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I MATTONI CARPOLOGICI PIEMONTESI

Di ghiande e di faggiole

(Faine)

certamente si

nutrirono le popolazioni esostoriche prima che i

cereali venissero coltivati, come è dimostrato da

numerosi materiali documentari.

In Piemonte anticamente si notavano querce di

cosi gran mole che alle roveri transpadane Virgilio

paragonò i vasti corpi degli eroi troiani Pandaro e

Bizia:

Consurgunt geminae quercus, intonsaque coelo

Attollunt capita et sublimi vertice nutant.

(Eneide, IX, 681).

Polibio, Strabone, Plinio, ed altri, ricordano le

ghiande della nostra regione che servivano di ali­

mento ad infinite mandre di maiali che nutrivano

Roma e gli eserciti (v. Promis, loc. cit., pag. 13).

Non è quindi cosa che possa stupire se i fornaciai

piemontesi associarono la rappresentazione dei frutti

delle querce a quella degli altri frutti di uso comune

popolare.

Fra i mattoni che rappresentano ghiande va ricor­

dato quello illustrato e figurato dal Vayra (v. Bibl.),

trovato in una casa di Bussoleno e regalato al Museo

Civico di Torino. Questo mattone è interessante

perchè smaltato di un bellissimo verde, come a quel

tempo si usava abbastanza comunemente (v. Rivoli,

casa del Conte Verde - Albano Vercellese - Castello

Gattinara, ecc.) (II).

Ancora nel 1675 in pieno regno di Luigi XIV,

nel Delfmato, durante l’inverno, la più gran parte

dei contadini mangiava del pane di ghiande (teste il

Duca di Lesdiguières, in una lettera a Colbert), e

durante il terribile inverno del 1709 le popolazioni

affamate ritornarono all'impiego delle ghiande nella

panificazione!

Tanta era l’importanza alimentare delle ghiande

della quercia che gli antichi dicevano che prima dei

cereali esse erano l’alimento più comune delle popo­

lazioni europee; e però i frutti alimentari venivano

indicati col nome di

Glandes,

e così si avevano le

Glondes

Fagi, Glandes Castanearum, Glandes Jovis

juglandis

(Bourdeau, loc. cit.).

La quercia compare nelle leggende e nei miti

deH’antichità, come la

madre degli uomini e

a ciò non

fc estranea l'importanza nutritiva delle sue ghiande

per

cui numerosi autori dichiarano la quercia, la

Prima nutrice degli uomini.

HM M CA R A M L. «C « ir itM H madmmtma (R ipa •

Lasciando da parte la vexota quaestio da quale

spade abbiano avuto origine tutte le numerosissime

'•rietà di rape coltivate (12) (note sotto i nomi più

wriati), le quali vanno considerate come mostruo­

sità ereditarie conservate con ogni cura dagli orti­

cultori per mezzo della selezione e propagate quindi

oda cultura, a me preme accennare che le rape nel

Periodo di tempo die interessa queste osservazioni

e prima e dopo di esso, ebbero larghissima parte

nell’alimentazione del popolo piemontese.

Fino dai tempi esostorici le rape cotte sotto la

cenere erano usate come alimento presso i popoli

nordici; esse furono in ogni tempo (prima che il

mais, il fagiolo, la patata fossero importati dall’Ame-

rica) una delle principali risorse alimentari dei paesi

poveri, specialmente dei luoghi montanosi.

I

Greci, i Romani, i Normanni usavano largamente

delle rape come lo dimostrano le opere dei geopo-

nici e come si rileva dai classici.

Celebri rimasero nella storia le rape che stava

cuocendo in un vaso di terra

Curio Dentato

(Marco

Annio, che fu tre volte Console e due volte ebbe gli

onori del trionfo), quando gli Ambasciatori dei San­

niti gli offrirono vasi d'oro perchè li aiutasse, e

notissima è la generosa risposta che egli diede loro.

Teofrasto pone le rape dopo il frumento e le

fave, perchè (come assicura Plinio)

dopo di esse non

esiste cosa più utile:

Sic justus ordo fiat a frumento protinus aut certe Faba

dicendis quando alii usus prestantior ab his non e;t.

Plinio ricorda che in Piemonte, dopo il vino e le

biade, erano le rape il terzo raccolto degli uomini:

A vino atque messe tertius hic transpadana fructus.

(Lib. XV III. 35. 42).

Le rape di Norcia e dell'Amiterno erano le più

apprezzate in Roma.

Le rape sono frequentemenu. ,~rr,. esentate nelle

pitture romane; le troviamo anche nei celebri mera­

vigliosi bassorilievi del Tesoro di Bosco Reale.

Apicio indica il miglior modo di cucinarle e ricorda

i cuochi che sapevano tingerle in sei differenti colori,

uso che Plinio lamenta e rigetta:

neque aliud in cibis

tingi

decet!

Ho ricordato queste cose per dimostrare che l’uso

delle rape come alimento continuò dappertutto anche

dopo la caduta dell’impero. Certissimo è che nel

Medioevo le rape erano molto usate, e che nel pe­

riodo in cui era in onore l’ornamentazione coi late­

rizi tanto in Piemonte quanto in Lombardia, le rape

erano uno dei fondamenti alimentari.

Negli Statuti del Piemonte, e particolarmente in

quelli Canavesani (cosi dottamente illustrati dal

nostro compianto Conte Giuseppe Frola), si trovano

frequenti i nomi di: Nabina, Nopina, Rovinales, Rapi­

naHa, Raveria, Ravoire, per indicare i luoghi dove si

coltivavano le rape; e frequenti e assai dure sono le

disposizioni destinate a tutelarne la cultura.

Bonvicino della Riva, che scriveva nel 1288 De

magnalibus urbis MedMani, ricorda le rape ed i na­

voni che sotto Matteo Visconti si ricavavano abbon­

dantissimi dai campi e il largo uso di castagne, e

panico (Vergi, Storia deila vita milanese, 1909).

I

Tocuina Sanitatis nelle loro mirabili miniature

esaltano i navone*e le cucurbite, che compaionogigan-

lesene fieii WTresco oei v«sxe>io gì issocoe*

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