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Malta, e con essa una pensione in compenso delle gravi spese a
cui aveva sopperito del proprio per provvedere all'ordinamento ed
all'armamento dci bersaglieri. Fra gli ordini stranieri di cui era
Ire–
giato notasi quello di prima classe del Nicham confertogli dal Be)'
di T unisi.
Nel 18)4, quando imperverso fierissimo il colèra a Genova, il
La Marmora comandava ancora quella città, e non è a dire con
quale zelo infaticabile, con quanto nobile sprezzo della vita, con quanta
benefica assiduità egli si dimostrasse nella cura degli infelici colpiti dal
crudele malore. Lascio al riguardo stampata una dotta memoria dal
titolo:
Il Cboléra-morbus del
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J4
nel presidio di Genova,
nella quale
con molto serino raccolse precetti per preservarsi e curarsi dal
morbo.
Poco temp o prima l'eccellente galantuomo aveva sposa to la si–
gnora Ro sa Roccatagliat a, vedova Ra tti-Opizzoni, e dalla felice u–
nione si riprometteva per il resto de' suoi giorni que lla pace a cui
più agognano gli uomini onesti, la pace del cuore, le domestiche
consolazioni.
Ma ben presto
la
guerriera tromba squillo di bel nuovo, e quel
suono vibro forte forte nel cuore d'Alessandro La Marmora, che
a niun titolo si sarebbe rassegnato a non partecipare ai pericoli ed
alle glorie del corpo di spedizione per la guerra d'Oriente.
Dato un addio tenero e risoluto all'amata consorte, il 19 maggio
1855 salpava da Genova per quella lontana Tauride che più non avreb–
belo reso al suolo natio. Era a capo della seconda divisione di
quel piccolo, ma prode esercito Sardo, del quale il di lui fratello
Alfonso aveva il comando supremo.
Appena sbarcate le truppe sul suolo di Crimea, il funesto morbo
asiatico le assalse fieramente, e moltissimi pagarono il triste tributo
all'invincibile contagio. AI loro letto gli infermi soldati avevano
lieto conforto dal loro stesso generale La Marmora, che a tutti era
largo di cure paterne, a tutti provvedeva infaticabilmente quanto
fosse d'uopo per alleviare s'era possibile i loro mali.
Le continue fatiche spossarono non poco le fibre d'acciaio del
valoroso campione, e la ferale malattia non indugio ad assalirlo,
ma egli non era uomo da sbigottirsi agevolmente, ed era avaro
di cure verso sè medesimo, tanto
~uanto
n'era prodigo verso gli
altri. AI morbo oppose quello stesso sereno e disinvolto stoicismo,
con cui soleva stare in mezzo al fuoco. Celo a tutti il suo stato