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I MATTONI CARPOLOGICI PIEMONTESI

rispettive

mogli e coi rispettivi mariti... e-ciò colle

conseguenze che ognuno può immaginare! (4).

I

servi, gli aldi, le ancelle, i massari legati da

vincoli che non si potevano sciogliere se non di co­

mune accordo coi loro signori; i

rustici

che sino al

secolo XIII erano ancora alla mercè dei signori che

potevano ucciderli, derubarli, spogliarli, ecc. senza

che alcuno si curasse o ardisse render loro giustizia

(v. docum. Gabotto, loc. cit., pag. 119). I bifolchi,

i boari erano anch’essi specie di servi della gleba.

La vita di questi lavoratori sottoposti a continue

angherie non poteva certo esser lieta! Nè le condi­

zioni di loro alimentazione erano migliori.

Le decime dei conventi, gli affitti in natura, le

innumere prestazioni d’opera e dei prodotti dei

campi, dei prati, dei vigneti, ecc., rendevano difficile

provvedere ai mezzi di sostentamento che si ridu­

cevano: alla segale, alla saggina

(melia da

ramasse),

e in parte solo, anche all'orzo, al frumento, alle rape,

alle zucche, ai fichi, all'uva, alle ghiande, ai cardi,

alle noci, alle castagne, al latte, ecc.

Scarsissimo era il nutrimento carneo a ben pochi

concesso, mentre la caccia riservata ai signori e proi­

bita sotto minaccia di gravissime pene, rallegrava

qualche volta (clandestinamente ottenuta) la magra

mensa.

In così tristi condizioni era quindi cosa ben natu­

rale che alle sorgenti della nutrizione volgessero insi­

stentemente i loro pensieri questi esseri abbandonati

alle mercè dei signori e alle sopraffazioni di coloro

che abusando della forza e delle armi costringevano

i lavoratori dei campi ad abbandonare i loro ricoveri

ed a vivere colle loro donne e coi figli nascosti nei

boschi!

Non si esagera quindi pensando che i fornaciai

posti nella condizione di potere in qualche modo

materializzare i loro ideali pensassero di farlo ripro­

ducendo (come fecero di fatto) quei vegetali che loro

concedevano almeno di prolungare quella esistenza

di lotte e di miseria che è pur sempre cara all'uomo

quando il sorriso della famiglia la allieta, quando

splende il sole sulla Natura.

E nemmeno è cosa possibile il pensare che i

modelli dei laterizi piemontesi possano essere inter­

pretati come manifestazione di simbolismo religioso.

Pure riconoscendo che i primi artisti del Gotico

diretti

dai monaci cluniacensi abbiano fra i vegetali

scelti

come modelli delle loro sculture quelli che per

qualche

riguardo avessero rapporto con simboli reli­

giosi,

quali ad esempio: la vite ed i grappoli dell'uva

che

ricordano il sangue di Cristo; le spighe del fru­

mento l’Ostia o il pane mistico che il saoerdote con­

suma

nel sacrificio della Messa; le foglie dell'epatica

a tre lobi fogliari simbolo del mistero della Trinità,

l'edera, la quercia, ecc., quali riconosciamo rozza­

mente scolpiti nei capitelli dell'arte gotica primitiva.

Gii scultori laici loro successori allargando il pri­

mitivo ideale simbolico diedero corso a nuove mani­

festazioni d'arte, e riproducendo liberamente ogni

sona di vegetali, scegliendoli anche fra i più umili

nei prati e nei boschi, minuziosamente studiandoli

nei loro caratteristici contorni, nel decorso delle

nervature fogliari, in ogni dettaglio insomma crea­

rono quella meravigliosa

flora gotica

così varia, così

palpitante di vita e di movimento.

Del resto non deve ritenersi che l'idea di glorifi­

care i materiali eduli con manifestazioni artistiche sia

nata soltanto nel cervello dei fornaciai piemontesi;

chè già gli Etruschi ed i Romani si beavano nella

contemplazione delle pitture murali e che nelle tombe

e nei triclini rappresentavano ogni sorta di delizie

orticole e frutticole; e con figure carpologiche orna­

vano le loro sculture ed i loro vasi.

Più tardi i

Tacuina Sanitatis

(5) dovuti ad autori

arabi del secolo XI, i codici medici variamente

illustrati da silografie o da miniatura, tennero il

campo della medicina e delle scienze naturali presso

tutte le nazioni durante il Medioevo e ancora nel

Rinascimento non furono essi forse esaltazioni, glori­

ficazioni delle piante eduli?

I

Toscani della rinascita non affidarono essi alla

pittura ed alla scultura l'incarico di eternare i loro

trionfi orticoli?

Nelle opere del

Ghirlandaio,

di

Giovanni da Udine,

dei

Della Robbia,

del

Bramantino

ed in quelle degli

allievi del

Mantegna

e dello stesso

Mantegna,

dei

Cri­

velli,

dei

Vivarini (Carlo

e

Vittorio),

dei primitivi

Belliniani,

di

Jacopo Ligozzi,

ecc. ecc., degli

Olandesi

e

dei

Fiamminghi

le riproduzioni frutticole vennero e

furono per lungo tempo in onore.

E per rimanere semplice

*' nella considera­

zione della regione contemplata in queste ricerche

ricorderò, ad esempio, che in non poche nostre

chiese s’incontrano affreschi che presentano festoni,

ghirlande composte con figurazioni di frutti e di

specie vegetali eduli.

Nel noto maniero di

Issogne

è pure affrescato un

mercato con ogni sorta di erbaggi e di frutti corri­

spondenti a quelli celebrati nei mattoni modellati

piemontesi.

Anche in Piemonte sul finire del 1700 non vediamo

sorgere le pitture ornamentali di frutti e fiori nella

quale arte son rimasti celebri

Vittorio Rapous (Raposso),

i

Cignaroli,

il

Vacca,

la

Gilli,

ecc.?

Come si vede, in tutti i tempi e in tutti i paesi

fu in onore l’omaggio gentile dell’arte alle piante

alimentari e lo vediamo oggi ricomparire anche nei

magri ideali dei novissimi novecentisti paghi di

bearsi nella riproduzione di uno o di pochi frutti od

ortaggi!

É dunque lecito negare che questi stessi ideali

non abbiano animato i fornaciai medioevali del Pie*

monte, assillati da tali necessità alimurgiche che

facevano loro apparire i mezzi di sussistenza come i

soli elementi di benessere verso i quali costante e

fervida si elevava l’aspirazione dei loro pensieri e

dei loro stomachi?

v~cno i modelli oei laterizi ptefTxyixesi non si

possono paragonare die sculture dei gotici. Questi

erano sorreiu otti toetie religioso e

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