GIOBERTI E LA SCIENZA DELIA NA
Con quale ammirazione Gioberti potrebbe ai
nostri giorni considerare il grande progresso della
Botanica e scrivere in proposito uno di quei suoi
pensieri cosi dinamici e degni della maestà della
scienza!
Una delle questioni più intricate e spinose, ma
delle più attraenti, è quella del concetto di specie
organica.
Esiste la specie in natura o dessa è una mera
astrazione della nostra mentei Secondo Gioberti la
specie è fondata in natura: « Mosè nella
Genesi
I,
II, 12, 20, 24, 25, 29, indicando la creazione delle
piante e degli animali, secondo i generi e le specie
e dicendo che le piante contenevano la loro semente,
gitta le basi del sistema dinamico, ed accenna l'ob-
biettività della ideologia generica e specifica. Lo
stesso risulta dall*11, 19,20, perchè se Adamo impose
agli animali il loro vero nome, ciò mostra che la
loro idea specifica è fondata in natura»(19).
Che ne pensano i naturalisti ? Alcuni evoluzionisti
ad oltranza negarono recisamente la realtà della
specie, ed i più avanzati giunsero ad affermare che
in natura non esistono che individui; ma molti evo
luzionisti ammettono la specie e lo stesso Darwin
ragiona come se essa esistesse, ond'è che giustamente
venne osservato — e non ricordo più da chi — che
certi oltrepassarono addirittura il segno quando ne
garono la specie in omaggio a Darwin!
Ornai il concetto che la specie non esista in
natura, e che sia semplicemente un prodotto idea
listico, è superato; perchè, senza entrare in conside
razioni filosofiche, su cui rimando ai competenti,
l'esperienza quotidiana ce lo dimostra nel contatto
stesso cogli oggetti sensibili. L'unica difficoltà che
si affaccia al naturalista sta nel modo d'interpretare
questa esistenza specifica in natura e di definirla.
Eppur definirla bisogna, perchè — è Gioberti che
ce lo
riarda
— « la definizione è proporzionata alla
mente
djU'uomo,
che è finita; senza di essa abbiamo
l'indefi^Blche è il nulla, il
Caos»
(20).
É
fofMfcuesta difficoltà che potè far pensare
a
taluno cm B natura dei naturalisti non esista,
ma
questa agnazione è una semplice formula: i natu
ralisti, ché studiano la natura, sono i primi a ricono
scere che tutto il loro lavoro per interpretarla e per
cercare di conoscerla, presenta un profondo carat
tere di relatività. Essi sono persuasi che giungere
alla cognizione dell'intima essenza della natura è
impossibile; lo disse in forma drammatica Shake
speare: « In Nature’s infinite Book of Secrecy, a
little I can read»; lo ribadì in forma poetica un
botanico del 700. THalier: «Ins Innere der Natur
dringt kein erschafner Geist, Zu glOcklig, wenn Sie
noch die iussere Schaale weist».
Anche oggi questo verso può ancora figurare
quale divisa sullo stemma di qualunque biologo!
E questo, detto in generale per tutto lo studio
della natura, si deve applicare in particoiar modo
al concetto di specie, che finisce per rispecchiare
un valore limite H quale tanto più si avvicinerà
all'assoluto, quanto più il suo asintoto sarà prolun
gato, quanto più raffinatamente si applicherà, ove
sia consentito, il teorema del Bernoulli sui grandi
numeri. La Scienza della natura attende molto dal
l'aiuto delle matematiche e la matematica è filosofia
sublime che spazia nel regno dell’assoluto. Lo disse
scultoriamente Gioberti nel suo
Primato: «
L'ipotesi
ed il calcolo sono i due sussidi più potenti delle disci
pline naturali, come quelli che fecondano lo studio
dei fatti coll’aiuto delle notizie ideali» (21), pen
siero che ricorda l’aforisma di Leonardo: «Nessuna
humana investigatione si può dimandare una scienza,
s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni ».
Lo studioso che sa liberarsi dalla tirannia del sogget
tivismo e dalla bramosia d'un’analisi esasperante fine
a se stessa, finisce per accorgersi che la specie deve
plasmarsi su qualche cosa che la natura medesima
gli suggerisce come criterio guidatore, e che Gio
berti, senza essere naturalista, seppe additare nel
fenomeno della generazione, cioè della perpetua
zione della specie, accennandone il dinamismo, ed
essa necessariamente ci riporta all'unità organica
della specie in natura, che nella
ione conti
nuata dimostra il suo carattere d'un'integrale ma
tematica.
Se Linneo ebbe fortuna nella sua organizzazione
ab imis
del mondo organico, lo dovette al concetto
genetico fondato sull'osservazione sperimentale, che
la specie è data dalla sequela, nel tempo e nello
spazio, di tutte le generazioni che formano la fiumana
di vita degli individui ripetenti la loro origine da un
ceppo necessariamente unico. Ma questa unità non
significa uniformità, anzi contiene in sè una possi
bilità (ed ecco il dinamismo), di cui la natura si vale
largamente: la varietà delle sue manifestazioni entro
i limiti di quella stessa unità, e Gioberti scrive:
«L'unità indivisibile crea la Varietà»
(22).
L'esperienza suffraga l’affermazionedottrinale: nei
laboratori di selezione assistiamo alla cosi detta crea
zione di razze elette tutte dipendenti da un'unica
origine specifica; ed in natura ciò accade per deter
minanti ambientali odaltre cause: ond'èchedovrebbe
abbandonarsi il termine di « sottospecie», di cui si
è fatto abuso e che è causa di confusione d'idee e.
di equivoci.
Questa unità indivisibile Gioberti l'applica in Pri
mato, là dove a proposito delle tristi sorti dei Negri
d'America, ammonisce: «Chiunque contraddice per
diretto o per indiretto, colle parole o colle opere,
colle dottrine o coi sentimenti, al gran Dogma evan
gelico dell'unità e medesimezzad'origine e di natura
di tutti gli uomini, non pretenda al titolo di Cri
stiano, nè si prometta quandoche sia di appartenere
aquella patria, dovenon regna ineguaglianzadi sorte,
fuor quella dei meriti e delle azioni ».
Eppur d fu qualche naturalista che volle ravvisare
nelle « razze umane» tante specie autonome! Aber-
razione
della mente, sconvoltimento del
di specie. H buon senso però ne t e sommaria
Giustizia