

C A R L O C H I A V A Z Z A
Torino cinque secoli fa. Se facciamo un salto a ritroso
nel tempo possiamo soffermarci tra le sue mura, sostare
per le vie strette, davanti alle case spesso ancora ricoperte-
di tetti di paglia (lungo la Dora Grossa con l'acqua che
mulina nei fossi ai bordi delle strade) e guardare « dentro »
nella vita dei cittadini Non è, questo riandare al passato.
Io scoprire un mondo già fatto rivivere con appassionato
amore dalle pagine degli storici maggiori di Torino, ma
per avere un quadro di « ciò che fu », un quadro sintetico
in verità, sufficiente però per meglio comprendere il pro
digio del «miracolo di Torino» avvenuto cinque secoli
fa in una notte di giugno.
Per chi nel
1 100
si affacciava dalla collina (tutta boschi
e poche case/ e guardava Torino, aveva Io spettacolo di
un villaggio pittoresco adagiato tra il verde e lo scorrere
delle acque di tre fiumi. Non era proprio una città qua
drata, anche se le mura rosse disegnavano sul verde un
quadrilatero irregolare. ! bastioni e le alte torri di guardia
davano la misura della volontà di un popolo che voleva
vivere libero e sapeva difendere la sua liberta.
Dentro le mura tra le vie. nella piazza Castello o in
quella del Mercato (la più ampia) lo spettacolo non era
così pittoresco come dall'alto della collina. La via princi
pale o Dora Grossa (l'attuale via Garibaldi) che. p:ù o
meno tagliava in due la città, era una strada tortuosa fian
cheggiata da case piccole, irregolare e qua e la con portici
ricoperti di paglia. 11 suolo non selciato era sporco di lor
dure; davanti alle botteghe i banchi delle beccherie, o del
pesce mandavano un fetore nauseante; non si aveva il
mimmo principio di fognatura. Il torrente Dora s'incari
cava delle pulizie principali. Mandre di porci vagavano per
le strade senza custode, timbrate con il segno ilei proprie
tario. Torino era dunque un borgo come tanti altri in Pie
monte e per di più con i segni d un inspiegabile rilassa
mento. Con il procedere del secolo la vita urbanistica riprese,
accelerando sempre più di ritmo e di intensità. Il Comune
impone la sua autorità: vieta « il vagar dei porci senza
custode» (perchè gli incombeva ('obbligo di pagare ai pro
prietari il prezzo di quelli che venivano uccisi), prescrive
di selciare la via Dora Grossa a chi possedeva la casa
« sovr'essa », fa lastricare di mattoni cotti la piazza del
Mercato. Nel
1448
avendo il fu»Ko distrutto la casa di uu
borghese il Comune, nel concedere un aiuto finanziario,
bandisce un'ordinmza secondo la quale rutti coloro che
avessero case, ponici, tettoie, porcili ricoperti di paglia
dovevano sostituirvi in breve tempo • altra materia » pena
la multa di
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soldi viennesi. Si arriva cosi al l
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ì in
pieno fervore di rinnovamento edilizio e la città acquista
un aspetto di composta signorilità.
La vita ristretta tra le mura, il piccolo numero degli
abitanti (cinquemila circa), le comuni vicende della ero-
* Il calice del miracolo.
naca quotidiana avevano affiatato
i
cittadini sì da formare
come una grande famiglia. E lo dimostrano gli ordinamenti
del Comune. Infatti il Comune era una « compagnia » in
cui vigeva la legge della solidarietà.
Avevano pieno diritto di cittadinanza coloro che paga
vano le taglie e le altre tasse e soddisfacevano ai carichi
personali, quali la guardia della città. Costoro erano anche
gli elettori o gli eletti alla < cosa pubblica ».
Se un infortunio o un incendio distruggeva la casa di
un cittadino essa veniva « ristorata » a spese del Comune.
Se a un cittadino veniva recisa la vigna, guastato un campo,
ucciso un animale riceveva « ammenda » dal Comune. Se
un torinese, viaggiando anche in lontane regioni, era offeso,
danneggiato, incarcerato da qualche principe, la città n-
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