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figurazione, almeno nel tratto a valle del parco della

Pellerina abbia, sino alla confluenza col Po, del tutto

cancellato l'antico uso agricolo, particolarmente in-

tenso ancora alla fine del Settecento soprattutto sulla

riva sinistra, come è attestato dalle numerose casci-

ne ivi allora insediate e documentate dalla cartogra-

fia storica. Il Piano regolatore del 1908 fu lo stru-

mento con cui la città oltrepassò la Dora, trasportan-

do al di là di essa il reticolo della pianificazione

urbanistica tardo-eclettica, essenzialmente viaria; la

successiva variante del 1935 confermò la destina-

zione delle sponde ad insediamenti misti produttivi e

residenziali. Al Piano del 1908 inoltre risale una

delle più notevoli trasformazioni dello stesso corso

del fiume: il taglio cioè dell'ansa che questo formava

a cavallo del sito dell'attuale ponte Washington,

mentre già nella seconda metà dell'Ottocento si era

rettificato il tracciato della prima grande curva per

consentire gli ampliamenti del Cimitero Generale.

Negli anni Trenta l'indirizzo dato per le zone

affacciate sul torrente dal piano del 1908 venne

confermato ed esteso; difatti questo prevedeva la

trasformazione di larga parte del corso in un canale

urbano, scorrente tra sponde murate e percorse da

viali lungo fiume a schermo della fitta urbanizza-

zione subito al di là di questi. Tale impostazione

proseguì quindi con la costruzione, negli anni Tren-

ta, di nuovi murazzi, che cancellarono le principali

preesistenze che il Piano del 1908 aveva mantenu-

to, cioè lo sbocco del canale dei Molini di Città (i

Molassi) e le opere di presa del canale del Regio

Parco.

Tuttavia le opere e gli interventi previsti non

ebbero completa realizzazione in qualche tratto del

torrente, oppure vennero in conflitto con indirizzi

già precedentemente consolidati, e motivati da esi-

genze produttive, come è il caso degli insediamenti

delle concerie e delle birrerie costruite verso la metà

dell'Ottocento, con cui inizia l'uso del torrente

come scolo delle acque di scarico industriale; oppu-

re, come nel caso più a monte dell'insediamento

della manifattura Paracchi, per la posizione esterna

alla cinta daziaria ed i vantaggi economici a questo

fatto dovuti. Per queste ragioni, sopravvivono anco-

ra oggi frammenti di precedenti organizzazioni del

territorio, come il ponte-canale della Ceronda, ed il

canale rilevato, opera dell'ingegner Pecco, allora

(attorno al I870) Ingegnere Capo Municipale; o

come l'assetto generale delle opere di presa del ca-

nale della Pellerina, nonostante il taglio della Dora

successivo alla variante del I935; o ancora come le

due anse formate dal torrente in prossimità dell'at-

tuale ospedale Birago di Vische, dove erano le prese

del canale dei Molassi.

Da queste osservazioni si può quindi considerare

come, percorrendo le sponde della Dora dal confine

comunale alla confluenza, sia ancora possibile oggi

cogliere la successione storica delle trasformazioni

del tipo d'uso del fiume, che l'ipotesi unificatrice

della pianificazione urbanistica avrebbe invece volu-

to cancellare, sino alla proposta (degli

anni Cin-

quanta) di coprire addirittura il torrente e trasformar-

lo quindi in una grande cloaca urbana.

Per molto tempo sino a tutto il Settecento inve-

ce, il Po, massimo fiume della città, restò sostan-

zialmente ad essa estraneo, dato che l'uso che ne

poteva esser fatto era limitato ai trasporti, sebbene la

navigabilità non fosse certo comparabile a quella dei

grandi fiumi europei, ed il regime la limitasse ulte-

riormente nel corso delle stagioni; inoltre Torino

costituiva, essendo la città più importante, il punto

di arrivo della navigazione fluviale di approvvigio-

namento che quindi doveva avvenire per il tratto a

valle, a natanti carichi e controcorrente (anche se il

De Bartolomeis ci parla di chiatte e barconi con

carichi sino a 60 tonnellate!) mentre nel tratto a

monte della città potevano passare solo trasporti as-

sai meno pesanti: la funzione di via d'acqua del Po

non poteva quindi essere molto rilevante; sappiamo

dagli scritti di Pertinchamp e di Defougères che,

sino alla confluenza con la Dora, esso restava impra-

ticabile dalle « barche da cannoni » di circa dodici

metri, e che nel tratto a monte da Villafranca a Tori-

no potevano navigare solo carichi di un terzo di

metro cubo di mattoni. Quindi, anche se l'iconogra-

fia — da Bellotto alle vedute a volo d'uccello delle

Esposizioni otto e novecentesche talvolta tende a

mostrare il fiume popolato di vele e vapori, scarso

doveva in realtà essere il traffico mercantile, data

anche la mancanza di alzaie e di un porto fluviale

urbano.

Sino al dominio francese d'altra parte il Po era

completamente foraneo all'abitato: attraversato da

un solo ponte diroccato e da precari traghetti, di uno

dei quali, quello in asse al Castello del Valentino,

resta in certo qual modo traccia nella esedra del

giardino sulla sponda opposta. Il rapporto con la

città col fiume invece divenne argomento centrale

nel dibattito urbanistico quando, con l'abbattimento

delle mura, gli ostacoli militari all'espansione urba-

na sino ad esso vennero a mancare: dibattito rilevan-

te dal punto di vista della forma urbana, ma anche da

quello più modesto dell'uso fluviale, sempre ancora

centrato sulla navigabilità, ed estrinsecato in diversi

progetti, da quello di Bonsignore e Lombardi nel

1802, che prevedeva un ampio porto-bacino in riva

sinistra all'altezza di Vanchiglia, a quello di Preglia-

sco, che attraverso una complessa sistemazione di

canali avrebbe voluto dare alla città un carattere

acquatico se non fluviale.

La stessa ubicazione dell'opera più importante

eseguita sul Po dal nostro punto di vista, la diga

Michelotti (18I6), fu a lungo discussa proprio per il

fatto della navigazione: la costruzione della diga

significò certamente, per il vantaggio contingente

che essa arrecava, l'abbandono di ogni progetto di

navigazione del Po da e verso valle. Le motivazioni

della diga erano invece di carattere produttivo: essa

serviva a garantire una adeguata alimentazione al

canale Michelotti, che portava l'acqua motrice ai

Mulini di Città, ubicati all'altezza della Madonna

del Pilone e, prima della costruzione della diga e del

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