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serve da fare; e noi per conto nostro avremmo, per

esempio, preferito, ai «Cavalli di luna e di vul­

cano » di Quasimodo certi suoi squarci lirici apparsi

in « Letteratura ». e altre fra le poesie pubblicate da

Mario Luzi (poeta giovanissimo e già padronissimo

dei suoi mezzi espressivi) sul numero di maggio del

«Frontespizio». (Incidentalmente:

Meridiano

e il

Frontespizio

sono i due periodici che fanno più

bella figura, come numero di poesie trascelte).

A parte queste leggere divergenze, le cose più squi­

site apparse durante l'annata sono qui riunite: e io

non so resistere al desiderio di tornarmi a fermare

su qualcuna, anche per dare concretezza e traspa­

renza ad alcuni accenni generici fatti più sopra.

«(Insonnia» di A

ngelo

B

arile

è la prima lirica

che subito venga incontro con gentilezza eonfiden-

ziale. tutta respirante di notturne freschezze.

Una di quelle poesie in cui tutto è immediatezza

sensitiva, e attraverso la sensazione, come dietro

una lastra trasparente e iridata, una attenta auscul­

tazione spirituale.

Il bozzolo della sensualità pascoliano-d'aniiunziana.

in cui un po’ restano avvinti i versi del Barile, si

apre completamente e si dissolve nella lirica del

B

etocchi

. «Alla dolorosa provvidenza»: qui una

sensibilità discretissima estremamente sobria d'im­

magini. una poesia che si umilia alla lenta melodia

del discorso, ma di un discorso modulato da una

energia creativa tanto più inten-a (pianto meno

apparente.

Dopo la poesia del Betocchi — una delle più note­

voli del libro, perchè il suo afflato religioso rifugge

con una mossa di pudore da ogni abbandono lirico

che stonerebbe con l'intimità sofferta del canto —

bisognerà con vero dispiacere sorvolare su molte pur

dotate almeno di attimi fuggevoli e luminosi (con

tanto maggior dispiacere su «Un improvviso» di

C a p a s s o ,

una delle p»ù pensose e severe, e inesora­

bilmente interiori, del poeta ligure). Ma almeno un

accenno va fatto a « Notte di guardia» di

A d r ia n o

G r a n d e ,

con quel suo realismo ora fosco ora sereno,

una delle più belle liriche ispirate dalla nostra im­

presa africana.

« Marinaresca la mia favola » (« Come non sanno il

colore dell'aria — le rondinelle, appena il mari­

naro — sa delle azzurre lande... »), è una delle poe­

sie meglio articolate e fuse di

R e n z o L a u r a n o .

in­

dulgente a volte troppo, nelle altre sue poesie, a

scatti velocissimi e a subiti arresti.

Non ritroviamo molto il nostro

M o n t a l e

in « East-

hourne»: ma riscopriamo il

N o v e r o

più candido e

amabilmente ingenuo in «Un giorno forse Iddio»:

si sente la vecchiezza esperta dell'artefice, ringiova­

nita da una intoccabile giovinezza spirituale; e un

V a l e n t i n i

tutto lucida e accorata nostalgia nella

« Preghiera all'ulivo ».

Proprio nell'ultima parte del volume s'innalzano e

si distaccano, come arcate di un purissimo stile clas­

sico fra architetture agili e varie, due liriche:

«Paese ligure* di

F r a n c e s c o P a s t o n c h i

e «Sag­

gezza» di

G iu s e p p e V i l l a r o e l .

« Sera di maggio festosa tra i monti : — tutte le

case son venute al ciglio — del torrente a godersi

l'aria e il verde». Nei primi tre versi dei diciotto

onde è composta la breve lirica pastonchiana, si

re

spira già un'aria diversa: siamo in un paese più del

solito ampio e fermo, con una limpidezza di cieli

e di acque e una pastosità di indefiniti colori, che

ricorda Carducci e non è Carducci, e D'Annunzio

un poco e un poco anche Pascoli nel primo verso,

senza essere nè l'uno nè l'altro.

«Si vedono le donne per le loggie, — (piai cuce,

altra che coglie panni e ride. — La gente va e viene

lungo il ponte: — uomini col cavagno d'erba e il

sacco, — uno con una mula che s'impunta — cario

e lui le dà voce e la tira ». La ferma chiarità dei

primi tre versi si fa distaccata e lontana: quelle

donne che colgono panni e ridono, quegli uomini

affaccendati col cavagno d'erba e il sacco, sono fi­

gure senza tempo, eternità di poesia che travali­

cando i secoli si colloca in una solennità maestosa,

e intiinumente vera, di atteggiamenti. Anche lo stile

intreccia elegantemente un'indefinibile varietà di ri

cordi poetici, pittorici, musicali; in quei pochi versi

ogni secolo della nostra letteratura ha portato il suo

contributo, dalla soavità stilnovistica all idillio ma­

linconico e dolce della poesia pastorale. E la sceni

continua a svolgersi come un lento dipanarsi di rie

vocazioni sapienti e sospirose, e poi si fissa in ua

quadro immobile, riempito da non so che senso di

nostalgia profondamente umano: «Cosi passa e rin­

nova. uguale vita». Si ripensa a quel sospiro reli­

gioso e insieme mondano, che emana dalla poesii

quattrocentesca del Poliziano e del Magnifico. Mi

((ui tutto è più quieto e solenne; perchè confronti

letterari qui sono possibili solo in quanto la lette

ratura si è trasformata in magistero d'arte, è dive

nula essa stessa aristocratica vita interiore, fonden­

dosi e chiarificandosi nel personale temperamene

del poeta.

