

SCIENZIATI PIEMONTESI
ritrasse, non ritenendosene degnoe volendo dedicarsi
tutto a’ suoi studi. Non rompe però, pur lontano,
i legami colla patria ed in patria sceglie la sposa, una
suacuginadella stessa famigliaConti delia bisavola sua.
A Berlino rimane circa 20 anni, tenendovi alto
il nome d’Italia e non rallentando la sua produzione
scientifica, di cui arricchì le Memorie dell’Accademia
tedesca, sino alla morte di Federico II, di cui egli
disse al Delambre di «
avere in lui conosciuto un re ».
Colla scomparsa di Federico il Grande, che amava
il Lagrangia e lo diceva
«un profondo filosofo senza
rumore
»,
lo scienziato italiano non si trova più a suo
agio nella capitale tedesca; già desiderato qualche
anno prima a Napoli, gli giungono ora offerte ancora
da Napoli, da Firenze, da Torino, ma prima ancora
da Parigi, ed egli si scusa in patria di non poter rom
pere gli impegni oramai stretti col re di Francia e
dichiara di preferire ad ogni modo la carica colà
conferitagli all'Accademia a quella di « primo profes
sore regio di matematica» offertagli a Torino. Anche
per lasciare Berlino dovette impegnarsi, e tenne la
promessa, di continuare la collaborazione alle Me
morie di quell'istituto.
A Parigi, dove fu festeggiato dai Reali e alloggiato
al Louvre, pubblicò quasi subito il suo capolavoro:
La Meccanica analitica,
la quale non fu però dapprima
abbastanza apprezzata, tanto che, per qualche tempo
sfiduciato, spaziò per altri campi e distrasse la sua
mente occupandosi di chimica, di filosofia, di storia
delle religioni. Sostenne, ad esempio, in contrasto
col Lavoisier, scopritore del fenomeno della com
bustione respiratoria, che questa si compie ovunque
nei corpo arrivi la circolazione sanguigna e non solo
nei polmoni, come quegli credeva. Il Governo gli
affidò molti incarichi scientifici e nell’ufficio scoperte
e nella Commissione per il sistema metrico decimale
- del quale egli fu sostenitore convinto- e negli studi
balistici; questi ultimi gli evitarono lo sfratto dato
agli stranieri durante il Terrore. Fu persino fra gli
amministratori della Zecca, «
quartumvir monetarius
»
adunque, come io era stato il Newton.
Istituite le Scuole Normale e Politecnica, ne fu
professore, avendo a colleghi i più illustri scienziati
francesi e, creato l'istituto di Francia, ne fu tra i
primi membri; Napoleone soleva in quelle riunioni
sedere accanto a lui.
Nel dicembre del 1798 una lettera del Governo
repubblicano firmata dal Talleyrand incaricava la rap
presentanza francese a Torino di recare al padre
nonagenario del grande matematico l'omaggio della
Francia, padrona del Piemonte.
A Berlino il Lagrangia aveva perduto la sua prima
moglie, a Parigi passò a seconde nozze colla giovane
figlia delfaccaìdemico e astronomo Le Monnier.
Della sua attività scientifica, tosto ripresa dopo la
breve pausa, testimoniano altre numerose memorie
matematiche, di cui non è il casodi specificare l'argo
mento; basti citare altri due capolavori classici:
la
teoria delle funzioni analitiche
e
La teoria delle varia
zioni delle costanti arbitrarie del movimento dei pianeti,
pubblicata a 75 anni.
L’impero gli conferisce la dignità senatoria e il
titolo di conte e alla sua morte - avvenuta il
10
aprile
1813 - gli onori del Panthéon.
Anche la raccoltadelle sueopere, iniziata nel 1867,
fu pubblicata sotto gli auspici del ministero della
Pubblica Istruzione francese e comprende 14 grossi
volumi in quarto. Nello stesso anno finalmente gli
si inaugurava in Torino un monumento.
Il Delambre nel suo elogio fa sue le parole di uno
storico francese, che ritiene il Lagrangia « il maggior
geometra apparso dopo il Newton... il più saggio e
forse il solo filosofo pratico che mai sia stato, ammi
revole per la sua imperturbabile saviezza, i suoi
costumi, la sua condotta ». A proposito del Newton,
il Lagrangia diceva che « oltre ad esser egli stato il
più gran genio che sia mai esistito, era stato anche il
più fortunato, perchè non può capitare più di una
volta di scoprire un sistema del mondo». Di Galileo
poi pregiava.assai più le scoperte teoriche di mec
canica di quelle sperimentali compiute col suo can
nocchiale nel mondo planetario
Un'altra prova della sua religione per la scienza
è data dalla famosa frase pronunciata dal Lagrangia
all'indomani dell'esecuzione del grande Lavoisier
(1794): «A loro è bastato un attimo per far cadere
questatesta e cento anni forse non basteranno perchè
ne riappaia un'altra simile».
Il Lagrangia era di carattere dolce e riservato,
piuttosto timido; nella conversazione preferiva inter
rogare che rispondere e, rispondendo, rivelava la
sua modestia dubitosa incominciando spesso il di
scorso coll'intercalare: «je ne sais pas». Come un
saggio antico; due giorni prima di morire ed all'indo
mani di una grave crisi, descriveva agli amici accorci
l'attacco sofferto e diceva d'essersi sentito veramente
morire, che anzi la morte gli era sembrata dolce e
desiderabile come un passo naturale verso il riposo
assoluto, ma che l'amore della sua compagna l'aveva
trattenuto al di qua della soglia fatale; dopo queste
dichiarazioni egli s’abbandonò all'onda dei ricordi
della sua vita gloriosa, come ad una sintesi suprema.
Di questa mente sovrana si deve ancor dire che
non fu insensibile, non solo - come s'è accennato di
sfuggita- ai fascino delle altre scienze all'infuori della
sua, ma anche all'incanto ddl'arte; prediligeva l’À-
riosto e discusse di letteratura col D'Alembert.
La musica, dopo le prime battute, lo sospingeva,
come uqp malia, neH'oceano della meditazione, dove
s'incontrava colla sua musa: in quell'astrazione ano-
iuta, concessa soltanto ai privilegiati fra gli uomini,
spesso egli aveva risolto i più difficili problemi. Non
sona rari fra i nostri sommi questi contatti, queste
scintille fra la musica e la matematica: anche sotto
questa particolarissima luce, adunque, il Lagrangiad
appare genio latino, genio italiano.