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I MAESTRI DEL NOSTRO STUDIO: ARTURO GRAF

Nulla è più terribile della ricerca del Vero; ma

nessuna disciplina è più degna di esser austeramente

seguita di quella che allontana dalle strade battute,

sacreai facili trionfi e che adduce verso il monte della

Bellezza e della Verità. Cima asperrima da scalare,

sulla cui vetta uno soltanto arriva di tanto in tanto,

di secolo in secolo, mache è bello purtuttavia tentare.

Ascensione spesso seminata di tragici crolli, ma che

rende degni di onore coloro che vi si avventurano,

anche se, poi. cadono stroncati lungo la via.

Questa fu la

moralità

che scaturì, per noi, dall'in­

segnamento del nostro Maestro; per quanto io abbia

avuto modo di accostarlo poco e al termine della sua

vita, ma in momenti di veggente altezza spirituale. Ad

onor del vero, tutti i discepoli suoi tennero fede a

quell'imperativc categorico di vita morale e di no­

biltà artistica che dall’alta cattedra dell'Ateneo tori­

nese il poeta di Medusa, di

Morgana,

di

Rime della

selva,

l’insigne critico di

Roma nelle leggende del

Medioevo,

di

Attraverso il Cinquecento,

di

II Diavolo,

di

Foscolo, Manzoni, Leopardi,

il romanziere di II

Riscatto,

l'indagatore di

Per una fede,

impartì per sette

lustri a folle di discepoli e di seguaci.

Perchè attorno alla sua cattedra non solo fermen­

tava e ribolliva l'anima giovanile delle studentesche

scapigliate ed ardenti, ma tutto quello che Torino

ed il Piemonte avevano di elevato, di colto, di fedele

ai più alti canoni del sapere e della bellezza si racco­

glieva attorno al Suo vasto sapere, alla Sua mente

lucida, geniale, vivissima.

Tempi d'oro quelli per la Facoltà di Lettere del

nostro Studio con il Graf, il Renier, il Pizzi, il Frac-

caroli ed altri illustri Maestri.

Ma su tutti i colleghi, pur insigni per dottrina ed

amor della scuola, campeggiava la figura del Poeta;

il cui nome significava rispetto assoluto, severissimo

per l’arte; il cui insegnamento voleva dire austerità

di studio, acutezza d’indagine critica e vastità con­

cettuale nel porre i problemi e risolverli; esaltazione

della vita nei confronti delle discipline rigidamente

apprese unicamente negli Archivi e nei Laboratori.

• * •

« Non si creda che l’amor dello studio fosse in

me di quella tal maniera che rende l’uomo ottuso

alle impressioni del mondo esteriore, ne mortifica

gli spiriti vitali, ne incarcera l’animo, foggia quella

larva d’uomo che dicesi topo di biblioteca. Cercai

nei libri le immagini ed i documenti di ciò che vera­

mente vive e si agita dentro e fuori di noi e non

altrimenti li considerai che come indici e transeunti

del gran libro delle cose. Non credetti mai che la

lettura possa supplire e scusare ia spontaneità e la

libera operosità dello spirito e, amicissimo qual fui

dei libri, non mi ridussi in loro schiavitù e non feci

dipendere la mia vita da essi. Fantasia e ragione sono

in me ugualmente operose ed autonome; nè meno

mi compiaccio di esercitar s) Cunache l’altra; nè mai

mi fu difficile uscir dalla realtà per vagare nel sogno

o uscir dal sogno per rientrare nella realtà senza che

l’uno si confondesse con l’altra. Più mi spaventa il

nome di specialista che quello di dilettante ».

Ecco infatti uno dei tasti sui quali il Maestro più

batteva. Non studiare per riempirsi la testa di let­

ture obliando la vita; non calare entro le sottigliezze

della Scienza al punto di non saper più risalire a

godere del dolce sole! I topi di biblioteca non eran

fatti per Lui, gli studenti troppo infarciti di saccen­

teria (e quindi inclini alla pedanteria, genitrice fatale

del luogo comune) lo infastidivano più d’ogni altra

cosa. Sempre voleva che l’esercizio della scuola si

integrasse con la più larga partecipazione alla vita e,

poiché insegnava a chi sarebbe diventato a sua volta

docente, guai se scorgeva nel discepolo i segni della

saputeria, indizi premonitori d’una mediocrità più

che certa nell’opere. nei pensieri e fatale isterili­

mento d’ogni attività personale, geniale.

« Fantasia e ragione sono in me ugualmente auto­

nome», così parlava Aurelio Ranieri, il protagonista

del suo romanzo autobiografico

II Riscatto,

e così

amava che fossero i suoi discepoli. A tale scopo lavorò

sempre, al fine di creare una personalità nei suoi

discenti, a pungolarne ie attività nascoste, cercando

in essi le caratteristiche più schiette e meno evidenti.

Non pretese mai di sovrapporre la sua pur geniale .

e spiccata personalità sugli altri, anzi volle che ognuno

liberasse l’angelica farfalla che viveva immersa nella

ganga.

Ben conscio come era d’ogni suodetto o pensiero,

che soleva dentro sè lungamente meditare prima di

profferire agli altri, pretendeva che i suoi allievi

mostrassero un’indipendenza senza falsi pudori, sia

nell’indagine come neH’estro, sia nell’analisi come

nella fantasia ed una sincerità assoluta nei suoi ri­

guardi,come parlassero ad unegualedi genio; sapendo

purtuttavia conservare quel distacco indispensabile

tra la cattedra e l’aula. Venne criticato per tale

atteggiamento ed Egli rispose, severissimo: « In sette

lustri di scuola non è mai passato per la mente ad

un mio alunno di mancarmi di rispetto ».

Come nei suoi scritti di critica così nelle sue

lezioni Egli era un ferreo argomentatore e talvolta

si compiacque nel gioco della dialettica, acrobazia

del pensiero in cui si cimentano soltanto le intelli­

genze superiori.

Vittorio Cian, neH’Appendice ad una commemo­

razione di Arturo Graf tenuta alla Regia Accademia

delle Scienze di Torino, nota acutamente a tal pro­

posito: « Dialettica a volte troppo sottile, forse, e

proclive, per desiderio di compiutezza e di obbiet­

tività più a scoprire e ad illustrare tutti gli aspetti

di un problema che non a giungere ad una conclu­

sione precisa e a una soluzione esauriente. Cosi nelle

sue lezioni, cosi talora nelle sue discussioni critiche,

ad esempio nei saggi manzoniani».

• • •

Arturo Graf amava di aver attorno a sè coscienze

sveglie, intelligenze pronte, mentalità fresche ed

ardite.