L'aspetto più caratteristico della poesia citata è il

una vivace alacrità d'intuizione tutta contempo*

ranea. chiusa e fermata in una cornice di elegante

classicità. Qualcosa di simile si può ripetere p<f

« Saggezza » del Villaroel. Solo ri troviamo ora il

presenza di un dannunzianesimo leggermente affio*

rante, e avvolgente nei suoi delicati effluvi un po

tutte le immagini. Anche ora però, un dannunziane

simo che lungi dal nuocere all'arte, si uniforma a

suo clima inconfondihile, impallidisce in un'aura pii

mite e persuasiva.

Il

titolo racchiude la quintessena

di questo lirismo, che frena gli abbandoni del senti1

mento in una sfilata lenta e in un inseguimento d'ir*

magini. che non sono nuove e pur rimangono squ»

site.

Oggi si tende spesso a liberarsi d'ogni residuo lem

terario. e arrivare a un'arte spoglia e nuda comi

la vita. Ma quando la letteratura non è un ammanta»

bensì una raffinata delizia insinuatasi nei più

meandri dello spirito creatore, esprimendo qu

il poeta esprimerà, anche allora, la sua vita.

G I O R G I O C E R A G I O L I

PITTORE, SCULTORE E “ DECORATORE,,

Quando, nello scorso anno, celebrandosi il Cente­

nario della fondazione «Ielle gloriose « fiamme cre­

ili

i-i ». Torino echeggiava tutta delle loro elettriz­

zanti fanfare e le sfilate, a passo di corsa, degli

ammirati figli di Lamarniora suscitavano calorose

ovazioni, fra i più entusiasticamente

disciplinati

partecipanti era osservato, e segnalato ad esempio

da alti superiori, un brillante ufficiale di ben mar­

ziale. animatore portamento : Giorgio Ceragioii,

una fra le più genialmente rappresentative di que­

ste centenarie « Fiamme ». alla cui celebrazione

dedicava un'intensa opera di bellezza ed amore

quale poteva solamente attendersi da un bersagliere

veramente di razza.

Opera diuturna d'organizzazione delle varie mani­

festazioni e di coscienzioso raccoglimento in arti­

stiche creazioni ispirate alle luminose fortune del

Corpo, a cominciare dalla più efficace rievocazione,

in pittura e scultura, della figura del grande Fon­

datore.

K la sua amorosa dedizione, in quest'esaltazione,

non è certo d'oggi soltanto, come è anche rilevato

nel

Numero unico cele­

brativo

. pubblicatosi nella

fausta ricorrenza: « ...e

rosi

la tela del Calcagno,

ripnulucente Alessandro

lAtnarmora. e

l'altra del

Cerasoli, di uguale tema.

che è

la più bella, ed

espressiva. Conviene ag­

niunvere che

il Ceranioli

milita

con altrettanto ri

-

sultaio

nell'arte /plastica,

nella

quale ci ha dato uno

dei più forti modelli del

bersagliere artistico: quel­

lo

del

monumento inau­

gurato

qualche anmt fa al

Ponte di Goito

». Ma è

seguendo il Ceragioii nella

eletta sua opera di artista

e di patriota che noi ve*

(Iremo in quali, e quante,

altre memorabili circo*

stanze egli sia ancora stato

chiamato a celebrare eroi*

che g e s ta delle nostre

armi.

Nativo di Porto Santo

Stefano (Orbetello), di

fa*

miglia fiorentina, la sua vocazione per l'arte si

rivelava sin dalla prima giovinezza, quando, al­

lievo dei Padri Scolopi a Firenze, appena dodi­

cenne. consegnata alla uscita della scuola la car­

tella dei libri al fratello, si recava nello studio del

professor Ulisse Cambi, iniziandosi alla scultura.

A diciott'auni è già volontario neH'Esercito e, come

tenente dei bersaglieri, vi presterà servizio attivo

per nove anni. La sua prima affermazione artistica

risale appunto a questo periodo, nel 1886, quando,

nel Cinquantenario della fondazione, modellava

quel già citato

Bersagliere alla carica,

che si con­

serva nella nostra Armeria Reale e che, modellato

in adeguate proporzioni e fuso in bronzo, sorge, a

ricordo del primo fatto glorioso del Corpo sul Ponte

di Goito.

Di quale spirito frema, viva tutta l'opera di Giorgio

Ceragioii, di cittadino, soldato, artista, è espresso

nel serenissimo motto che, sulla vetrata della norta

d'ingresso, accoglie nel suo studio:

Post nubim

•>««.

Così vi è subito promessa, con pensiero, militare­

scamente fiero e cordiale, una confortevole sosta in

quello studio, conoscendo

voi ormai come la lotta,

gli ostacoli, le battaglie

non vi destino allarmi,

preoccupazioni o origini­

no demoralizzazioni, ma

invece sempre una nuova

fede, una più appassio­

nata febbre, accompagni,

animi l'opera tutta del*

l'artefice, n e l q u a le è

inalterabile 1a certezza

che, sempre, dopo la bu*

fera, risplenderà il sole.

Quindi mai possibilità di

scoramenti, arresti a l l a

ispirazione, a l l a v e n a

creativa, die potrà espli­

carsi così in tutta la mul­

tiforme varietà di tecni­

che e di soggetti, rivelan­

doci nel Ceragioii il senso

di responsabilità e la pe­

rizia, sia die si manifesti

come pittore, scultore o

decoratore,

come

già lo

definiva, or sono molti

anni, Enrico Thovez e

come a noi piace tuttora

sottolineare,