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orerie, e stoffe a ricami, tutto, insomma, a-

rieggiava lo stile degli edifìzi di sesto acuto,

o, come li diciamo,

gotici.

L ’oreficeria, inispe-

cie, foggiò la maggior parte delle sue opere

su questo stile ; ed i tabernacoletti che tu hai

dinanzi agli occhi sono, pochi eccettuati, una

riproduzione in iscala piccolissima di quelli

che si vedono coronare le facciate e i fianchi

delle case di Dio o di quelle del Comune.

Il reliquiario tanto celebre e non meno cele­

brato di Orvieto, di pianta quadrilatera, con i

suoi contrafforti angolari, colle quattro fac­

ciate tricuspidali tutte smerlate , con quelle

gugliette che s’innalzano sulle facce e sui

fianchi ; il reliquiario, dico, è un modello di

edifizio gotico di grandiose proporzioni. E

dove andarono gli orvietani a cercare l ’orafo

per costruire questo edifizio d’argento del

peso di circa duecento chilogrammi , in cui

la materia è le mille volte vinta dall’arte?

Andarono forse nella Svizzera o nella Magna

per l ’orafo e a Limoges per un maestro di

far g li smalti? Nè men per sogno! Chiama­

rono dalla vicina Siena; donde avevan fatto

venire l ’architetto dell’ammirabile chiesa di

S. Maria,

Lorenzo Maitani;

chiamarono,

dico,

Ugolino di Vieri,

e questi dal 1337 al

1338, inventò e lavorò , orafo e pittore in

ismalto nel tempo stesso, quel maraviglioso

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