come è tutto dolcezza e tenerezza in altri momenti,

e in altri tutto sdegnoso insorgere e scattare: è un

uomo che si apre con la spontaneità di un grande

fanciullo.

Conoscevano già i suoi intimi alcuni dei ricordi rac­

colti in questi brevi scritti, per averli intesi da lui

in momenti di buon umore e confidenza : e ben altri

ancora egli ne avrebbe a narrare, se volesse dedi­

carvi alcune ore di tregua. Qui non è più lo scrit­

tore levato ai cieli del suo entusiasmo: è lo scrit­

tore, è l'uomo che si osserva. Direi che la nota fon­

damentale di questi scritti è appunto una commossa

fine ironia di se stesso, che è poi un'espressione di

quel contrasto di fantasia e raziocinio, a cui accen­

navo: una fantasia che lo solleva in alto e tutto gli

dipinge dei suoi colori e gli vela e nasconde il reale,

e un raziocinio che, nel ricondurlo alla terra, gli fa

vedere, senza amarezza, anzi con un sorriso di in­

dulgenza verso se stesso, le deviazioni, le stranezze

a cui il suo entusiasmo l'ha condotto. Non per nulla

egli ama paragonarsi scherzosamente a Don Chi­

sciotte : ma un Don Chisciotte, io direi, che non ha

bisogno di alcun Sancho Panza a ridestarlo e a ri­

dere delle sue esaltazioni, a svestirlo delle sue chi­

mere.

Così passano innanzi a noi i suoi « bollori » giova­

nili, i suoi « stravaganti » sogni e piani di lavoro,

la sua «manìa» di parlare in pubblico, a vent anni,

di tutte le cose e in tutte le lingue, sempre contra­

stata con la dichiarazione del proprio «nulla infi­

nito », con la condanna della propria « ribalda pre­

sunzione » e « fatuità » — ed erano invece le prime

entusiastiche, audaci esplorazioni nell'immenso

campo che doveva far suo, erano le prime prove di

chi parlerà e scriverà da signore in francese, in te­

desco. in spagnuolo...

È il ricordo dei suoi studi di meccanica, deprecati,

condotti con l'augurio c la speranza di cadere agli

esami, per darsi ad altri studi, a cui lo portava il

cuore («ma i maledetti esami li superavo»): è il

fantasticare in cui si rivela. « alla gran scuola dei

meccanici ». — ove disegna e combina macchine im­

possibili, che certo mai avrebbero funzionato, — il

suo amore di terra lontana, che lo lancia, via dagli

studi imposti, in una fuga romanzesca in Ispagna;

sono le molteplici avventure toccategli nel viaggio

spagnuolo. e nel più lungo viaggio della vita. Ri­

cordo quando part*» per la Spagna con la valigia scu­

cita e i molti sogni; quando a Genova lo ingannano,

naturalmente, nel cambio della moneta; quando sul

trabaccolo carico di olio e di agrumi, che lo porta

a Barcellona, steso sulle botti untuose, disfatto dal

malessere della traversata, si esalta alla vista della

costa di Spagna... e paga intanto il suo tributo al

mal di mare; quando allo sbarco «il nuovo eroe»

trova, nella terra incantata, le grinfie dei doganieri;

quando sulla torre della chiesa di Leon si dimentica

ed è dimenticato, sicché rimane chiuso in alto, sotto

le immense campane; quando va per i monti della

Catalogna a scovare per una famiglia amica « un

modello di serva», che poi sarà tosto licenziata;

quando, infine, sostituitosi ai suoi contadini per tro­

vare e comprar lui, una buona volta, la mucca ideale

«da mungere per ore», va al mercato d'Intra e ne

torna con la «vacca estetica », « smunta ed arida » :

— sempre una strana commistione di entusiasmo e

di crudi risvegli, che però non gli impediscono rica­

dute o risollevamenti in altri entusiasmi, sempre

un'inesperienza del meccanismo, delle piccole mi­

serie della vita, che però non lo scoraggia e di cui

piuttosto sorride, talvolta non senza un leggero velo

di malinconia.

Ed è in questi scritti altresì una profonda intimità

e ingenuità di sentimento. Passano innanzi a noi

figure di persone che gli furono care, e la sua anima

trema tuttora di commozione nel ricordarle, nel trat­

teggiarle: la madre dolce, buona, indulgente; il pa­

dre burbero, intestato a far di lui un ingegnere, per

raddrizzare un suo mulino «macinante con ordigni

già strapazzati e consunti »; le figure dei suoi bene­

fattori e amici, stretti sempre al su

re.

Vi ritrovate l'affettuoso attaccamento alla sua terra,

ai luoghi della sua infanzia, la sensibilità e l'amore

tenerissimo ch'egli ha per la natura, per le sue più

semplici innocenti manifestazioni, soprattutto per le

erbe e i fiori : « Io vi trascorrevo i giorni più placidi

e confidavo le mie pene alle acque, ai monti, ai fiori,

anche ai sottili steli d'erba e a certe pietre fisse nei

muriccioli, che certo mi intendevano e mi davano

quiete e pace ». Così, quando lascia Beigirate per il

viaggio in Ispagna, si direbbe che più si commova

nel salutare « all'imbrunire, con un tremito di gioia

e l'occhio umido di pianto, le erbe del gran prato,

strette nel verde fraterno e leggermente ondeggianti

a una brezza scorrente», che non a lasciare i suoi

familiari; e, lontano, dai lidi ove lo ha portato la

sua fuga, rivedrà spesso nella sua nostalgia le « care

zolle abbandonate », « i prati ove nascevano e si fal­

ciavano con le erbe tante

sue

speranze ». È un de­

licatissimo amore, che a lui, grande fanciullo, è

rimasto intatto e che ben conosce chi lo ha visto in­

tenerirsi tuttora per uno stelo d'erba, o salire in

montagna, in aspre gite, per scenderne carico di fiori

alpestri.

In questi ricordi, più che nei saggi critici, gli è con­

cesso dare espressione a questo sentimento della na­

tura, che si traduce in capacità di osservazione e gli

permette di tracciare rapidi quadretti in bcorcio,

spesso efficacissimi : c correvano le prime nebbie sul

lago e impallidiva il cielo»; «la rocca di Angera

tutta in sereno abbandono alla calma»; «ancora ri­

vedo i chiarì ruscelli, che scorrevano placidi tra

abissi di roccia, come sospirassero il d d* » ; « il

II