

RASSEGXA DI POLITICA ESTERA
M I N O R A H Z E I N Q U I E T E
Le minoranze che coi trattati di pace rimasero in
corporate in Stati di altra nazionalità furono messe
sotto la protezione della Società delle Nazioni. Il
che ha voluto dire che ogni volta che tali mino
ranze hanno ricevuto dei danni damili Stati a cui fu
rono consegnate, si son \iste sopraggiungere le heffe
delle buone parole societarie. Fatta eccezione dei
casi in cui non sono state così ingenue da ricercarle.
Grosse questioni di minoranze sono quella degli
ungheresi incorporati nella Jugoslavia, nella Roma
nia e nella Cecoslovacchia: in tutto circa 3 milioni,
in confronto coi 7 milioni di ungheresi che contiene
l'Ungheria nei suoi attuali confini: e quella «lei te
deschi (3.3 milioni) dell<» Stato ceco-sl«ivacco. An
che di altre si parla spesso: di tutte la maggiore è
quella degli ebrei, ed è anche la più complicata.
Soluzioni atte a dare soddisfazione ad entrambe le
parti in contrasto non ne esistono, (rii Stati conqui
statori credono di avere ottime ragioni per tenerci
entro i confini minoranze di altra nazionalità: vi
si fanno entrare motivi storici, geografici, strategici,
giuridici, ecc. : e le minoranze credono di avere ra
gioni non meno buone per mm restarci.
E quanto più gli Stati conquistatori cercano di di
struggere le tendenze centrifughe c«>n procedimenti
assimilatori e soffocatori della nazùmalità minori
taria, tanto maggiormente «|iie«ta \ibra di ribellarne:
così che il contrasto rimane insanabile, e diventa
inoltre possibile causa di conflitto con gli Stati alla
cui nazionalità le minoranze appartengono, e che
più o meno apertamente le minoranze spalleggiano.
La Piccola Intesa è sorta. come è noto, dal ntmune
interesse degli Stati che la «'ompongono a premu
nirsi contro le rivendicazioni nazumali ungheresi.
L'Ungheria non può far altro che tener vivi sen
timenti di fratellanza per le poptdazioni che non
fanno più parte del suo Stato, e sperare in qualche
futura occasione di nuova riunione, ma senza troppo
adoperarsi per farla accadere, che sarebbe il modo
più sicuro di allontanarla. Ed è questo inoltre il
solo atteggiamento che possa consentire alle mino
ranze ungheresi in territorio straniero di ottenere
un trattamento degno della loro civiltà.
Sembra che sia appunto questa la situazione che si
va delineando. Il revisionismo ungherese si attenua,
e gli Stati che lo temono mostrano disposizioni più
tolleranti verso le minoranze ungheresi. Il fatto, del
resto, che i vincoli della Piccola Intesa si vadano
rallentando, e che si vadano creando amicizie fra
alcuni suoi Stati e Stati amici delPUngheria (vedi i
nuovi rapporti italo-jugoslavi e italo-rumeni),
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questa coalizione sia diventata meno scontrosa e so
spettosa dimostra come vadano perdendo dì vigore
i motivi che l'hanno fatta nascere. In questa atmo
sfera meno torbida l'Ungheria potrà almeno otte
nere la parità di diritti cogli Stati confinanti, e cioè
la caduta di quelle disposizioni dei trattati di pace
che le impediscono di avere un armamento simile
a «pieliti che possiedono gli Stati confinanti. Questo
problema della parità di diritti dell'Ungheria è uno
dei più delicati dell'Europa danubiana, e sta lenta
mente avviandosi alla sua logica soluzione.
Assai più difficile si presenta la questione dei te
deschi dei Sudeti, che costituiscono una grossa mi
noranza nel piccolo Stato ceco-slovacco. Qui, dal
punto di vista della forza, non è affatto impossibile
che la Germania si impossessi del territorio occu
pato da «piesta minoranza; e la Ceco-Slovacchia non
ha vicini confinanti in grado di venirle in aiuto
prima che l'eventuale occupazione sia compiuta.
Questo fa sì che la minoranza sia più intransigente,
e min lo sia meno il governo ceco-slovacco nel fre
narne le manifestazioni. Con tutto ciò il governo
stesso ha fatto vedere «pialche intenzione di venire
ad un accomodamento: ma vorrebbe dare per cal
mare gli animi e contemporaneamente non dare per
non incoraggiare nuove pretese. Nè nella sua azione
frenante può giungere ad eccessi che provochino
l'intervento della Germania. La questione sembra
davvero insolubile, e non si può dire certo che il
tempo contribuirà a renderla meno intricata.
E gli Ebrei? Se ne è di nuovo diffusamente parlato
a proposito dell'intenzione del governo romeno pre
sieduto da Goga — le cui tendenze totalitarie e ri-
voluzionatrici sono note — di rivedere la cittadi
nanza dei numerosi ebrei stabilitisi in Romania,
dalla fine della guerra, e provenienti dalla Russia
e dalla Ptdonia. Sembra che questi ebrei di nuovo
acquisto si siano profondamente infiltrati negli af-
fari e nelle professioni, dominando indirettamente
e nefastamente gran parte della vita pubblica. Di
qui si spiega l'atteggiamento del governo di Goga e
del governo che gli è succeduto.
Tale atteggiamento ripropone il problema del defi
nitivo destino da dare a questi ebrei che sono co
stretti a migrare da un paese aU'altro: qui appena
tollerati là addirittura respinti, ovunque sospettati,
e raramente a torto, di maneggi sovversivi. La co
stituzione di uno Stato ebraico indipendente è
l'unica sebbene non facile soluzione, della questione
ebraica. Perchè l'assimilazione è meno facile an
cora. se non proprio impossibile, nè si può pensare
a far «comparire gli ebrei dalla superficie terrestre.