

I L C R O N I S T A D E L C I R C O
Sotto il .«ilo cilindro ironico, l'uomo che consuma
sette stilografiche all'anno e lavora ininterrotta
mente nello studio ornato da scheletri e fantocci ed
animali impagliati nella penombra azzurrastra di
un lampione a gas, associa le fantasie antidiluviane
al futurismo delie
firefiuerias.
Questi è Ramón Go-
mez de la Serna. autore imperturbabile di un cen
tinaio di libri, il traduttore di ciascuno dei quali
sostiene che il prescelto da lui è, senza discussione,
il capolavoro.
Tutto in lui è tendenza a diventare cifra fìssa di
una meravigliosa composizione cromatica, in cui la
personalità straordinaria dell'autore, anzi, dell'in
ventore, vuole ad ogni costo eternarsi attraverso
l'esasperazione del funambolismo verbale. Quella
sua prosa a scatti, a sorpresa, a trabocchetto, a pu
gno neU'oechio, ha in se qualcosa di contagioso,
quasi si vorrebbe trattarlo allo stesso modo che egli
usa per fornire al lettore la sua merce variopinta:
aforismi, paradossi, fantasie,
prefiuerias;
il tutto,
vorremmo, condito con un pizzico di commento ogni
volta che egli stesso, di rado, si lascia fissare in una
posizione determinata. Di rado, che subito egli ri
prende a trasformarsi, ed in una massa iridata ti
sfugge di tra le mani, ti deride con improvvisa le
tizia, ti avventa contro una trovata nuova, ti saluta
dall'alto di un trampolino, ridiscende, con faccia
un po' compunta, come se tutto fosse molto sem
plice. E poi, sempre improvvisamente, ti si mette
di fronte guardandoti con volto funebre, inducen
doti a meditazioni sulla morte, guidandoti verso lo
sfondo 6evero di una cattedrale spagnuola. Pronto a
ribalzare subito dopo verso un arcobaleno che ap
pare d'improvviso, con una risata imprevista, delu
dendo ogni tua attesa, lasciandoti,
bouche beante
.
a guardare il razzo che si fa scintilla e sparisce.
Il lettore smaliziato dall'esperienza deU'ormai più
che trentennale futurismo, fiuta il trucco e non vuol
cedere al dèmone sorridente. Ma rimarrebbe deluso
chi si attendesse di trovare in Ramón il chiaro di
luna ucciso, e le viti pazze che si trascinano come
le undicimila vergini non sazie su per declivi di un
assurdo sole d'arco voltaico, e le contorsioni di un
fulmine compositore che arraffa per via frammenti
di case e manichini d'uomini per giostrare con loro.
Pare siamo lontani da ogni compostezza, l'autore
non cede ad una esposizione ordinata, ad una com
posizione architettonica che potrebbe fissare il mo
mento creativo in una più chiara solidità. Ma lo
l i
scrittore è tutto teso a far brillare da ogni fibra del
suo squisito sistema nervoso ogni possibile vibra
zione che assume immediata forma di parole.
Noi non immaginiamo in lui alcuna fatica creativa,
alcun approfondimento, intesi nel senso della ri
cerca di una rispondenza tra le cose e il suo spirito.
Ma questo è, in lui, naturale: tutte le cose, e
l'aspetto di tutte le cose, è in lui, che tranquillo
non ha altro da fare che ordinare un po' compo
stamente quello che per spontanea magìa gli guizza
davanti agli occhi socchiusi.
Noi pensiamo, a proposito di lui e in tema di acco
stamenti, piuttosto a pittori che non a scrittori.
Molto evidente il distacco operato da Ramón fra le
scuole e la sua produzione personale, grande merito
e non dubbio. Ma conosciamo pure quanto sia pe
ricoloso per uno scrittore l'esaer stimato pittorico,
quanto per un pittore Tesser scoperto narrativo:
questo senza alcun riferimento alla vecchia storia
dei generi e delle arti. Ma quando assistiamo ad
una delle evocazioni di Ramón, si tratta sempre
di una
féerie,
nella quale il movente psicologico
attivo è spesso soffocato dalla ridda delle immagini.
Sarebbe difficile, in senso ristretto, arrivare ad una
realizzazione artistica più
pura
di questa: c'è da
far lieta tutta una schiera di scrittori anticontenu
tisti.
Eppure anche in lui si scoprono delle cose molto
sostanziose, molto vive, molto profonde: o almeno,
tali potrebbero sicuramente apparirci, se troppo
spesso non ci abbagliasse lo sboccio delle trovate
superficiali, troppo rapide per avere il tempo di
approfondirsi e manifestare il loro significato
umano.
Ma le caratteristiche essenziali della razza e dell'am
biente pure rivivono attraverso la sua arte. Basta
pensare allo sfoggio, anzi allo spreco dei colori, cieli
abbaglianti che riversano onde di luce su arene
gialle panni rosei acque colorate; dorature antiche
mezzo distaccate che ritrovano vita in un brillare
momentaneo per un riflesso impensato di sole en
trato da un'imposta aperta da un colpo di vento.
In queste casuali scoperte egli getta d'un tratto un
aforisma, una
boutade,
un pensiero assurdo, che
non possiamo neppure trovare assurdo, in quel
luogo, con quella volontà.
«L'elefante non è altro che fango disseccato». E
tutta la teoria di pachidermi sfila davanti a noi,
fango disseccato, macchi di stanchezza animale che