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Un Monumento Nazionale

del secolo XVI sul colle

di S. Margherita a Torino

C

redo che pochi arrivando da Torino a S. Mar­

gherita si siano soffermati a guardare i cinque

pinnacoli malandati sorgenti da un tetto ancor

più in cattivo stato messo a copertura di un edi­

ficio modesto, mezzo affogato nel muro continuo

laterale alla strada, muro alto quattro metri, munito

di filo spinato e che sembra voler celare molte cose.

Quell'edificio in cosi deplorevole stato è la Cap­

pella di cui ci occupiamo.

Dichiarata Monumento Nazionale è abbandonata

all’azione deleteria del tempo e condannata a depe­

rimento sistematico e inesorabile.

Essa è di proprietà del signor Aymo e. divisa a

metà da un solaio in legno, è data in affitto a L. 70

al mese: per quasi quaranta metri quadrati di Mo­

numento Nazionale è un affitto irrisorio, maandiamo

a vedere.

Cento metri più a valle ecco la porta che ci

permetterà di entrare in quel recinto tanto miste­

rioso: una stradina pittoresca fra more ed ortiche,

un sentiero rampante in terra ed eccoci di fronte

al Monumento Nazionale. In quale stato I (fig. I).

Il proprietario così com’è non sa che farsene.

Vorrebbe fabbricare vicino, o meglio demolire per

far ciò che vuole, ma non può: c’è il veto della Sovra-

intendenza; restaurare non potrebbe; e poi, perchè?

Allora spera che qualche santo gli faccia la grazia di

trovare una bella mattina un mucchio di macerie e

liberarsi una buona volta da un fastidio, intanto...

percepisce l'affitto.

L'inquilino, un buon vecchio che lavora a Torino

e

ogni sera sale fin lassù, non hacertamente nètempo

vogliadi togliere le ragnateleedi lavaregli stucchi;

e

intanto la sporcizia si accumula e spande su tutto,

dalle pareti al più utile oggetto, una patina scura e

viscida.

Coti fra l’indifferenza, interessata o no, questo

Monumento Nazionale a poco a poco deperisce e

presto sarà rudere informe.

All'esterno rifatto nel 1756 (come si vede dalla

cartella dipinta nel fregio della facciata) l'arricciatura

è quasi tutta scrostata e macchie d'umido e di fulig­

gine contribuiscono a dare all’edtfìzio la nota triste

di catapecchia abbandonata.

H i entriamoe abituiamogWocchi alle penombra:

esistono uffici tecnici e di igiene? S parla tanto di

urbanismo, di aria, di toc*, ma qui non c’è nem­

meno la più lontana parvenza di educazione civile e

morale.

Niella penombra si ammucchiano alla rinfusa dei

mobili (erano mobili), in un angolo una vecchia stufe

di ghisa rotta, nella nicchia sovrastante qualche pen­

tola.edapertuttostracci,appesi,gettatiallarinfusa...

Qualche pomodoro e qualche cipolla su una men­

sola sembrano vergognarsi della loro epidermide

lucida e colorata.

Nel presbiterio unamalfermascaletta in legnocon

scalini viscidi e consunti porta al piano superiore.

Il pavimento di questo, pure di legno, mesco un po'

sotto l'imposta degli archi traballa ad ogni più pic­

colo movimento e pare debba crollare da un mo-

mento

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auro.

Sotto l’ampia volta un ietto ostenta la sua nuda

struttura metallica, un altro letto, con matemao e

lenzuola(checolorei)forsepiùsgangheratodelprimo,

un cassone tarlato, aualche owttte incimo, e daacni

parte stracci.

Di fiancoal lettosuunamensolaIn l*gno ricoperta