

Una lezione di Alessandro Arrò
NOTA DI ATTUALITÀ
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di GUIDO GUIDI ■
Ho avuto la ventura di essere allievo del Professore
Arrò. Questo nome non dirà nulla a chi non lo ha co
nosciuto: Alessandro Arrò non è passato alla Storia,
non ha lasciato di sè tracce indistruttibili: darà però
certamente un senso di affettuosa commozione in chi
lo ha conosciuto o ha avuto modo di apprezzare la sua
opera e la sua vita. E se non è stata una personalità
tale da essere monumentata, la sua esistenza merite
rebbe certo di avere quel temporaneo, modesto ricordo
che può essere rappresentato dal nome di una via cit
tadina: senza voler far paragoni, non sfigurerebbe dav
vero accanto al letterato Giuseppe (ìrassi o all’inge
gnere idraulico Giorgio Bidone.
Uomo di una cultura enciclopedica e profondissima,
in certi campi, uomo di una bontà senza fine.
Era professore di latino e greco nel vecchio Liceo
Cavour, tanti e tanti anni fa e le sue lezioni, pur handi
cappate da quella sua voce leggermente blesa e un
tantino balbuziente, erano così dense di contenuto così
belle, fatte con tanto calore, che attiravano irresisti
bilmente l’attenzione dei giovani, così inclini a lasciarsi
deviare dalle prodezze di un Ganna, o di un Bordino
o di un Blériot, gli eroi dello sport d’allori.
Ricordo un pomeriggio di primavera avanzata ; atmo
sfera pesante; dalle finestre aperte sulla vetusta via del
Deposito non saliva alcun rumore; in lontananza dalle
finestre di una delle case dirimpetto giungevano le note
di un valzer di Crémieux che evidentemente una vaga
fanciulla (che naturalmente io immaginavo bruna, coi
grandi occhi sognanti e le braccia bianchissime) stava
imparando al pianoforte. Lo suonava ripetutamente, per
esercizio, dalla prima all’ultima nota, preludio compreso,
incespicando sempre negli stessi punti, ma sempre meno
finché alla fine la suonata si delineò nella sua comple
tezza, nella sua dolce integrità.
Quand l'amour meurt..!
Sarebbe come dire il
Valencia
o
I papaveri
d'allora.
Oggi nessuno lo ricorda più.
In aula la voce di Arrò riusciva a... distrarci dalla
distrazione. Come sovente gli accadeva, trascinato dal
desiderio di dire cose belle e interessanti, era scivolato
dai verbi irregolari, dagli aoristi e dal genere duale
delle coniugazioni greche (quel
duale,
che era qualcosa
di intermedio tra singolare e plurale, di cui non riusci
vamo proprio a comprendere perchè gli antichi ne sen
tissero il bisogno) a parlare di tutt altra cosa.
Ricordo:
«
Le mura della vecchia Torino, partivano dal mastio
della cittadella e venivano giù giù fino a Porta Palano.
Qui, dove ci sono le case, dove noi facciamo lettone, allora
erano prati; era la periferia esterna della cùtÀ.
«Quando la città si è estesa, si è fatto un piano rego
latore, continuando nel prolungamento delle vie a scac
chiera che costituivano il centro della Torino Romana...
«
Tutta questa zona è diventata di proprietà comunale;
ecco perchè ci sono caserme, grandi viali. Ecco perchè è
rimasto il Giardino della Cittadella. Il quale è così soll< -
vato rispetto al piano circostante, perchè al di sotto sono
rimasti i ruderi d'allora; ru1**” vrrchie costruzioni, mura
che non sono state demolì
. mplicemente ricoperte
di terra.
«
In futuro, quando a qualcuno verrà in mente di sca
vare sotto il Giardino della Cittadella, certamente si tro
veranno questi ruderi e si studierà e si troverà che appar
tengano a questa epoca...
«Ma non divaghiamo p iù ; facciamo un po' di inter
rogatorio. Guidi, prenaa il Rocci a pag.
50
e traduca a
prima
t
ista
Aedon kai kelidon ».
E l ’allievo Guidi che non era tra i primi, ma nep
pure tra gli ultimi della classe, diligentemente prese a
tradurre:
L'usignolo e la rondine,
provvidamente aiu
tato dal compagno di dietro che suggeriva, riuscendo
tuttavia a conquistarsi quell’ambito
otto
che serviva ad
essere promosso senza esame e a farsi rimanere impresso
nella testa quei due nomi uno dei quali anzi, in futuro
gli avrebbe poi permesso di spiegarsi perchè una nota
fabbrica di apparecchi radio l’abbia scelto per battez
zare un suo nuovo apparecchio. L ’
usignolo
; sì per un
apparecchio radio è un programma: ma
Aedo...
se non
si sa il greco suona ben male!
Il motivo per cui ho voluto ricordare la lezione del
prof. Arrò e proprio quella, è evidente.
Purtroppo, pur essendo diligente e promosso senza
esami, ero pur sempre studente e il succo delle parole
del professore è troppo magro. Non so bene, non ho
capito o non ricordo, se i ruderi di cui parlava si attac
cassero alla cittadella di Pietro Micca da una parte o
alle Torri palatine dall’altra; se fossero cioè ruderi del
l'epoca romana o solo di alcuni secoli fa. L ’essenziale è
che ricordo benissimo che Alessandro Arrò diceva che
«sotto il Giardino della Cittadella ci sono dei ruderi
interrati ».
Ho letto che prossimamente sotto tale giardino verrà
costruita un’autorimessa grandissima. Si dovrà scavare.
Si troverà qualcosa? Certamente la Sovrintendenza alle
antichità è al corrente di tutto questo, e
starà
vigilante.
Io
mi sono solo permesso di ricordare la voce del
l’amato e venerato professore e quel poco (purtroppo!)
che ha lasciato di traccia nei miei ricordi tra un valzer
sentimentale e una favola di Esopo.
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