Table of Contents Table of Contents
Previous Page  74 / 1981 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 74 / 1981 Next Page
Page Background

I L C R O N I S T A D E L C I R C O

Sotto il .«ilo cilindro ironico, l'uomo che consuma

sette stilografiche all'anno e lavora ininterrotta­

mente nello studio ornato da scheletri e fantocci ed

animali impagliati nella penombra azzurrastra di

un lampione a gas, associa le fantasie antidiluviane

al futurismo delie

firefiuerias.

Questi è Ramón Go-

mez de la Serna. autore imperturbabile di un cen­

tinaio di libri, il traduttore di ciascuno dei quali

sostiene che il prescelto da lui è, senza discussione,

il capolavoro.

Tutto in lui è tendenza a diventare cifra fìssa di

una meravigliosa composizione cromatica, in cui la

personalità straordinaria dell'autore, anzi, dell'in­

ventore, vuole ad ogni costo eternarsi attraverso

l'esasperazione del funambolismo verbale. Quella

sua prosa a scatti, a sorpresa, a trabocchetto, a pu­

gno neU'oechio, ha in se qualcosa di contagioso,

quasi si vorrebbe trattarlo allo stesso modo che egli

usa per fornire al lettore la sua merce variopinta:

aforismi, paradossi, fantasie,

prefiuerias;

il tutto,

vorremmo, condito con un pizzico di commento ogni

volta che egli stesso, di rado, si lascia fissare in una

posizione determinata. Di rado, che subito egli ri­

prende a trasformarsi, ed in una massa iridata ti

sfugge di tra le mani, ti deride con improvvisa le­

tizia, ti avventa contro una trovata nuova, ti saluta

dall'alto di un trampolino, ridiscende, con faccia

un po' compunta, come se tutto fosse molto sem­

plice. E poi, sempre improvvisamente, ti si mette

di fronte guardandoti con volto funebre, inducen­

doti a meditazioni sulla morte, guidandoti verso lo

sfondo 6evero di una cattedrale spagnuola. Pronto a

ribalzare subito dopo verso un arcobaleno che ap­

pare d'improvviso, con una risata imprevista, delu­

dendo ogni tua attesa, lasciandoti,

bouche beante

.

a guardare il razzo che si fa scintilla e sparisce.

Il lettore smaliziato dall'esperienza deU'ormai più

che trentennale futurismo, fiuta il trucco e non vuol

cedere al dèmone sorridente. Ma rimarrebbe deluso

chi si attendesse di trovare in Ramón il chiaro di

luna ucciso, e le viti pazze che si trascinano come

le undicimila vergini non sazie su per declivi di un

assurdo sole d'arco voltaico, e le contorsioni di un

fulmine compositore che arraffa per via frammenti

di case e manichini d'uomini per giostrare con loro.

Pare siamo lontani da ogni compostezza, l'autore

non cede ad una esposizione ordinata, ad una com­

posizione architettonica che potrebbe fissare il mo­

mento creativo in una più chiara solidità. Ma lo

l i

scrittore è tutto teso a far brillare da ogni fibra del

suo squisito sistema nervoso ogni possibile vibra­

zione che assume immediata forma di parole.

Noi non immaginiamo in lui alcuna fatica creativa,

alcun approfondimento, intesi nel senso della ri­

cerca di una rispondenza tra le cose e il suo spirito.

Ma questo è, in lui, naturale: tutte le cose, e

l'aspetto di tutte le cose, è in lui, che tranquillo

non ha altro da fare che ordinare un po' compo­

stamente quello che per spontanea magìa gli guizza

davanti agli occhi socchiusi.

Noi pensiamo, a proposito di lui e in tema di acco­

stamenti, piuttosto a pittori che non a scrittori.

Molto evidente il distacco operato da Ramón fra le

scuole e la sua produzione personale, grande merito

e non dubbio. Ma conosciamo pure quanto sia pe­

ricoloso per uno scrittore l'esaer stimato pittorico,

quanto per un pittore Tesser scoperto narrativo:

questo senza alcun riferimento alla vecchia storia

dei generi e delle arti. Ma quando assistiamo ad

una delle evocazioni di Ramón, si tratta sempre

di una

féerie,

nella quale il movente psicologico

attivo è spesso soffocato dalla ridda delle immagini.

Sarebbe difficile, in senso ristretto, arrivare ad una

realizzazione artistica più

pura

di questa: c'è da

far lieta tutta una schiera di scrittori anticontenu­

tisti.

Eppure anche in lui si scoprono delle cose molto

sostanziose, molto vive, molto profonde: o almeno,

tali potrebbero sicuramente apparirci, se troppo

spesso non ci abbagliasse lo sboccio delle trovate

superficiali, troppo rapide per avere il tempo di

approfondirsi e manifestare il loro significato

umano.

Ma le caratteristiche essenziali della razza e dell'am­

biente pure rivivono attraverso la sua arte. Basta

pensare allo sfoggio, anzi allo spreco dei colori, cieli

abbaglianti che riversano onde di luce su arene

gialle panni rosei acque colorate; dorature antiche

mezzo distaccate che ritrovano vita in un brillare

momentaneo per un riflesso impensato di sole en­

trato da un'imposta aperta da un colpo di vento.

In queste casuali scoperte egli getta d'un tratto un

aforisma, una

boutade,

un pensiero assurdo, che

non possiamo neppure trovare assurdo, in quel

luogo, con quella volontà.

«L'elefante non è altro che fango disseccato». E

tutta la teoria di pachidermi sfila davanti a noi,

fango disseccato, macchi di stanchezza animale che