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I MATTONI CARPOLOGICI PIEMONTESI

sero l'arte di fare il pane, venuta loro dalla Grecia,

che a sua volta l’aveva avuta dagli Egiziani.

La segale mantenne indubitatamente il primato

nella panificazione dei contadini piemontesi sino ad

un’epoca relativamente avanzata; e ancora oggi in

alcune regioni elevate delle Alpi e della Savoia si

cuoce una sol volta all’anno il pane di segale.

Mattoni di Poirino (Uva o Saggina?)

Gli Statuti parlano diffusamente anche di un altro

cereale indicato generalmente col nome di

melia o

meliga,

oggi detta in dialetto piemontese

melia da

ranasse,

o in italiano

saggina, sorgo o durra

che dir

si voglia (

Sorghum vulgaré),

coltivata sino dai tempi

esostorici in Piemonte, e usata come pianta alimen­

tare sino a non molti secoli fa; usata oggi soltanto

come mangime per il pollame e per la fabbricazione

delle scope. L ’uso della saggina è ancora oggi este­

sissimo in molti paesi dell'Africa (Abissinia, Eritrea,

dove è notissima sotto il nome di

durra,

e nell'Asia),

paesi dove questa pianta si adopera per la pani­

ficazione. Gli Statuti tutti ricordano e trattano am­

piamente e diffusamente della

meliga,

dei

me­

liaca,

ecc.

Il nome di

melia

adottato poi per indicare il

mais

(indubbiamente venuto dall’America), ha indotto

molti storici a ritenere erroneamente che il mais

fosse a noi noto prima della scoperta dell’America, e

questa opinione fu avvalorata dalla famigerata

Carta

di Incisa

di cui fu dimostrata la falsità; secondo la

quale Bonifacio di Monferrato avrebbe, ritornando

dalle Crociate, portato seco le cariossidi del mais,

onde il nome di

granoturco

(15), falsamente attribuito

alla

Zea Mais.

Il sorgo si potrebbe forse identificare in uno dei

mattoni che incorniciano le finestre di un’antica

casa in Poirino; poiché vicino ad una densa pannocchia

di sorgo pare che il modellatore abbia voluto segnare

un uccello, e forse un colombo, che di tali cariossidi

assai volentieri si cibano. Però di questa identifica­

zione, causa la rozzezza del lavoro, non è possibile

dare un giudizio sicuro; perchè ciò che si potrebbe

ritenere una pannocchia di sorgo ugualmente si po­

trebbe sostenere rappresenti un grappolo di uva,

nel qual caso la figura dell'uccello sarebbe anche

al suo posto (v. figura).

FICUS CARICA L. et variatale* • Fichi.

La coltivazione del

fico,

nel periodo di tempo che

interessa queste ricerche, era condotta su vastissimi

scala in Piemonte. Tutti gli Statuti se ne occupano

con speciale predilezione, variando però i giudizi

dei principali Autori sulle loro proprietà dietetiche

(vedi Pier Crescenzi, Seth, Pisanelli, Matthioli. Du­

rante, ecc.).

Dei fichi abbastanza numerose in Piemonte erano

le varietà coltivate, bianche, verdi, rosse e nere,

che in quantità si facevano anche essiccare.

«Nutriscono

ottimamente», tale era l’opinione di

Pisanelli (pag. 132, loc. cit.), che però aggiunge

(pag. 154): « I

fichi non nutriscono quanto i grani

e

la carne, ma più degli altri frutti e più presto».

Castore Durante (siccome abbiamo già riferito)

scrive: «

I fichi

et

l'uva si come sono il capo et l'honon

di tutti i frutti dell'Autunno e come più nudriscon

di tutti gli altri...

».

E per non ripeterci rinviamo il lettore a pag. 29,

dove è riferita l’opinione del Durante sul fatto che

i guardiani delle vigne che mangiavano per parecchi

mesi più fichi e uva che pane diventavano grassi e

carnosi.

(FkM )

S« Antonio dii Rio

L ’Autore non ricorda però che in quei mesi «4

poveri guardiani »

potevano almeno a sazietà nutrirti

di questi frutti e ciò mentre l’ufficio al quale att»- j

devano concedeva loro di vivere risparmiando fatici [

m'jicolare.

I laterizi piemontesi anche di questa

mentare si sono occupati. I mattoni che

i fichi colla forma caratteristica delle loro foglie

forfni non divise, coi frutti caratteristici a

pera, non sono rari; qui sono figurati quelli

ornano le ghimberghe dell‘Abbazia di Sant*

adi Rio Inverso in Val di Susa, che per la

cura del Cav. Paolo Boselli, del Gran Magistero

l'Ordine Mauriziano. fu ripristinata sotto la

di Alfredo D'Andrade e di Cesare Berte»

Leggesi nel Libro IV dei Re (25) che «

Giuda vivevano senza timori ognuno alt'

sua vite e del suo fico»(16).