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GIOBERTI

£

LA SCIENZA DELLA NATURA

perchè fuori di questo l'idea dell'infinito è impossi­

bile ad aversi nella sua obbiettività e purezza»(8).

Ebbene una nozione anche solo rudimentale del Cal­

colo infinitesimale dimostra ad evidenza tutta la por­

tata di quest’affermazione.

Dall'esame dei manoscritti Giobertiani appare

come egli abbia letto nelle opere di Tournefort,

Linneo, De Candolle, Brongniart, Flourens, Linkley,

Humboldt, Bravais, Gaudichaud, che trattarono par­

ticolarmente di Botanica, oltre a molte altre opere

di carattere geografico ed etnografico (9) che gli

furono motivo per osservazioni o meditazioni ori­

ginali incidentali anche d'interesse botanico. Sono

lampi fuggitivi, ma lampi che lo illuminavano nella

formazione della sua mente potentemente assimi-

latrice.

Facciamo in proposito un breve excursus.

Intorno al carattere generale delle scienze natu­

rali, Gioberti aveva preveduto il concetto attuali-

stico di scienza della natura, che non si impaluda più,

come nell'epoca prelinneana, in grandi apparati di

erudizione, talora soltanto verbale, ma aspira a ben

più vasti orizzonti; e ad avvalorare il suo punto di

vista scriveva questa profonda osservazione: «Lo

spirito di sistema, per la vaghezza dell'ordine ed'una

sintesi immaginosa, indusse gli antichi naturalisti,

tolto pochissimi, a sognar delle fantasie invece di

osservare la Natura. Il talento sperimentale nacque

in tempi moderni e con esso la Fisica. Perciò i tempi

moderni sono per la scienza la seconda Era dello

spirito umano; quella cioè in cui la pura speculazione

dà loco alla sperienza. Lo spirito umano è però fatto

di tal maniera ch'egli non si contenta d'una scienza

dimezzata ed imperfetta, che poco si distingua dalla

storia. Perciò, nel regno copioso speriritentale in

cui è la scienza moderna, il bisogno si fa sentire di

qualche cosa di più compiuto. L'innalzamento della

storia alla scienza formerà

la

terza

epocadello

spirito

umano.

La storia

detta naturale

vuol

diventare una

scienza; ella non si contenta dei ricchi

e pomposi

abbigliamenti di elocuzione

e della

forma

dramma­

tica che

le diede il Buffon, li

sig.

Virey ed alcuni

altri

hanno già fatto alcuni

tentativi per ridurre i

dati dell'osservazione a dei principii scientifici; ma

il

tempo

non

è ancora da tanto e il volerlo prevenire

è uno sconfondere la storia senza giovare alla

scienza»(IO). In queste parole è sintetizzato, come

in una formola. lo sviluppo ideale anche dello studio

della Natura, dalla primitiva osservazione empirica

dei fatti naturali (fenomeni) alla loro registrazione

con un qualche spirito d’ordine (funzione della

storia), per giungere alla vera fase di scienza, cioè

alla sistemazione delle cognizioni in un tutto orga­

nico. frutto d'un lavoro critico metodicamente ese­

guito (II). Egli accentua anzi H suo concetto con

queste altre parole: «Ciò che fe la scienzaè la cagni-

ziooe generare, perene

io

coooscenzi oei soli p^ni*

colari fi storia, arte, sperienza e non scienza» (12).

E se per scienza dobbiamo intendere un sistema

di cognizioni riflesse logicamente vere intorno ad

un dato oggetto — e mi pare sia la vera accettabile

definizione di scienza — Gioberti colpì nettamente

nel segno, giacché la trattatistica naturale fin verso

il

1600

si limitava ad una semplice raccolta di descri­

zioni di piante o di animali raggruppati — e neppur

sempre — in classificazioni prive di ogni concetto in­

formatore, obbiettivo, inerente all'organismo stesso,

spesso poggiate a criteri utilitari, alle applicazioni

all'economia umana, all'arte sanitaria, ecc., oppure

assumendo a caratteri differenziali delle pure appa­

renze empiriche (alberi ed erbe, ad es.) o proprietà

non morfologiche (piante aromatiche, sapide, aci­

dule, ecc.): esulava il concetto deH'affmità, frutto

del metodo, comparato, ed imperava una singolare

ignoranza sull'idea di «Specie organica», anzi per­

sino di «genere» a cui pur in antico si sarebbe

dovuto arrivare colla sola scorta dei postulati della

filosofia scolastica se anche un po’ sterilizzata e de­

viata dalla classica filosofia teoretica; Gioberti non

naturalista, ma filosofo del secolo X IX . aveva com­

preso tutto ciò ed aveva intuito

"M riflettuto

sull'essenza degli studi naturalistici, rianermava per­

tanto il suo pensiero con questo aforisma: «Le scienze

naturali (intendasi di allora) si occupano dei fatti,

che per sè soli non sono verità»

(13):

qui adoperò,

per comodità, il vocabolo «scienza» in luogo di

« studi », ma il pensiero è egualmente istruttivo ed

anzi ammonitore. Invero la scienza non può accon­

ciarsi ad una semplice funzione registratrice di fatti,

bisogna che questi fatti vengano resi eloquenti, ri­

dotti a verità: occorre qualche altra cosa, e chi ne

10 dice? Gioberti: « Le leggi, le cause, ed i fini sono

1 triplice soggetto delle scienze naturali e costituì*

scono l'idealità del mondo». Parole d’oro che det­

tano come un programma della scienza moderna

adombrata nella sua

Protologia

(14),

anche se vi fa

capolino quella benedetta e maltrattata teleologia

che scandolezza a torto tanti biologi, ma che cacciata

dalla porta rientra inesorabilmente dalla finestra;

Gioberti, che sapevaporsi in unaposizione dominante

più lontani orizzonti, non paventa la teleologia:

avendo letto in De Candolle che: « i peli sono filiere

di più cellulette. o una sola cellula allungata; sono

organi protettori delle piante o dall'eccesso della

luce, o dalla varietà della temperatura o dell'umi­

dità, o dagli insetti », aggiunge il commento, « sono

quasi i velli o le armi: teleologia evidente ». E questa

teleologiaevidentedi necessitàpresupponeunaMente

superiore legislatrice di

queste

finalità;

dunque

un

Creatore; di qui

non si può sfuggire: giunti

al

bivio

è fòrza fare la scelta, a destra od a

sinistra,

all'affer­

mazione

od alla

negazione.

E Gioberti tronca il

dubbio con

queste parole: « L'Intelletto umano non

dà le

leggi alla

Natura,

come vuole Kant, non le

riceve

da essa, come vogliono

I

sensisti. ma le riceve

da Dio. che le dà egualmente all'uomo ed alla Na­

tura» (15).

Ed altrove prospetta questa domanda

molto espressive: «Quale il valente naturalista, che

osi risalire ohrfc i aermi dai corni organici, sena

ncorref*

m

mone

u w k x i ì

^

io