GIOBERTI E LA SCIENZA DELLA NATURA
A proposito di certo vezzo di critici i quali nel
loro lavoro si compiacevano d’un frammentario smi
nuzzamento delle opere letterarie in esame, trascu
randone lo spirito ideale, ricorre qui ad un paragone
tratto dai suoi ricordi di letture, sentiamo: « !l natu
ralista, che studiasse gli animali e le piante come i
minerali, mostrerebbe d'ignorare la natura degli uni
e degli altri, e di confondere la materia informe
coll'organizzamento e colla vita. Chi dice vita, chi
dice organizzazione, dice varietà ridotta ad unità,
dice armonia; l'analisi compiuta di esseri così ordinati
vuole che non meno se ne considerino le parti che
il tutto, non meno i particolari che l'universale,
non meno i primi per se stessi, che relativamente ai
secondi; altrimenti non solo l’analisi è incompleta
ma verte intorno a ciò ch’è meno eccellente ed
essenziale; poiché chi considerasse solo in un animale
le parti isolate, e non l’armonia del tutto per cui
l'animale è vivente, lascerebbe il meglio, e sarebbe
tutto al più un anatomo, ma non un naturalista » (23).
E questo pensiero ha una risonanza in Protologia,
dove dice, a titolo di esemplificazione: « Il soggetto
dell'anatomia comparata non è l’uomo, non il bruto,
ma il loro genere, cioè l’animale» (24), vale a dite
lo studio di ciò che è comparabile non negli individui
singoli ma nei generi, cui appartengono, altrimenti
si fa del particolarismo, non della sintesi scientifica.
O
mai il naturalista che fa della buona anatomia
è costretto,
rebus ipsis dictantibus
ad occuparsi di
fisiologia per avere un’illustrazione integrale di ciò
che studia. Gioberti anche qui intuiva al giusto ciò
che vuol dire «studio della natura», vale a dire di
qualche cosa di esteso e di complesso, come com
plesso è il corpo organico nella sua struttura e nella
sua posizione di vivente.
E che cosa sia la vita per Gioberti lo troviamo in
Protologia
(25)
dove accenna ai caratteri che un fìsico
direbbe cinetici, di movimento: infatti la vita è moto
in senso lato! ma il moto presuppone un motore,
cioè un’energia, e Gioberti in un passo di botanica
che tratta della « fovilla » fa questa chiosa: « Forse la
forza plastica della pianta è animata? ». Ma alla do
manda se la pianta abbia un'anima, il filosofo si
trincera dietro un prudenziale punto d'interroga
zione, e nessun biologo si è arrischiato di dare una
risposta. Un grande chimico italiano, Giacomo Cia-
mician, chiudendo un suo mirabile discorso (e fu il
canto del cigno), dopo*avere ricordato che nei vege
tali si osserva un’assai minore differenziazione orga
nica, compensata però da un più largo e multiforme
chimismo, spiritosamente affacciava il pensiero che
se le piante hanno una coscienza « la loro coscienza
è una coscienza chimica»(26).
In altro punto Gioberti rammenta di aver letto
che «la legge teleologica della postura delle foglie
è il loro ufficio: cioè l'attitudine a sciogliere il gas
carbonico ed a svaporare l'acqua soverchiante; fun
zioni che dipendono quasi unicamente dall'influenza
della luce solare», ed egli aggiunge questa chiosa:
«La relazione dei cotiledoni colla postura delle
foglie, come colla struttura dello stelo, indica assai
chiaro che la foglia è la parte essenziale della pianta,
giacché il cotiledone è una foglia: il cotiledone è
il
tipo sensibile»
(27).
Questo accenno fa strada a considerare un fatto
che si riscontra nell’ordinamento delle foglie: la
Fillotassi.
È noto che la distribuzione delle foglie
sul ramo aveva già attirato l’enciclopedica attenzione
di Leonardo da Vinci, e poi nel 1779 del Bonnet,
indi del Goethe e più tardi dello Schimper (1829),
del Braun (1830), di Dutrochet (1834).
Era quindi naturale che anche la mente di Gio
berti si soffermasse su questo argomento sul quale
si era esercitato il pensiero di tali botanici avido di
scoprire le leggi del fatto, per risalirne alle origini.
Egli pertanto lesse le opere fondamentali dei fratelli
Bravais (1838), del Braun, dello Schimper: Gioberti
fu colpito da questa « sapiente distribuzione » o re
golarità geometrica e dai rapporti aritmetici corre
lativi, e nei suoi appunti troviamo gli esempi che gli
parvero più dimostrativi e che registrò per fissare
le sue idee in proposito (28): ciò dimostra d'altronde
la sua
forma mentis
ansiosa dell'ordine e dell'armonia
dialettica. Nei suoi appunti si indugia inoltre sulle
modalità della spirale e, notevole, ferma il suo pen
siero sulle foglie disposte a verticillo ricordando
che «Schimper e Braun considerano la formazione
delle foglie verticillari come
non
simultanea, e quindi
i verticilli come delle spire finite ed appiattite, come
dei cicli a spirale circolare» (29).
Pare che il fatto della fillotassi sia in correlazione
col fattore luce nel senso che i vari sistemi di cicli
d'inserzione delle foglie rappresenti, a seconda dei
casi, l
'optimum
per una buona illuminazione delle
lamine assimilatrici. Ma questo studio, arido per se
stesso, non incontrò poi il favore dei botanici. Possa
la simpatia dimostrata dal Gioberti, filosofo e non
botanico, servire di stimolo a qualche coraggioso di
riprendere in esame il non facile argomento, sia
pure rinnovando ed innovando il memorabile lavoro
del nostro Delpino, che nel congresso internazionale
botanico (Genova, 1892) determinò un senso di stu
pore nell'adunanza per la singolare genialità ed ardi
tezza della sua teoria la quale trovò impreparati
tutti i colleghi ad una discussione.
Gioberti affronta anche la questione della tera
tologia vegetale: ricorda che De Candolle riporta
al tipo arcaico primitivo certi fatti attuali, recandone
come esempi il castagno e la quercia, che nei loro
fiori posseggono sei ovuli mentre nei frutti vi sono al
più tre grani nelA castagna ed uno solo nellaghianda.
Ricorda pure il fatto della «Peloria» (ritorno d'un
fiore irregolare attipo regolare) e Gioberti ne trae
le seguenti conclusioni: « I* Vi sono due generi di
mostruosità, le une assolute, cioè in sè; sono veri
antischemi. Le altre relative allo stato attuale della
natura; queste possono essere un ritorno allo schema
ed al vero tipo primitivo: in questo caso l’eccezione
fa la regola e la regola l’eccezione; il mostro dichiara
il vero tipo; ii tipo apparente è un vero mostro.